UniversoPoesia

Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

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Convegno On-Line. Il futuro della Poesia adesso (e per tutta l’estate).

Ho bisogno di aiuto da tutti quelli che amano la Poesia. Quello che mi piacerebbe ci chiedessimo, qua e per un paio di mesetti su UP è in buona sostanza come fare per portare avanti la Poesia, perché il dubbio che non credo sia soltanto mio è che tutta questa effervescenza, questo (vero o presunto) senso di novità in realtà all’atto pratico non portino a benefici concreti come i freddi numeri che spesso sbandieramo vorrebbero farci intendere: fetival, libri a decisamente maggiore volume di vendite, nuovi spazi ad alta frequentazione, blog e quant’altro… tutto questo sembra meraviglioso anche considerando il momento quanto meno di stasi nell’editoria poetica tradizionale, libri e riviste che soffrono, decisamente. C’è bisogno insomma del contributo di tutti per fare emergere proposte concrete che rispondano alla "terribile" domanda "che fare per fare conoscere la buona Poesia ?". E per rispondere a questo voglio tenere questo post per parecchio, un paio di mesi ca. e sperare nel contributo di tutti, anche dei meno propensi ad affrontare le discussioni in rete, e ipotizzare che da questo possa anche uscire un vero e proprio lavoro di sintesi, magari da pubblicare, su Lulu o altrove: una sintesi alla quale possano partecipare tutti, da tutta Italia. State bene.

Written by matteofantuzzi

23 luglio 2008 a 18:20

Pubblicato su Uncategorized

271 Risposte

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  1. Ci sembra di star bene, in salute all’apparenza, solo qualche piccolo disturbo senza peso e per alcuni lievi segni di ripresa…E’ questo il quadretto della menzogna del facile accesso alla parola che nessuno accompagna, perchè sai cosa siamo, cosa stiamo diventando, stiamo diventando suoni che si dimenticano in fretta, parole che nessuno ricorda, siamo nella dimenticanza, non permeiamo e non permaniamo, non siamo cultura intesa come orizzonte dove fioriscono idee, non impregniamo nulla, come posso dirti non goccioliamo colore, come possiamo anche solo sperare di rimanere. E’ la velocità con cui si accede e si eccede a condannare le parole all’oblio è quella malattia dell’eterno ritorno del nuovo della quale soffriamo inconsapevolmente un po’ tutti o è il senso tragico di chi avverte di non aver più un luogo non per dire, ma per abitare insieme alle propie parole.
    un caro saluto

    alessandro62

    24 luglio 2008 at 06:05

  2. Chiedersi tutti gli anni la stessa cosa non cambia la condizione della parola.
    In fondo la parola è per noi stolti che la adoperiamo. Quindi va anche bene continuare ad aprire blog, ad attaccarsi ai numeri, ai festival e quant’altro. In fondo saranno sempre gli stessi ad occuparsene e sempre gli stessi ad andarci.
    Di mattina sono più cinica…

    Buona continuazione,
    Anila

    AnilaResuli

    24 luglio 2008 at 08:29

  3. 1. Io ho sempre sostenuto e continuo a sostenere che bisogna “unire le forze”. Forse sono l’unica scema che ci crede ancora. Non so, gemellaggi, incontri, reading che coinvolgano associazioni provenienti da territori diversi (coinvolgere di più il meridione, ad esempio, che in poesia mi sembra un po’ un fanalino di coda).

    2. Coinvolgere come attori i rappresentanti dei territori: i circoli ARCI già fanno un buon lavoro, ma non è sufficiente. Bisogna emergere, far sentire la propria voce, e quindi magari fare un lavorio (il che non significa necessariamente implicare il lucro o chiedere denaro, ci sono spazi pubblici – e privati – inutilizzati che potrebbero fare al caso della poesia) con le istituzioni.

    3. Coinvolgere le scuole, per coinvolgere i ragazzi, il futuro: bisogna farsi sentire presso le nuove generazioni, anche perché sono loro che non leggono più. Ridetemi pure in faccia, lo so che preferiscono la Playstation, ma se non li si danno stimoli, sarà sempre peggio.

    4. Recuperare anzi creare un rapporto con l’editoria e considerare case editrici minori ma potenziali.

    5. Premere per la diffusione in ogni ambito, con il valevole aiuto delle riviste (sia online che cartacee).

    6. Utilizzare internet come strumento costruttivo, senza limitarsi al proprio blog ma ampliando il raggio.

    7. Fare rete, fare rete, fare rete: workshop online, progetti online, traduzioni. Potrebbe essere una buona base e per poi realizzare tutto dal vivo, e per poi avviare la contaminazione (vedi punto 8).

    8. Contaminazione: è fondamentale, sia per la contemporaneità, sia perché per veicolare meglio la poesia (e la letteratura tout court) bisogna a mio avviso necessariamente “coinvolgere” teatro, arte, e chi più ne ha più ne metta.

    9. Smetterla di tirarsela e fare gli snob e tentare un confronto: lo direi ai grandi (fermo restando che, come sostiene Milo De Angelis, tra i potenziali giovani oggi mancano degli “allievi” che siano desiderosi di – umilmente – apprendere, studiare – la scrittura è anche fatica -), e ai medi e piccoli: togliersi la corona d’alloro di carta con cui ci si è – da soli – cinti il capo e pensare che il cammino è tutto in salita e qualche scambio costruttivo nel mentre sarebbe auspicabile.

    10. Dato per scontato che di versi non si vive, dovremmo vivere la poesia non dico come “secondo lavoro”, ma comunque se ci si crede davvero impegnarsi a fondo. C’è un generale lassismo, imho, che viene meno solo in caso di proposte di pubblicazione anche sull’ultimo blog sfigato della domenica. E questo non va bene.

    10 bis: leggere, leggere, leggere. Studiare. Riflettere. Crearsi una disciplina.

    Last but not least, vorrei chiudere con le parole di Dome Bulfaro, che credo la dicano tutta: oggi c’è bisogno, se così si può dire, di una voce “autoriale” non nel senso di un poeta-autore, quanto di un poeta che abbia una voce autorevole.

    Grazie Matteo, a presto

    Eleonora

    italianpoetry

    24 luglio 2008 at 08:40

  4. Accetto di buon grado di intervenire a questo dialogo Рanche perch̩ per un convivio-convegno avremmo bisogno almeno di qualche libagione Matteo!

    1. C’è una dose di ignoranza enorme, nel senso che c’è poca conoscenza delle opere contemporanee, che è cosa naturale attenzione (mica si può sapere tutto di tutti), ma che si trasforma in lobbysmo o in pseudoavanguardia: da una parte le lobby riflettono il disimpegno ideologico di alcuni gruppi solidali, che si scambiano gli inviti a qualche festival o fanno un po’ di baratto per le pubblicazioni, dall’altra i fatti e alcuni particolari delle opere vengono utilizzati ai fini della costituzione di gruppi più o meno solidali dal punto di vista di alcune astrazioni teoriche (che potremmo chiamare opzioni ideologiche) che non si avvalgono però di nessuna verifica (e di strumenti per la veriica) delle loro conclusioni.

    Se per le lobby c’è la minima detenzione di un potere, nel senso del recuperare denari ai fini di qualche manifestazione, pubblicazione etc, e la cosa finisce qui, per ciò che concerne i pseudoavanguardici le credenze che si iniettano divengono fonte di speranza di essere moderni e di cogliere le sintesi storiche.

    Ovviamente questi due aspetti si possono combinare.

    Passiamo ora a cosa accade con internet: nell’ambientino così strutturato vengono iniettate nuove spinte ed energia, e si possono trovare materiali buoni e meno buoni, de gustibus… Per leggere buona poesia (se si tratta solo di leggere), basta seguire alcuni buoni lettori (che non sono robot perfetti e infallibili), ma che lavorano con una certa costanza: penso a Biagio Cepollaro, Giampiero Marano, Stefano Guglielmin, Gianfranco Fabbri, Francesco Marotta e me. Partendo da queste letture si può anche osservare un sistema di riferimenti critici abbastanza fondati sui fatti delle opere in relazione ad alcuni aspetti della società a noi contemporanea, e verificabili o integrabili e discutibili incrociando le interpretazioni: a livello di sistema spiccano maggiormente gli sguardi di Cepollaro, di Marano, e il mio sulle nuove generazioni. Non è detto che presto altre persone non arrivino ad essere considerati dei buoni lettori e alcuni di questi non astraggano nuovamente dalla letture un sistema critico, che sappiamo essere basilare ai fini di una buona comunicazione sociale. Per me la categoria “buon lettore” si nutre di alcune qualità: il giudizio è successivo alla lettura, il giudizio è soggettivo e per questo sempre discutibile, come il sistema, per quanto si cerchi di fare un buon lavoro, sarà discutibile.

    Dal punto di vista della mera prassi organizzativa di eventi, basta affidarsi alle indicazioni dei buoni lettori e dare spazio alle esecuzioni (con tutto ciò che la parola esecuzione intende dal punto di vista estetico). Sempre per l’org. di eventi è importante il rimborso spese dell’autore, il vitto e l’alloggio, nonché l’operatore culturale deve poter essere pagato – un sistema diverso non è in funzione della responsabilità su aspetti inerenti alla qualità dell’organizzazione, né può dirsi sostitutivo in senso migliorativo di qualche lobby preconsolidata (che si avvale di denari in base alle conoscenze).

    Sul web, ovviamente, servono più buoni lettori costanti, e sarebbe il caso che sviluppino dei sistemi e si scambino informazioni partecipando a progetti comuni – faccio l’esempio di metabolgia su wordpress, dove con la calma e a tempi irregolari cerco di capire cosa alcuni “operativi” pensino su immaginario e poesia. Ovviamente i buoni lettori devono costruirsi un metodo per tenersi informati, aggiornati, su ciò che dalla realtà emerge, o che possiamo astrarre.

    Mi permetto una ultima e piacevole constatazione: l’epoca dei maestri è finita, siamo un paese di 57 milioni di abitanti con innumerevoli autori, molti dei quali validi per numerosi motivi. I buoni lettori sono ovviamente quelli che esagerano con le letture, che prima o poi riescono ad uscire con una nota su qualcuno che ha toccato la loro esperienza.

    Christian Sinicco

    anonimo

    24 luglio 2008 at 17:52

  5. Mi sono avanzate un po’ di parole…
    I soliti “se” e qualche “ora” sulla poesia in Italia
    Tiziano Fratus

    E già. Stiamo qua, di nuovo, per l’ennesima volta, a rimuginare sul destino della poesia. Pare che così facessero già i poeti del gruppo ’93, e prima di loro i poeti concentrati a Palermo negli anni Sessanta, e giù lungo il tunnel della storia fino alla Venetia in cui si recavano il Foscolo ed il giovane Shelley, la Florentia del Cinquecento, le pianure e le valli lombarde del Duecento, fino ai tempi della Roma imperiale incendiata da Nerone.

    Ogni volta che si parla di poesia si ripetono le stesse quattro cose: se la poesia vendesse di più, se i poeti fossero più celebri, se i poeti potessero avere maggiore visibilità, se le grandi casi editrici avessero un po’ di coraggio, se i giornali dessero più spazio alla poesia, se se se.

    Che destino ha la poesia?

    Ho la netta sensazione che la nostra generazione, la fatidica “generazione nata negli anni Settanta” non abbia compiuto il miracolo che pretendeva di compiere. I pesci, nel mare, nei fiumi, nei laghi, sono aumentati ma infine non si sono affatto moltiplicati. Semmai ha avuto luogo una sostituzione di specie. Come lo storione che fino a pochi anni fa era il pesce del Po, ed oggi è minacciato dall’invasione del pesce Siluro, introdotto illegalmente, importato dai fiumi dell’Europa centrale e orientale e quindi sfuggito al controllo degli allevatori.

    E’ la nostra l’ondata che muterà gli assetti della poesia in questo paese?

    Facendo un po’ di conti è evidente come i “grandi numeri” li fanno soltanto i poeti pubblicati nelle collane di case editrici che occupano, storicamente, una posizione chiave nel mercato editoriale. Ovvero, e i conti sono rapidi, Einaudi, Mondadori e Guanda, con le tre collane di poesia. Adelphi è un caso a sé, Crocetti lo è al punto opposto, grazie soprattutto ai mezzi finanziari di cui la casa editrice gode per peculiarità del fondatore. Ma sono abbastanza convinto che pochi titoli di Crocetti avvicinino i numeri di vendita delle collane delle case editrici di cui sopra. Minimum Fax, come è noto, rifiuta di pubblicare poesia italiana e ha dato spazio soltanto a alla poesia americana, dai colossi Bukowski e Carver a Mark Strand e antologia West of your cities. La Fandango ha tutte le potenzialità per essere un best seller anche di poesia, e va ammesso che si sono specializzati, loro modo, nella pubblicazione di opere ibride in versi: dai due poemi “cinematografici” della Dorothy Porter (La maschera di scimmia, Che gran capolavoro…) al Voltolini di Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia al fresco di stampa Golden Gate di Vikram Seth. La Fandango, come qualcuno ricorderà, ha pure pubblicato l’antologia della poesia di Beppe Salvia.

    A seguire inizia l’elenco delle molte piccole e medie case editrici che gestiscono collane di poesia, come la Donzelli, la Marcos Y Marcos, vecchia e nuova Scheiwiller, Medusa Edizioni, Luca Sossella, Empiria, Manni, Jaca Book, ES / SE, Raffaelli, Pequod, Moby Dick, Edizioni Joker, la collana Niebo…

    Le riviste sono l’ultimo tassello di una catena alimentare che non ha alcun punto di equilibrio.

    Nasce prima la rivista o la collana di poesia connessa? L’uovo o la gallina? Uno dei fenomeni più interessanti è certamente quello delle riviste, che nonostante la povertà finanziaria di cui la poesia si nutre e che a sua volta sembra in grado di alimentare, ha visto la pubblicazione di autori di interesse, di qualità, di futuro certo – toccare legno o ferro, please – come è stato per le Edizioni Atelier, per la Mosca di Milano, per Anterem, per La Clessidra. Da queste fucine sono uscite e stanno uscendo voci importanti, che in qualche modo lo sono e lo saranno.

    Basta questa carne fresca a dare una svolta?

    Il tempo lo rivelerà. Per il momento è osservabile entusiasmo ma i risultati, libri alla mano, sono pur sempre gli stessi che si potevano constatare in precedenza.

    La forza del poeta che sa resistere – un insegnamento che ho ricevuto in dono dalle tante piccole compagnie teatrali a conduzione familiare che ho frequentato in questi anni – è quello di far diventare punti di forza quelli che possono essere percepiti come punti di debolezza.

    Il poeta, le piccole iniziative editoriali come le Edizioni Torino Poesia, i festival di poesia – Poesia Presente a Monza, Parco Poesia a Riccione, i Festival di Genova e Roma e Firenze e Monfalcone e tutti gli altri che non abbiano alle spalle Ministeri e assessorati particolarmente avveduti, ovvero la quasi totalità dei casi… – non si debbono porre l’obiettivo di conquistare le pagine dei quotidiani, di penetrare la forza respingente della televisione, di competere con la distribuzione nelle librerie della narrativa e dei bestsellers. Sono punti di approdo sbagliato. Il poeta e coloro che nella poesia credono e investono tempo, energie, talento, devono innanzitutto pensare alla qualità dell’opera, e a creare condizioni di continuità. Qualsiasi sportivo e per le medesime ragioni, qualsiasi scultore, pittore, attore, sa che la continuità è la condizione imprescindibile per migliorare costantemente, pur nell’ovvia possibilità di sbagliare, che è prerogativa dell’essere umano.

    Ho sempre ritenuto una sciocchezza la pretesa al capolavoro, pensiero costante nell’approccio dei buoni figli di famiglia borghese a tutto ciò che è arte o cultura: per chi scrive, la poesia, come la letteratura o ogni forma di espressione è innanzitutto lavoro costante, forgiatura, artigianato, e al contempo non può che essere agricoltura, sudore, schegge che rimbalzano sul viso e terra e fango che restano attaccati alle mani. Non serve a niente essere fatalisti o schifosamente presuntuosi.

    Essendo figlio di un falegname e di una donna che andava a fare le pulizie nelle abitazioni signorili della Bergamo alta, ho sempre guardato all’uomo senza badare troppo alla forma e con un pizzico di sospetto. Lo stesso sospetto che hanno coloro che sono oggetto di vessazioni e discriminazioni, peggio ancora di vero e consolidato razzismo. Si parla infatti spesso del razzismo nei confronti delle cosiddette minoranze, nei riguardi dell’uomo di colore – quale colore poi – ma non si parla quasi mai del razzismo al contrario, del razzismo e della diffidenza, delle discriminazioni che dall’interno di chi è discriminato esiste in senso opposto, oltre che delle divisioni esistenti nei singoli gruppi. Il teatro ha invece mostrato spesso questo limite dell’essere umano. La drammaturgia di un Bernard Marie Kóltes, di un Heiner Müller o di un Antonio Tarantino, la rabbia insita nella politica di rivendicazione dei diritti degli omosessuali, sono tutti esempi di un delicato inequilibrio vigente nella complessità della società liquida in cui viviamo.

    La mentalità del poeta rappresenta l’ostacolo più grande per la poesia.

    Ritengo che sia importante riprendere contatto con la realtà, con il territorio. Il poeta ovviamente ha come riferimento primario la comunità dei poeti, dai critici ai poeti delle generazioni precedenti, dalla riviste sparse sul territorio ai festival. Però c’è dell’altro: il poeta ha perso di vista la propria terra, sia essa di nascita o di approdo. Deve conquistare innanzitutto un rapporto col territorio, smetterla di ricorrere i critici – che intanto hanno le loro idee su ciò che dovrebbe fare un poeta e spesso non possono contenere o regolarizzare il passaggio di tutti coloro che scrivono – e guardare oltre il solito piccolo circolo dei poeti a rischio di estinzione.

    I festival dovrebbero darsi una mano, coordinare azioni in comune, invece di perpetrare la solita diffidenza italiana da guelfi e ghibellini, le invidie reciproche fra paesi vicini. I direttori dei festival stanno tutti facendo i conti con la crisi che l’Italia e l’Europa sta attraversando, anche se i politici fanno finta di niente e preferiscono camuffare in rallentamento un reale recessione, con la diminuzione di risorse disponibili da soggetti pubblici, da istituti di credito e fondazioni, dai privati. E’ un dato di fatto che anche le imprese commerciali sono in netta difficoltà. E’ quindi necessario convergere, collaborare, insomma, darsi una mossa!

    Torino Poesia sta cercando di dare il proprio contributo nel presente della poesia e della creatività. Con tutti i limiti del caso, ma certamente senza mancare di entusiasmo.

    anonimo

    24 luglio 2008 at 18:12

  6. Torno a ribadire un concetto già espresso in precedenza su questo blog. Credo che il modo migliore per attirare l’attenzione sulla poesia sia quello di sfruttare le grandi possibilità di internet mescolando l’argomento poesia ad altri temi che possono attirare un pubblico più ampio. Sul mio blog ad esempio ho pubblicato molti interventi dedicati ai più svariati temi storici e letterari, anche per “catturare” fasce di pubblico abitualmente lontane dalla lettura della poesia.

    Un cordiale saluto a tutti.

    michelefabbri

    24 luglio 2008 at 18:43

  7. Poesia, in senso
    spirituale ,anche senza
    parole, in ogni tempo,
    viene raggiunta
    da pochissimi in pochi
    momenti di intere esistenze
    a lei dediti.

    Poi con gli scrittori in versi,
    i poeti entra nell’800 nella
    forma sublime della
    sconfitta,dove
    spesso tutt’ora crogiolano
    tutte gli epigoni delle
    cosidette “liriche dell’io”.
    Ed anche il web testimonia.
    Nel postmoderno occidentale
    subisce comunque il destino della merce
    di ogni merce direi:
    Compiuto anche il suo outing
    oggettivo dagli anni ’70
    fino ad oggi,dissolve
    nell’abbondanza,
    ma ha una virtù indissolubile
    e trasmissibile sempre.

    La resistenza del fare.

    Per questo seleziona il dire
    per comunicare un azione
    del sentire sensoriale.

    Con/dividendo.

    Ed è questo l’inizio sempre
    possibile da qualsiasi punto
    del tempo e dello spazio.

    Via che si traccia da soli con le parole.
    Il bisogno più profondo.

    Il resto è già stato smascherato
    nel ‘900: non vi è
    festival,performance,letteratura,
    media ecc. che le restituisca
    pienezza perchè entra nella coazione
    della rappresentazione,
    ha il falso bisogno dell’applauso,
    del posizionamento Google,
    per questo ,come affermava/afferrava,
    Carmelo Bene,dobbiamo
    “Essere ad ogni accadere postumi”
    per ridonarle la linfa del vivente.
    Da questa prospettiva ,dunque,
    La strada è appena iniziata.
    Vi è moltissimo da fare.

    Alberto Mori

    anonimo

    24 luglio 2008 at 19:28

  8. a un poeta dovrebbe bastare la poesia, o no?
    tutto il resto è dettaglio.

    anonimo

    24 luglio 2008 at 22:30

  9. Mi convince l’analisi di Sinicco sui buoni lettori da seguire per incontrare la buona poesia.
    Peraltro, al sostanziale ottimismo suo e di molti interventi, si contrappone la visione di Assiri…

    In occasioni come queste porto sempre ad esempio l’esperienza felice dell’Associazione Il ponte del sale (Rovigo). Il loro modo di costruire eventi che durano nel tempo, di editare e di scoprire, dovrebbero incoraggiare.
    Altra riuscita esperienza associativo-editoriale, ben nota, è quella di Anterem (Verona).
    Insomma: imparare da chi ha dimostrato di far bene

    Antonio Fiori

    anonimo

    25 luglio 2008 at 08:03

  10. Ci dice Matteo Fantuzzi : che fare per far conoscere la buona poesia?

    Mi soffermerei un attimo, sullo strumento di ultima generazione che ha cambiato il modo di vivere dell’intera collettività mondiale: internet.
    Questo mezzo ad oggi quanto ha inciso sul modo-mondo della comunicazione poetica?

    Se ci pensiamo bene il fenomeno digitale è molto recente dieci anni forse quindici, con una accelerazione negli ultimi tempi grandissima. Anche qui c’è blog e blog, sito e sito, su una proposta vastissima dove lo scadimento letterario è sempre dietro l’angolo, come d’altronde con la pletora di case editrici.
    Quindi direi che i termini del problema, anche se originano da fonti diverse, tornano sempre al punto focale che è quello di una sovrapproduzione di scrittura, che il più delle volte non riceve alcun filtro, ora non importa se si trovi su carta o altro formato.
    In questo ampio spazio chi legge cosa?
    Per inciso ricordo che in Italia, a fronte di quattro milioni di presunti poeti, sono due/tremila i lettori di poesia, eccedendo forse, e ancor meno quelli che se ne occupano criticamente. Questi penso sono numeri imbarazzanti. Tanti mettono sul quaderno i loro pensierini, non avendo mai letto la poesia non dico dell’oggi ma di nessuna epoca storica.
    Naturalmente ci sono siti dove si parla seriamente di poesia e di critica poetica. Solo il tempo ci potrà dire se il digitale, con le sue enormi potenzialità, un giorno si sostituirà definitivamente alla carta. Oggi vedo un parallelismo tra i sistemi anche se quello cartaceo è in flessione e questo comunque è indice di ricchezza.
    Spero il libro ma questo è un desiderio personale, non sparisca mai dalle letture.

    Per far conoscere la buona poesia, penso che occorra invertire quella cifra sopradetta
    al di là dei modi attraverso i quali si è conosciuto, si conosce, si conoscerà la poesia.

    Guido Monti

    anonimo

    25 luglio 2008 at 10:46

  11. “che fare per far conoscere la buona poesia?”

    La domanda credo non abbia senso se il discorso è limitato alla ricerca di una strategia efficace di promozione.

    noi poeti (o presunti tali) dovremmo innanzitutto interrogarci sulla qualita’ di quello che scriviamo e, al limite, autocensurarci.

    L’idea di arrivare a stilare un codice etico della poesia suppongo sia demenziale, però qualche accorgimento non guasterebbe cominci chi scrive a mettersi in una posizione meno autoreferenziale (magari cominciando dalle note biografiche).

    e’ possibile secondo voi fondare una comunità stilando principi comuni che vadano in questa direzione?

    Gabriele Quartero

    anonimo

    25 luglio 2008 at 11:39

  12. Ciao Antonio, sinceramente non so se sono ottimista…anzi, condivido parte delle parole di Fratus, nel senso che questa generazione di nati anni 70 non è detto sia capace di cambiare qualcosa dell’ambiente letterario in primis. E’ fondamentale prendere coscienza dell’individualismo di questa generazione affinché ci si possa confrontare senza steccati ideologici o lobbystici, e con durezza, ma anche apertura. Sia chiaro poi che oper me Torino Poesia o Absolute o Genova non è un uomo, ma so che attraverso Torino Poesia Fratus si fa conoscere e pubblica e si promuove; lo stesso vale per me che sono stato invitato ripetutamente ad Absolute e che scrivo su un blog…diciamo le cose come stanno Tiziano!

    Credo che la nostra sia una generazione che discute ancora poco di poesia, e sia in parte presa da vecchi modi di confrontarsi e relazionarsi o ottusamente individualista, che non ha tempo per approfondire alcuni temi soprattutto sociali e rilevanti sul piano estetico, che denota dai testi poco coraggio nel dire cosa si pensa e molto coraggio nell’indicare (ma non troppo) quello che si vorrebbe questa società fosse, e che comunque un lettore comune deve estrarre dal testo come una foto dal negativo…penso di essermi spiegato.

    Insomma ci sono un po’ di cani sciolti in un mare di pescecani e sirene, e forse i cani sono un po’ sirene e pescecani.

    Sinicco

    anonimo

    25 luglio 2008 at 16:20

  13. Sei stato molto chiaro, Christian. Sulla rilevazione del poco coraggio sono abbastanza d’accordo (e per certi aspetti potrei fare autocritica); in realtà credo che spesso questo dipenda più dall’idea di poesia ‘professata’ o cercata che dalla paura di esplicitarsi. Io ad esempio ritengo che la poesia debba essere mascheramento, trasfigurazione o reinvenzione di fatti accaduti realmente o di cose pensate…
    la sua comunicazione è poi un grande problema: è utile che i poeti vadano nelle scuole per proporsi o parlare dei loro autori di riferimento? Ha un senso organizzare ‘eventi’ ciascuno con la propria associazione culturale o è meglio coordinarsi con le altre, cercare di lavorare a un livello superiore, con più possibilità di farsi ascoltare (a costo di qualche piccolo compromesso)? E il passaggio di molti, anche da ‘ditte individuali’, all’attività editoriale a quale destino è votato?
    Questo avevo in mente quando citavo Il ponte del sale e Anterem

    cari saluti
    Antonio

    anonimo

    25 luglio 2008 at 22:38

  14. grazie a tutti gli intervenuti e a chi privatamente mi ha già detto interverrà nei prossimi gg.

    se devo dire un poco la mia e anche il senso di questa cosa (senza per forza cassare la discussione, perchè sono già venute fuori alcune cosine molto interessanti) il motivo per continuare a chiedersi come “portare avanti” (a quei 4 milioni di scrittori di pensierini sui bigliettini, in sostanza a quei 4 milioni di potenzialmente sensibili alla poesia) la poesia è proprio questo, non “come diventare ricchi e famosi”, ma come fare in modo che quello che “tocca” i pochi lettori di poesia in italia ne possa toccare decisamente di più. a me delle questioni di vendita interessa il giusto, più come fenomeno e considerando (non facciamo i puri al 100%) che per mettere su una casa editrice bisogna per lo meno non fallire. ma per me come nel fare poesia per non fallire bisogna pubblicare poco e bene. meglio un libro che fa 1000 copie che 20 libri che (forse) ne fanno 50. e l’unico parametro deve essere la qualità.

    anche perchè non possiamo pensare a mandare avanti un sistema rivista come negli anni ’80 dove metti su chi sta simpatico a te e gli altri affanculo. se oggi ci troviamo in questa situazione è anche per questo. dobbiamo immaginare un sistema ulteriore che proceda di pari passo col primo e la rete ce ne offre possibilità, poi dobbiamo saperlo sfruttare, perchè se volessimo cambiare il mondo della poesia, e poi piazzare i nostri amici… insomma, saremmo un disastro.

    infine: in fondo si sta ragionando da tutta italia, comodamente ognuno dal proprio luogo, un convegno non sempre lo si può fare, anche in questo senso meglio farne uno in meno e magari più “lavoro sporco” in rete. intanto grazie a tutti.

    matteofantuzzi

    26 luglio 2008 at 07:50

  15. (piccola nota personale, parto ora per terzolas, in trentino, dove sarò presente al festival questa sera e domattina presenterò kobarid. domani sera 26.07 alle 22 ai giardini del baraccano, insomma ai giardini margherita a bologna farò altrettanto).

    matteofantuzzi

    26 luglio 2008 at 08:00

  16. matteo dice:
    …come fare in modo che quello che “tocca” i pochi lettori di poesia in italia ne possa toccare decisamente di più…

    credo in questo senso che la poesia
    debba necessariamente diventare un “oggetto”…( non ricordo più dove ho letto questa cosa…forse in un epigrafe sulla home di qualche blog…)
    ma personalmente credo non sia poi
    un’affermazione tanto infondata…solo che per realizzare tale idea ( un autentico rivoluzionario progetto )
    ci vorrebbero dei vettori veramente potenti…e all’orizzonte disposti a rischiare nel nome della poesia purtroppo non se ne vedono

    .tonino vaan

    vaan60

    26 luglio 2008 at 18:23

  17. Antonio, io credo che qui si voglia discutere semplicemente aspetti molti complessi, ma io partirei da alcuni fatti.

    1.il pubblico non è controllabile: le risposte e reazioni di fronte un’opera non sono preventivabili, ma osservabili (faccio l’esempio di alcuni film americani che nei dvd mettono anche il finale alternativo…ci sono dei gruppi che guardano i film coi diversi finali; poi c’è la raccolta delle informazioni e le statistiche sulle preferenze; infine la scelta del finale). Con questo voglio dire che bisogna provarsi in pubblico, anche molto ristretto di due tre amici, fare esperienza iniziando da lì, discutendo. Gli artisti rischiano qualcosa sull’opera, ma non è detto che tutti questi tentativi siano rappresentativi di una buona interazione. Credo si debba lavorare su questo versante, dall’interno del processo di formazione dell’opera, ovvero farne una performance, senza ritenere le prerogative individuali estetiche o teoriche di vario genere più importanti degli orientamenti che emergono dal processo. Questa è l’attività di un individuo, che poi collaborerà con altri, ma voglio tagliare la testa al toro dei gruppi, gruppetti, associazioni… ognuno sta solo sul cuor della terra, e il suo lavoro è a monte: non è detto che una sorgente diventi ruscello, torrente, fiume, ma modificherà quella parte del territorio.

    2. Centrati sull’aspetto che è l’individuo a fare, possiamo anche scrutare altri aspetti collaborativi: fare un gruppo di lettura, un’associazione, organizzare reading, ascoltare e discutere, criticare, etc…anche questo fare apporterà feedback al punto 1.

    3.Relazionarsi sul territorio, relazionarsi con altri poeti…tanta curiosità, tanta critica, ma soprattutto dire come la si pensa in faccia sempre (sarebbe meglio appuntarsi sto fatto dal punto 2) senza troppi giri

    la poesia come oggetto, è una cosa che mi fa ridere, la poesia è molto di più.

    anonimo

    27 luglio 2008 at 11:50

  18. ah, sì, la firma… Sinicco.

    sul “prodotto” poesia (libri, etc), scriverò dopo pranzo:-)

    anonimo

    27 luglio 2008 at 11:53

  19. christian …credo tu non abbia afferrato cosa intendo dire per oggetto…

    🙂 …io penso a qualcosa che sia
    quotidianamente visivo…
    e potrei fare una piccola
    marea di esempi al riguardo…

    poi che la poesia sia qualcosa di più…credo sia scontato

    ma per il pubblico vastissimo dei non adetti ai lavori, credo che la poesia debba arrivare come un fulmine…
    colpire in breve tempo per lasciare (almeno si spera) un piccolo segno…

    .vaan

    vaan60

    27 luglio 2008 at 14:59

  20. Tonino, dovresti spiegarti meglio… ma se ben intendo tu stai dicendo che dovremmo trattarla anche come un oggetto, e torniamo così al campo del “prodotto”. Tra l’altro mi sto accorgendo che siamo in pochi ad animare queste schermate (intanto penso di dire sì qualcosa sul “prodotto”, ma per tornarmene alla pigrizia che mi ha avvolto in questi mesi). Partiamo nuovamente da qualche fatto: c’è un uomo che sceglie di scrivere attorno un’idea più o meno vaga un’opera che sul piano del procedimento nutrirà aspetti teoretici, sia sul piano che potremmo definire funzionale (attribuendo alla lingua e ai segni funzionalità) che tematici…Ammettiamo che ce la faccia a scrivere un testo o una serie di testi. Trattasi di un poema o di una raccolta, questa per entrare nel campo del “prodotto” si riversa comunemente in una plaquette, in un libro, in un cd multimediale, in un’installazione, diviene la traccia per una performance, si può articolare attraverso uno spettacolo. Abbiamo visto come dalla scrittura si passi al prodotto, e prima ancora come venga informata e orientata un’opera attraverso un procedimento di formazione che ha come base principale la lingua.

    Diciamo che abbiamo un prodotto. Il prodotto dovrebbe avere la qualità di interessare qualcuno, altrimenti i costi di produzione non sarebbero ammortizzabili e il produttore non avrebbe un guadagno pur minimo.

    Se analizziamo la produzione attuale, vediamo che ci sono 1. molte antologie (ogni autore compra 10 copie, l’editore va in pari); 2. molte plaquette o libricini (il cui costo è nettamente inferiore ad un libro); molti libri (la maggior parte a pagamento…diciamo sui 1500 euro?); pochi cd con libretto dei testi (a me, personalmente, piacerebbe, vsito che mi accompagno a musicisti straordinari) e pochi cd multimediali (il costo di produzione di un cd non è che sia alto, l’unica cosa che incide sul prezzo è la qualità della registrazione sonora, che se fatta in studio alza il prezzo, anche se più o meno il prezzo che un editore medio fa pagare all’autore di poesia è simile a quello della produzione di un cd); poche installazioni (il costo è il materiale); diverse performance (se consideriamo un reading o uno slam una performance in senso collettivo) di varia qualità (il cui costo varia da zero al gettone di presenza del poeta); pochi spettacoli (curare l’esecuzione di un’opera di poesia non è da tutti); opera multimediale in internet (costo quasi zero).

    Un reading con autori del territorio costa 0…mentre per far spostare un autore ci vorrebbe un rimborso che consideri almeno le spese di viaggio, di vitto e alloggio, nonché tre giorni di lavoro o di ozio persi (che sono quelli del viaggio, del reading e del biaggio di ritorno, stando bassi 150 euro + le spese di viaggio vitto e alloggio; che ne so, io mi acconteterei di un trattamento così, ma se c’è già il rimborso spese di viaggio,vitto e alloggio, in Italia, è un miracolo). Innanzitutto penso che la qualità dell’organizzazione sia anche nel trattamento dell’autore. Ma la mia domanda è questa: se un circolo o associazione anche gruppo spontaneo di min 10-20 lettori vuole ascoltare un poeta, caspita, basta l’ospitalità, rimborso spese di viaggio, e una colletta minima. Il problema qui è: ammettiamo che si inviti un poeta più o meno piacevole a qualcuno, e questo fa una lettura orrida (che ne so mi viene in mente la lettura della Insana a Monfalcone), mi domando chi poi verrà più ad ascoltare poesia. Dunque per fare un buon reading, c’è bisogno pure di andare ad ascoltarsi il poeta. Insomma il fruitore di poesia o l’organizzatore deve cercare un prodotto soddisfacente.

    Il problema è, qui, definire cosa è soddisfacente e per quali motivi, e in quale ambito di produzione. A me pare che proprio per la mancanza di un ragionamente sulla produzione, la critica annaspi tra formalismi e sperimentalismi irrilevanti, quando ovviamente non assente del tutto o impiegata a fare la scambista di qualche nome per qualche antologia.

    Tornando ai libri…beh, le antologie, o indagano su qualche aspetto estetico o critico, o sono inutili (anche se fanno mucchio per la biografia); la stessa cosa vale per i libricini non rappresentativi di un’opera completa (ce ne sono una marea e tutti da scrivere in biografia). Sui libri, chi fa più presentazioni, più vende, se proprio non fa schifo – lo dico anche se internet ha un po’ rilanciato le vendite di libri, e molti poeti sanno che se vogliono vendere devono passare attraverso la bolgia dei blog, nonché fidarsi di alcuni lettori che poi li recensiscono. In internet…beh, costo zero (a qualche mila euro) come abbiamo detto, ma non produce biografia.

    Altri dettagli?

    anonimo

    27 luglio 2008 at 17:52

  21. Qualche anno fa pubblicai un articolo sul destino della nostra poesia.
    Quando uscì ci fu qualche polemica.
    Spero possa essere utile a questo interessante dibattito.
    un caro saluto
    nicola vacca
    Contro gli assassini della poesia

    La poesia laureata e accademica predicata e promossa dai soliti intellettuali legati al politicamente corretto di certi ambienti culturali, preoccupati di conservare una baronale egemonia culturale è il male diffuso che compromette lo stato della poesia contemporanea e del suo ruolo culturale e sociale.
    Contro questi assassini della poesia , che chiameremo i poeti effimeri delle cose che scrivono per apparire e non per essere, si leva alta e dignitosa la voce della poesia del cuore e dello spirito , unico avamposto in grado di contrastare il conformismo narcisistico di coloro che tentano di uccidere i contenuti della poesia con una sorta di operazione di marketing legata alla promozione del loro ego.
    Non ci resta che continuare a scoprire le opere autentiche di poeti che scrivono versi perché credono che la poesia debba essere salvata: quel che conta e l’opera senza la quale nulla avrebbe ragione di essere.
    “Bisogna indicarli gli assassini della poesia- scrive polemicamente Giuseppe Conte- non sono certo il popolo , i ragazzi e le ragazze, i lavoratori, gli anziani, le persone comuni, ma sono tra i poeti e gli intellettuali stessi almeno tra quelli che vivono di rendita, su vecchie posizioni nichiliste, materialistiche ed eurocentriche, sono fra quei borghesi corrotti, cinici ,conformisti, pigri ,incolti che rappresentano il ventre molle della classe dirigente italiana, sono tra i cultori del trash, sono tra coloro che attaccano e avvelenano la Madre Terra, sono tra i sostenitori di una inedita gerarchia in cui Denaro e Tecnica occupano il primo posto nella scala dei valori”.
    L’atto di accusa di Giuseppe Conte punta il dito contro l’ipocrisia di un certo mondo culturale del quale fanno parte anche quegli intellettuali che amano sulla carta definirsi poeti ma poi nella vita sono soltanto degli astuti calcolatori a caccia di proficue rendite di posizione.
    Gli assassini della poesia sono presenti non solo tra i poeti. Ma la rete della loro organizzazione si estende soprattutto nell’intero mondo dell’editoria e della comunicazione: li troviamo nelle case editrici , nelle redazioni dei grandi giornali , nei talk-show.
    Tutti pronti a usare il nobile concetto della poesia per promuovere il prodotto effimero della loro immagine.
    Sì perché, gli assassini della poesia, che siano poeti o critici letterari o giornalisti politicamente corretti, credono che anche il senso profondo del linguaggio e del pensiero possano essere usati come merce dell’economia di mercato.
    Sono numerosi gli assassini della poesia che, nel nome della poesia, si sono creati profitti e tornaconti personali e magari hanno scritto dei libri di cui non rimarrà traccia.
    La mediocrità del mondo culturale è tutta rappresentata da questi signori che amano riconoscersi in scuole dalle porte chiuse ed elitarie aperte solamente a coloro che sposano il loro credo. Consorterie politicamente orientate composte da intellettuali travestiti da manager, imbonitori e venditori, servi sciocchi del potere culturale generato dalla loro stessa ambizione materialista di cavalcare le scene di un protagonismo asservito al vuoto effimero che esprimono.
    Gli assassini della poesia, li vediamo sfilare , presenzialisti in ogni dove, con la maschera del conformismo, sempre pronti ad abbracciare il credo prevalente di turno, intellettuali asettici di corte senza dignità, valori, per gigioneggiare al centro di una scena popolata da nani, ballerine e inutili comparse.

    nicolavacca

    27 luglio 2008 at 18:09

  22. io la intendo ( la poesia da trasmettere ai non addetti ai lavori )
    non come un prodotto commerciale
    …ma come un prodotto (oggetto mi suona meglio per l’appunto) visivo

    immaginiamo una statua
    collocata da un’amministrazione comunale nel bel mezzo di una piazza…fa di sicuro la sua bella figura.
    ora pensiamo alla stessa stregua,
    al suo posto, ci sia una poesia
    sulla pietra in rilievo, o ancora meglio
    in forma di proiezione visiva notturna, una specie di enorme
    diapositiva…
    con la possibilità settimanalmente
    di essere rinnovata (nel senso si mette un testo diverso) dai responsabili dell’iniziativa…
    quindi una poesia “oggetto”

    oppure creare non uno, ma svariati punti o settori; angoli per le vie, in metropolitana,
    ovunque sia possibile; dove vi possa essere l’opportunità di leggere
    una poesia ( anche in questo caso la poesia è oggetto perché materialmente è proprio lì…che uno la vede…)
    ecco io penso che così ci sia poi anche la possibilità di poterla toccare veramente dentro…interiormente …proprio perché non arriva
    in maniera “imposta” ma in modo indiretto e continuo ma senza obblighi di sorta…

    un po’ come una canzone che passa per radio…uno la sente e vuole riascoltarla…
    abbiamo a che fare con i “barbari” in questo campo…penso quindi vadano trovate strategie diverse
    …non i soliti reading o dibattiti che riescono a coinvolgere solo chi è veramente interessato

    …avevo premesso che il discorso è molto utopico…perché di vettori ( finanziatori ) del progetto non se ne vedono…però penso sia la strada migliore…

    una volta ho anche immaginato che a bandire un concorso di poesia potrebbe essere una qualunque famosa casa di abbigliamento…
    al vincitore o ai vincitori si darebbe l’opportunità di stampare le poesie sulle maglie…e le maglie poi vendute…un prodotto …oggetto poesia…
    avremmo così la possibilità concreta di girare per le strade e vedere poesia sotto gli occhi di tutti
    ( questo progetto ancora più utopico forse…ma ancora più potente…pensiamo se a patrocinarlo fosse il ministero della cultura…allora si che la poesia avrebbe un alleato forte e concreto)

    penso che le strade siano queste…

    immaginate per un attimo la potenza degli schermi negli stadi…una poesia oggetto filtrata ogni tanto tra la pubblicità…

    solo che dico eresie…
    ma non arriviamo di certo ai barbari con i libri…

    .vaan

    ps. non so se ci siano dei refusi, nel caso me ne scuso in anticipo

    smile

    vaan60

    27 luglio 2008 at 18:33

  23. Penso Tonino che qualcosa di simile è stato fatto sui cartelloni pubblicitari di Milano durante gli anni 80…sembrava pubblicità invece erano poesie, e ne parlava proprio Antonio Porta in un bel libro sulla pubblicità…di cui però ora non ricordo il titolo, qualcosa tipo lo specchio della seduzione se non erro. Quindi qualcosa è già stato fatto in merito, e ha pure avuto successo. Ma l’Italia non è così attenta alla promozione sociale dell’arte.

    @Nicola: ci sono diversi tipi di carnefici, non solo quelli esposti da te…tipo gli editori che chiedono 2000 euro per pubblicare un libro senza nemmeno leggere le bozze. Alle volte però bisognerebbe parlare, e scrivere, di coloro che qualche cosa fanno. Come detto, l’era dei maestri è finita.
    Christian

    anonimo

    27 luglio 2008 at 20:25

  24. Sinicco, potresti descrivere brevemente dove sono a tuo parere (e in chi) gli elementi di innovazione piu’ interessanti nel panorama poetico nazionale? Grazie. —GiusCo—

    anonimo

    27 luglio 2008 at 22:45

  25. Riprendiamoci l’aureola

    Non credo, come ho già scritto altrove, di potermi unire, convinto, a coloro che magnificano le nuove prospettive di diffusione della poesia che si aprirebbero grazie a fenomeni come i festival, le letture, gli slam: fenomeni perlopiù occasionali, transitori, episodici, destinati a cadere, restare inghiottiti e infine dissolversi nell’indistinto flusso cronistico e mediatico.
    Inevitabilmente, il pubblico dei reading volge la propria attenzione più al “personaggio” (alla gestualità, la postura, la dizione, o, più banalmente, l’abbigliamento e l’aspetto fisico) del “giovane poeta”, e ancor più della giovane poetessa (o presunti tali), che sulla sostanza intellettuale, umana e stilistica dei testi; aspetti, del resto, questi ultimi, che possono essere recepiti a fondo solo da un pubblico dotato di quel gusto, quella sensibilità e quella cultura che erano e sono appannaggio quasi esclusivo delle ristrette cerchie (i danteschi “fedeli d’amore”, i “pochi” che “drizzarono il collo per tempo al pan de li angeli”….) in cui, del resto, la poesia d’arte ha sempre trovato, con qualche rara, peculiare e discutibile eccezione, i propri interlocutori privilegiati e i propri “lettori ideali”, ben al di là dell’istrionico esibizionismo (che tanta fortuna sembra riscuotere presso le masse televisive e il mondo dell’informazione) dei guitti e dei giullari.
    A ben vedere, anche le forme “popolari” e “spontanee” di scrittura letteraria (da Ciullo d’Alcamo alla poesia goliardica e comico-realistica del Medioevo al Ruzante, dal Folengo al Pulci, dal Berni all’Aretino………. fino, se mi si perdona l’abissale salto contestuale e spazio-temporale, alle pagine più consistenti, più profonde e più filtrate di poeti-divi come Ferlinghetti, Ginsberg o Gregory Corso), su cui si spargevano, e a volte ancora si spargono, gli incensi di tanta retorica populista, agli occhi del lettore attento e competente (“at the cursory glance of the connoisseur”, diceva Poe) mostrano tutta la loro essenziale natura di opere elaborate da artisti colti e consapevoli, da abili e scaltriti artefici della parola, da letterati accorti e raffinati, da giocosi, e insieme lucidi, manipolatori di moduli, strumenti, registri.
    Chi, fosse pure nella più totale buona fede, cerca di rendere la poesia “popolare” e “condivisa” tramite la lettura, il festival, l'”evento” rischia invece, paradossalmente, di finire per fare, senza volerlo, il gioco della società dello spettacolo — della logica omologante e vorace, vorticosa ed onnivora, indistinta e contaminante, propria del “tardo capitalismo”.
    “Tutto ciò che era direttamente vissuto”, scriveva Guy Debord, “si è allontanato in una rappresentazione”. “Lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, è il movimento autonomo del non-vivente”. La poesia è invece (per parafrasare ancora Debord), strumento della “coscienza del desiderio” e del “desiderio della coscienza”, si avvale del “linguaggio fluido dell’anti-ideologia” (“dum loquimur, fugerit invida aetas”; “si esauriscono in corpi in un fluire / di tinte; / queste in musiche……”), dialetticamente opposto al “presente estraneo”, al tempo “gelato” o “pietrificato”, dell’immagine mediatica, dello pseudo-evento investito, almeno implicitamente, di un’artefatta pretesa di storicità (nella misura in cui, di fatto, si consegna ad una cronaca che difficilmente sa rinunciare all’aspirazione, confidente e insieme illusoria, di farsi storia).
    Perché, nella civiltà dell’immagine, non è più la pagina scritta (opaca, umbratile, immolata al buio e alla polvere, già determinata, ancor prima di essere concepita e di vedere la sua oscura luce, al proprio oblio essenziale e irrevocabile), ma quella detta, pronunciata, letta, filmata, “diffusa”, a rivendicare nel modo più sonoro il proprio presunto diritto all’archiviazione, alla “museificazione”, alla paradossale ed equivoca perennità delle videoteche.
    Pare poi lecito dubitare che il pubblico dei festival e delle letture possa passare in massa dall’ascolto alla lettura. Come faceva notare, fra le righe, Matteo Fantuzzi, al dilagare dei tanti eventi (o più o meno promozionali ed artefatti pseudo-eventi) legati alla poesia non fa riscontro un significativo aumento della diffusione e della fruizione delle pubblicazioni di poesia.
    Come osservava, più di vent’anni fa, Umberto Piersanti nel suo equilibrato studio La poesia diffusa, “la poesia continua a pretendere, oggi più di prima, un rapporto diretto ed impegnativo con la pagina. (…) Il testo non può essere risolto nella dizione e neppure nella sua mimesi o teatralizzazione”. La poesia, osservava Cesare Viviani in un saggio significativamente intitolato Il mondo non è uno spettacolo, “non può che essere letta sulla pagina (la lettura orale riflette l’emotività, l’epica, è teatro)”. Non è casuale che questa limpida autocoscienza si trovi nelle lucide e preziose pagine teoriche e saggistiche di due fra i poeti italiani più coerenti, solidi, culturalmente consapevoli.
    Il pubblico delle letture (che alimenta la “spettacolarizzazione della poesia” a cui si sta assistendo) si appaga, evidentemente (ed era, in un recente intervento, Alessandro Carrera, un altro critico-poeta di spessore, a rimarcarlo), del contatto collettivo, condiviso, visivo e uditivo, con il poeta-esecutore, e in genere non sente, successivamente, l’auspicato bisogno della profonda, meditata e limpida risonanza interiore della lettura; non vuole, non sa o non può immergersi nel “silenzioso concerto interiore” che, diceva Mallarmé, si scioglie e si effonde dalle pagine del Libro. La fruizione poetica è, così, perfettamente assorbita nella logica della civiltà di massa, nella sfera superficiale e moritura dell’immagine.
    Certo (ben lo vide Pareyson, e i romantici prima di lui), anche la letture silenziosa, assorta, raccolta è, in certo modo, “esecuzione” quasi in senso musicale, cioè risurrezione, rivisitazione, ricreazione, del testo. Ma ben diversa, più libera e pura, è la risonanza interiore del pensiero, cioè del dialogo che (dice il Platone del Sofista) l’anima intreccia con se stessa in silenzio, rispetto a quella (così esposta e spalancata all’esibizione, alla consumazione istantanea, al transeunte, all’effimero) della performance.
    La poesia rischia di riuscire culturalmente, gnoseologicamente, anche ideologicamente (proprio lei che dovrebbe essere, diceva Raboni, un “osso”, esile ma acuminato, celato ma sottilmente molesto, nella “gola del capitale”), depotenziata e resa innocua proprio nel momento in cui si cerca di renderla più diffusa, visibile, incisiva, influente (diverso, e da affrontare a parte, il discorso per quei poeti, come Lello Voce o Rosaria Lo Russo, per i quali la “voce dell’inchiostro”, l’attitudine di un testo già pensato teatralmente, in vista e in funzione della sua “esecuzione”, rappresenta, a livello di teoria come di composizione, un aspetto essenziale e consustanziale).
    La consacrazione, la risonanza, la luce del giorno cui la poesia diffusa, esibita, declamata o gridata, sembra aspirare hanno, invero, l’artefatta fissità, la stereotipata esteriorità della comunicazione mediatica. Al contrario, è semmai proprio la pagina scritta e stampata a salvaguardare la perennità fluida e mutevole, la perpetuità mobile e vivida di un discorso che si porge ai secoli, offrendosi alla solidale, e virtualmente inesauribile, catena delle riletture e delle interpretazioni.
    La questione non mi sembra molto diversa per i blog, che pure potrebbero essere (e nei casi migliori sono) straordinari strumenti di dibattito e di documentazione, o addirittura di memoria storica (pur se a breve termine).
    Ma scrivere nei blog, è stato detto, è come scrivere sulla sabbia, a due passi dal mare: come abbandonare i propri pensieri e le proprie parole ad una postmoderna, “liquida” deriva di messaggi frettolosi, vani, spesso estranei e, come si dice, “out of topic”, o inutilmente e superficialmente polemici, da cui la sostanza del discorso viene accerchiata, assediata, sommersa, fino a risucchiarla, ad abolirla, a farla svanire nei gorghi avvolgenti e torbidi della marea mediatica.
    Paradossalmente, il discorso dell’arte e sull’arte non sembra essere mai stato tanto esposto alla caducità, alla superfluità, all’effimero, quanto nell’era della sua illimitata ed impersonale “riproducibilità“, che oggi la galassia digitale e virtuale ha ulteriormente ed impensabilmente dilatato rispetto ai tempi di Benjamin (come a quelli di McLuhan).
    Il “ritorno all’oralità” (in sede di scrittura virtuale) di cui i massmediologi hanno parlato a proposito dell’era digitale àltera e perverte la natura riflessiva, meditata, sorvegliata che dovrebbe essere propria (almeno sul terreno letterario, poetico e critico) della parola scritta.
    Io, paradossalmente, sto scrivendo in un blog…….. Come Michelstaedter, “io parlo perché parlo, ma so che non persuaderò nessuno”.
    Credo che, nell’era dello spettacolo e dell’oralità di ritorno, i poeti debbano “riprendersi l’aureola”: raccoglierla dal fango non per rimettersela orgogliosamente sul capo, ma semmai per conservare religiosamente (e umilmente, ma con infinito e doloroso amore), nel quieto e difeso segreto di un tempio interiore, quel poco che, pur corroso e vilipeso, ancora può restarne. Alla crisi della letteratura bisogna rispondere (parafrasando uno degli ultimi scritti di Guido Guglielmi) con un di più di letteratura (e magari di “letterarietà“), di cultura, di riflessione, di autocoscienza; fosse pure – orrore – di erudizione e di accademismo.
    Che difficilmente, temo, potranno venire da quelle rassegne, da quelle parate o sfilate, vuote e vane, che sono, nella maggior parte dei casi, premi, festival, letture, o da quel “folle farnetico”, da quell’indistinta…

    anonimo

    28 luglio 2008 at 00:10

  26. …Chiacchiera che sono perlopiù destinati a restare, a meno che non vengano moderati e gestiti con maggior cura e attenzione, i blog letterari.
    In questi giorni sto lavorando su Persio, autore che “scriptitavit raro et tarde”, e che parve oscuro e libresco già ai contemporanei; un poeta che, proprio nell’età di Nerone, disdegnava il circo, le esibizioni, le declamationes, e privilegiava la riflessione tormentosa, la ricerca stilistica e sapienziale, l’essenziale ed infaticabile labor limae.
    Una solitudine eroica, certo, la sua, degna di un antico sapiente. Ma è, forse, proprio questa la condizione (si pensi a Serra, a Proust, a Kafka, a Rilke……) che l’uomo di lettere (per quanto costretto ad una qualche forma di più o meno virtuoso commercio con la società e con gli uomini — con quello che Bigongiari chiamava il “tempo minore”) deve abbracciare e patire.

    Questo è l’uso dei poeti: pretendere
    per sé cento voci, cento bocche, cento
    lingue desiderare che riecheggino
    i loro versi.

    (…)

    Nel segreto io parlo. Oggi che la Musa mi ispira,
    ti porgo, perché tu le indaghi, le profondità del mio cuore.
    Matteo Veronesi

    anonimo

    28 luglio 2008 at 00:11

  27. Ciao, Matteo! Non ho risposte da darti, per lo meno dovrei pensarci un attimo, e quindi, se ne darò, lo farò succesivamente. Se sono capitata qui è solo perchè ti ho ascoltato questa sera al Baraccano, e le tue poesie mi hanno colpito moltissimo. Non ti conoscevo ed è stata davvero un’esperienza molto piacevole. Ottimi testi, bellissimo quello sulla stazione di Bologna, le parole evocative usate con molta sapienza.
    Ora faccio un giro nel blog, per scoprire dove posso acquistare il tuo libro.
    Poi, magari, ritornerò qui per dare qualche risposta alla tua interessante domanda.
    E probabilmente domani parlerò anche di te nel mio blog.
    In bocca al lupo (…non Angel… ) per tutto.

    Milvia

    Soriana

    28 luglio 2008 at 00:22

  28. Tutti gli interventi – così acuti, articolati, profondi – che hanno preceduto il mio mostrano, di per sé, che il valore dei siti, dei blog, dei forum (se usati in modo misurato ed oculato) per il dibattito culturale e letterario è (o almeno può essere) davvero elevato e prezioso.

    Il mio pessimismo è forse eccesivo.

    E l’intervento, così emozionato e spontaneo, che segue immediatamente il mio sembra fatto apposta per smentire che dalla fruizione orale dei reading non possa poi nascere un’appassionata lettura del libro stampato, e per suggerire, all’opposto, che il “piacere del testo”, in alcuni casi (pur minoritari), possa transitare e protrarsi, senza nette fratture, dall’ascolto collettivo alla lettura pacata e solitaria…

    Io, del resto, ho solo sottolineato quella che mi sembra essere una tendenza prevalente, o almeno un’insidia sempre presente e strisciante.

    Le mie non sono, non pretendono di essere, “degnità“, nonostante la loro assertività aforistica e a volte risentita.

    Matteo Veronesi

    anonimo

    28 luglio 2008 at 03:41

  29. Dopo tanti inviti al “parla come magni” non ci si deve poi stupire se la ricerca accurata della parola non frutti le attenzioni desiderate. Non essere corrisposti conosco bene cosa significhi e la frustrazione che ne deriva di certo non aiuta a trovare nuovi stimoli, o a fare emergere nuove ispirazioni. E’ la solita vecchia storia trita e ritrita che pare non debba ammettere alcuna soluzione, se non quella della rassegnazione al contesto consolidato, nella consapevolezza di appartenere ad un universo fecondo ma allo stesso tempo soffocato nell’apnea di un superfluo collaterale. Siamo tutto sommato un delizioso contorno, ma il piatto forte resta ovviamente quello rappresentato dagli autori affermati, che tolgono ossigeno (involontariamente?) ad un indotto spesso superiore, se non in qualità espressiva, per potenzialità innovative.
    Forse è anche giusto così, d’altronde viene da chiedersi: io chi sono? Sono uno dei tanti fuocherelli di passione, accesi sotto al firmamento immenso delle grandi case editrici. Nell’era attuale, e in qualsiasi settore, si ragiona sempre in termini di interesse piuttosto che su quelli di merito, così inevitabilmente il sistema resta corrotto dal dio denaro.
    Oramai è il personaggio che assurge automaticamente al ruolo di protagonista. Ce l’hanno dimostrato in ambito musicale, i vecchi cantautori, quelli sopravissuti alla mutazione delle mode, che hanno saputo proporsi poi confermarsi con grande personalità artistica attraverso i tempi, pur senza offrire particolari “plus-virtuosismi”.
    Il segreto sta nel crearsi un personaggio, con una specie di matrice artistica propria, alla quale si aggrapperanno generazioni di potenziali e fedeli fruitori, verso il quale autore ci si rispecchieranno.
    E’ l’epoca delle apparenze e dell’apparire, del superficiale, dell’esteriore e dell’estetico, quindi va da sé che per chi ambisce alla cultura per smerciare il proprio frutto dell’impegno, di certo non si troverà avvantaggiato. L’editoria ad esempio sappiamo bene che ha letteralmente sbancato con la saga di Harry Potter, un prodotto tutt’altro che sorprendente, di certo da non identificare come esempio di letteratura raffinata. Insomma, arrendiamoci, commercializzare poesia non era facile quando non esisteva la TV, il Cinema e la discoteca, meno che meno lo sarà al giorno d’oggi con tutte le varie opzioni in fatto di evasione, su quali si può contare quotidianamente. La scuola contribuisce già abbondantemente di per sé, ad allontanare i ragazzi dai libri, veicolandoli piuttosto verso interessi più leggeri, uno su tutti il “gioco virtuale”. Prendendo coscienza di questo conteso sociale, non si può fare gli ottimisti ad oltranza, non ci si deve meravigliare dello stallo poetico; io credo non ci si debba neppure strapazzare in vittimismi gratuiti, poiché la passione deve dissociarsi da qualsiasi politica reale, ed in particolare per quanto concerne l’arte dei poeti, che intendo da sempre come l’incarnazione del libero pensiero.
    Detto ciò, non vorrei poi fare nemmeno un trattato di banalità, un mero elenco di cose ovvie, ma l’esemplificazione estrema del concetto alle volte è più efficace di alcune cervellotiche disamine. Ci tenevo ad associarmi al pensiero espresso da Nicola Vacca, che ci ha così sapientemente illuminato su alcune tristi dinamiche che governano questo nostro mondo, solo apparentemente “pulito”.
    Ho ancora tanto da dire…ora però lascio democraticamente spazio ad altri colleghi, semmai riprenderò il commento nel prossimo intervento.

    Grazie dell’attenzione
    Piero Saguatti

    anonimo

    28 luglio 2008 at 12:54

  30. @ Saguatti e Veronesi: a me sembra che ci sia umanità nelle persone che conosco e vado ad ascoltare, e se uno si atteggia mi dà fastidio (questo però non ha a che vedere con una analisi sulla scrittura). Sì, ci sono diversi personaggi, però vale quello che uno fa. Uno può fare pure il personaggio, poi scrive un libro che fa schifo, e viene polverizzato dall’ira o dall’oblio delle rete:-) Mi sembra giusto (e vale per tutti)!
    Magari vale anche per uno che non scrive bene e non si atteggia, ma non credo valga anche per uno che scrive bene…prima o poi uno se ne accorge: il problema è per chi se ne occupa scambiarsi le informazioni, ascoltare gli autori dal vivo. Quello che afferma Matteo (a parte che non dà alcun contributo costruttivo o migliorativo) non ha fondamento critico, se la critica è occuparsi di ciò che accade o è accaduto in un periodo. A me quindi non interessa dire che un festival o i reading sono belli o brutti, a me interessa la poesia e di conseguenza la ascolto, la leggo, e poi faccio delle valutazioni. Lo schema di Matteo è l’esempio di una pregiudiziale ideologica a livello critico.

    Christian

    anonimo

    28 luglio 2008 at 14:00

  31. @Cornacchia: c’è chi sale e c’è chi scende nella mia visualizzazione, però oltre i problemi editoriali sopracitati, mentre tutti osannano, io sarei ancora cauto sulla generazione attorno agli anni 70, poco prima, poco dopo. Fondamentalmente credo ci sia ancora poca conoscenza ( e molti pregiudizi o settarismi ) su ciò che è accaduto nella seconda metà del Novecento. Con questo voglio dire che io mi sento in profondo imbarazzo rispetto alla marea di opere e di contributi teorici che le avanguardie hanno prodotto, e che sono fondamentalmente anche poco disponibili – ad esempio, mi piacerebbe trovare le riviste curate da Spatola, rieditate in un volume…etc etc. Secondo me parte di questa generazione, è molta interessata a se stessa, e poco alla poesia, o a comprendere alcuni aspetti tecnici (a me poi non interessa che siano utilizzati o meno, ma sono in imbarazzo se sento un amico o coetaneo parlare di scrittura tipografica e oralità, magari un po’ confondendo degli aspetti su cui sarei cauto, o peggio ancora dire che le avanguardie hanno fatto cacare…ovviamente con parole più forbite, o scegliere un aspetto delle avanguardie come fondamentale per la ricerca). Cioè, mi sembra che o si fa un po’ di casino, o si dicono delle stronzate incredibili, e forse sarebbe meglio informarsi secondo le proprie forze. Tu mi chiedi però un giudizio, e io ti rispondo che scommeterei su una persona (quindi siamo nel campo delle probabilità) con delle riserve (ovvero se la loro manovra ha la fortuna di azzeccare il percorso giusto): Bulfaro (se smette di pubblicare libricini ma pubblica l’opera omnia una volta terminata). Poi mi piacciono altri poeti, ma su Dome Bulfaro ci scommetterei il vil denaro, e al diavolo se perdo:-)

    anonimo

    28 luglio 2008 at 14:22

  32. La poesia è un’urgenza.
    Ma ci sono diverse urgenze.
    Solo se questa urgenza del poeta è condivisa e universale, quella poesia è realmente un’urgenza necessaria che tocca l’altro uomo, e lo rende più padrone del suo sè e del mondo.
    Una parola che scalda, che si fa “oggetto” in quanto strettamente strumentale al vivere, pur rimanendo nell’oziosità propria del suo ambito (artistico impalpabile), la poesia, ma è a suo modo oggettiva, poichè per l’appunto necessaria.
    Aimè ciò che nella mia personale urgenza scrivo non ha ancora superato il mio confine intimistico, e credo che ogni poeta debba avere coscienza di questo limite, di questo confine… c’è chi si limita a chiamarla “qualità“, ma è soprattutto un orizzonte, un respiro.
    La condivisione di questa parola è sacrosanta ed è giusto che esistano le occasioni, ma la poesia (quella vera, universale, oggettiva e necessaria) è sempre stata poca. Bisogna lavorare tanto, essere esigenti, e farsene anche un pò una ragione… poeti lo siamo tutti.
    Ma “poeti dell’urgenza” ce ne sono pochi.
    e così mio malgrado condivido l’esistenza di una pubblicazione centellinata e di qualità.
    di questo parliamo quando diciamo che manca la cultura: della mancanza di criticità… (anche e soprattutto verso noi stessi)

    Saluti, e buona vita.

    La Dama Bianca

    anonimo

    28 luglio 2008 at 19:17

  33. solo per la cronaca…

    Christian, il libro su l’esperienza milanese che dicevi è il seguente:
    Antonio Porta. Lo specchio della seduzione – L’arte della pubblicità. Lupetti editore.

    una lettura che mi incuriosisce assai e che farò molto volentieri …anche se sarebbe più interessante trovare nello specifico, qualcosa su l’esperienza milanese cui accennavi

    .vaan

    vaan60

    28 luglio 2008 at 19:43

  34. Può darsi che il mio discorso sia contraddistinto ed orientato da una “pregiudiziale” (direi estetica, teorica, più che ideologica).

    D’altro canto, Gadamer non ci ha forse ricordato che esistono “préjujés légitimes” senza i quali non possono darsi, non possono aver luogo nessun processo e nessun percorso di pensiero?

    E uno di questi “pregiudizi legittimi” è, mi sembra , proprio quello del valore assoluto e puro del testo poetico, da recepirsi e viversi anche “in absentia”, di là dallo schermo contingente ed evanescente dell’immagine e dell’evento: un noùmeno, si potrebbe dire, che sta al di là di ogni “fenomeno” spettacolare o mediatico.

    In effetti, poi, io non dico nulla di “costruttivo”. Ogni costruttivismo rischia di nuocere alla poesia, facendone uno strumento di propaganda o un terreno di contrapposizioni pretestuose.

    La poesia è morta, da decenni (forse da sempre, se già Pascoli poteva ammonire che la lingua della poesia è sempre e comunque una lingua morta, che volutamente si discosta dal linguaggio strumentalizzato e stereotipato della comunicazione viva).

    E non la si risuscita (se non come il feticcio di una specie di via crucis paesana e chiassosa) con le letture e i festival.

    Semmai, la poesia deve paradossalmente trarre la sua seconda vita, più essenziale e perenne, proprio da quella (diceva Valéry) “nouvelle mort / plus précieuse que la vie”.

    Il poeta deve avere il coraggio di affrontare e vivere la solitudine ultima, il glaciale deserto di quella morte – senza nemmeno aggrapparsi alla consolazione, cordiale ma illusoria, dell’ascolto e della condivisione.

    Il poeta scrive per l’eterno, dal cuore del vuoto e dell’assenza. Non vuole applausi.

    E’, in fondo, ciò che fece Spatola, che mi fa piacere vedere citato. Una sperimentazione, la sua, intesa come valore assoluto ed esclusivo, come un investimento e una tensione agonici, apocalittici, già segnati in sé da un destino che la tragica vicenda biografica (in questo caso non scindibile dall’opera, essendo essa stessa opera d’arte, e opera di morte) non fece che inverare e compiere fino in fondo.

    In lui, la fusione della parola poetica con altri mezzi era un viaggio verso la dissoluzione, la disgregazione, l’ammutolimento, la distruzione e la negazione del senso.

    Per via metamorfica, la transcodificazione e l'”erranza” del messaggio lo portavano verso il suo ultimo non-senso, verso il suo nulla e il suo silenzio tragicamente predestinati.

    Altro che festival e “performance”.

    Matteo Veronesi

    anonimo

    29 luglio 2008 at 00:45

  35. inserisco un breve stralcio dell’intervento a Terzolas del 26, perchè ritengo che “da quel e in quel” non esser interpellati derivino molte delle attuali problematiche
    un caro saluto

    Se ogni parola è destinata all’ascolto è la voce di chi la pronuncia che deve essere interpellata.
    Interrogate i poeti, perché di questo la poesia soffre: di non essere chiamata. In quest’epoca di parole mass-mediologiche non sappiamo più nemmeno chiedere, la cultura da talk-show ha aperto voragini, dove la parola è solo scoria, uno scarto destinato al marginale.

    Interrogate i poeti, per non cogliere solo l’illusione riflessa dell’ascolto momentaneo.
    Interrogate i poeti, perché così parlerà la poesia, che è ancora un tiepido momento di bellezza, che è ancora un briciolo di disincanto sul mondo.
    Interrogate i poeti, perché è solo così che si cammina, accompagnandosi nelle proprie domande.

    alessandro62

    29 luglio 2008 at 06:21

  36. Beh, Matteo, io parlo di performance come processo di scrittura della poesia, che a mio giudizio è antecedente/contemporanea/successiva alla scrittura, prima dell’ingresso della lingua e ciò che ad essa si relaziona successivamente. Forse il zeroglifico come esperimento di poesia “concreta” di Spatola può essere comparato al prima di cui ti sto parlando, dal punto di vista visivo. Certo è che la scrittura esiste da un certo punto in poi della storia umana e dello sviluppo dell’individuo, e di conseguenza le faccenduole dell’oralità primaria e secondaria non sono da sottovalutare. Comunque a me non sembra proprio che la poesia sia morta. Io sento che molte persone la stanno riscoprendo, soprattutto per la vicinanza di (e con) coloro che fanno. Il punto centrale è l’incontro, ma senza sovrastrutture – serve un’organizzazione quando ci sono aspetti tecnici (e di lavoro) per dare la possibilità alla persone di ascoltare e incontrare (alla fine della fiera) nuovamente senza le sovrastrutture di prima.
    Christian

    anonimo

    29 luglio 2008 at 15:20

  37. Bene, leggeremo Bulfaro. Alla fine della giostra, queste occasioni di confronto servono soprattutto per mettere a copmune le letture ritenute meritevoli. Visto che su quasi quaranta commenti una decina sono di Sinicco, che dunque ha energie da dedicare, e’ giusto che sia lui a tirare il carro ed e’ giusto che gli si dia il credito di “lettore competente ed onnivoro” che reclama. Buona estate. —GiusCo—

    anonimo

    29 luglio 2008 at 16:51

  38. Mi faccio volentieri da parte.
    Christian

    anonimo

    30 luglio 2008 at 04:38

  39. solo un paio di cose (ci sono una serie di interventi in “preparazione”, ribadisco: non considerate questo come un post classico, abbiamo 2 mesi interi per divertirci)

    la poesia come oggetto: nemmeno secondo me la poesia è un oggetto, ma vale la pena chiedersi come diffondere la “buona poesia”, che ci deve essere in partenza, che non è per forza quella dei settanta, anzi molto di quella che era fino a pochi anni fa l’idea della generazione si è ridimensionato facendo emergere, come poi si è sempre detto, le individualità. quando escono 10/15 antologie in un paio d’anni un filino di marketing qualcuno lo ha fatto. è come i convegni sui blog dell’anno scorso. non esageriamo. ci vuole sempre morigeratezza…
    comunque secondo me ci sono molti autori del secondo novecento, fine secolo scorso, in sostanza anagrafe ’40, ’50, ’60 che stanno tirando la carretta della buona poesia, esportabilissimi all’estero dai quali sicuramente si può partire. il reading è 1 modo per partire, ma non sposta la questione poetica. il punto di partenza è come portare la “buona poesia”, ma questo parte dal presupposto che la “buona poesia” ci sia.
    dome bulfaro deve fare l’opera prima organica, se no rimane 1 eterna promessa, ottima e stratosferica, ma deve fare l’opera prima, e poi l’opera seconda ecc. ma i soldini glieli metterei pure io, per la cronaca.

    la poesia di pascoli è senz’altro morta 😉

    matteofantuzzi

    30 luglio 2008 at 06:45

  40. a mio modo di vedere, noto, che si toccano aspetti sempre acuti e troppo elevati della questione…
    se il nodo centrale della discussione
    (come ha ribadito matteo fantuzzi) è:
    “…che fare per far conoscere la buona poesia… ” e soprattutto “…affinché la poesia, che tocca pochi lettori in italia ne possa toccare decisamente di più… ”
    dobbiamo cercare di essere più concreti…più rurali e rupestri …diciamo così.

    ora mi sembra che di buona poesia ne circoli, partendo da autori classici fino ad arrivare ai poeti di oggi…quindi non una questione legata alla qualità ed alla quantita…che sono aspetti diciamo tangibili…quanto ( se i punti sono quelli sopra citati) piuttosto una questione di metodo…di energie da mettere in campo… non dovremmo soffermarci troppo sul fatto che, se rendiamo visibile la poesia essa in qualità si depotenzia…i modi ed i momenti per potenziarla saranno altri …e a mio di vedere …il modo migliore per potenziarla, entrando nel suo aspetto più intimo, rimane la lettura individuale….ma lettura personale …privata è appunto, l’aspetto ultimo della questione…

    quando matteo veronesi dice: ”…la consacrazione, la risonanza, la luce del giorno cui la poesia diffusa, esibita, declamata o gridata, sembra aspirare hanno, invero, l’artefatta fissità, la stereotipata esteriorità della comunicazione mediatica. Al contrario, è semmai proprio la pagina scritta e stampata a salvaguardare la perennità fluida e mutevole, la perpetuità mobile e vivida di un discorso che si porge ai secoli, offrendosi alla solidale, e virtualmente inesauribile, catena delle riletture e delle interpretazioni…”

    …dice in sostanza delle cose in parte vere, in parte ovvie…bisogna distinguere però la propaganda dall’approfondimento interiore….e non può esserci approfondimento se prima non c’è stata una adeguata propaganda…

    dobbiamo sempre chiederci noi in fondo, come abbiamo imparato a conoscere la poesia….io personalmente fui folgorato dalla lettura di tre, quattro strofe prese da “salutz” di giovanni giudici…le lessi curiosando sulla libreria della sorella di un mio amico…fu un caso…come ripeto un colpo di fulmine …non legato a nessun approfondimento o mistero…aspetti che nel mio piccolo ho coltivato successivamente…la cosa importantissima invece è, che quel libro, in quel particolare momento fosse lì…lì c’era la poesia sotto forma di oggetto…
    ed insisto su questo aspetto…bisogna rendere o meglio creare punti e momenti dove la poesia sia oggetto…(anche se oggetto non è…ripeto non è!!!!) ma senza aggiungere altro…altro che possa appesantire quel preziosissimo momento.

    una strategia di propaganda vincente è si legata alla qualità ma diviene vincente soprattutto se c’è la quantità…la quantità dei “punti” per l’appunto

    .smile by vaan

    vaan60

    30 luglio 2008 at 07:26

  41. mi sfugge qualcosa degli interventi:

    Si scarta la poesia come oggetto (giusto) tenendola su tutt’altro ed elevato piano.
    E mi pare di avere compreso che si scarta anche la mercificazione, la “poesia supermercato” ivi comprendendo un tutto molto ampio e ben descritto in precedenza nonchè reading e festival che sono (sarebbero) parte di un sistema centrocentrico fine a se stesso (allo scambio di favori per amicizia o appartenenza di “cappella” o piu prosasticamente all’ingrasso delle biografie).

    Si menziona anche l’indubbia responsabilità di gran parte degli editori ed il leit-motiv “tanta spesa, poca resa” (a scapito dell’autore)

    Si dice anche che il “sistema internet” con tutte le possibilità in atto e in uso, serve ma in fondo è un mare-magnum e disperde se non confonde. Non viene proprio messo all’indice, ma quasi.

    Si enumera inoltre il massiccio numero di scrittori/poeti ed il risibile numero di lettori con una incursione sul valore della parola, della poesia, della figura del poeta, del dovere di preservazione di quest’ultima come fosse una specie di animale raro a rischio di estinzione.

    A leggere cosi questo mio intervento apparirebbe che ̬ sbagliato Рe andrebbe cambiato Рtutto il sistema.

    A me pare invece che è sbagliata la testa con la quale pensiamo.
    E’ come se incolpassimo un contadino in Umbria di non conoscere lo straordinario lavoro di ebanista che fa un piccolo artigiano che vive in Valle d’Aosta, lavoro certamente conosciuto da qualche sparuto collezionista di oggetti rari ma sicuramente sconosciuto ai più.

    La poesia è un prodotto (prodotto: non un oggetto) e come tale va trattato, se si decide che debba divenire pubblico, adeguandosi ai tempi correnti, coerentemente.
    E’ cambiata la comunicazione, è cambiato l’atteggiamento nei confronti dell’attenzione. E’ cambiato tutto e radicalmente.
    Quanto si adatta alle nuove vie della comunicazione vive, il resto soccombe.
    Non è un caso che dalla gioiosa era pioneristica del carosello si è passati a tecniche pubblicitarie sofisticatissime. E ciò che sollecita l’attenzione vive e prospera mentre il resto soccombe.
    Vive la Samsung, colosso impersonale che costruisce televisori e li pubblicizza ovunque adeguandosi ai tempi, muore la Mivar che era la fabbrichetta artigianale di 40 operai, ancorata ai valori del passato. Non si parla di QUALITA’ ma di VISIBILITA’.

    Posso leggere Debord che mi insegna come esiste la società dello spettacolo e sicuramente trarne una crescita morale.
    Applicherò però i pubblicitari David Ogilvy o Annamaria Testa o Jacques Seguela per sapere vendere il prodotto a quella società dello spettacolo, per sapere instaurare il desiderio nella gente, la brama, la curiosità che spinge all’acquisto e che fidelizza al prodotto se questo corrisponde alle aspettative.
    Se c’è brama c’è anche mercato. Altrimenti si vende il ghiaccio agli eschimesi.

    L’informazione vende (non in termini pecuniari, capitemi) e quanto manca adesso alla poesia sono quattro elementi che non permettono che sia conosciuta-venduta:
    COME (come mi porti dove mi vuoi portare, che lingua usi? La poesia è Pascoli e Leopardi che sono l’unica poesia che conosco. Allora dico no alla poesia se non sei in grado di muovere un’altra dimensione. Posso capirti, io lettore?)
    DOVE (dove mi porti, qual è il luogo? Con un libraccio da spiaggia sogno, ma con la poesia dove vado?)
    CHI (chi sei, tu che scrivi? Vorrei assomigliarti? Vorresti tu somigliare a me, lettore? Ma sopratutto di che parli? Di me o di te?)
    QUANDO (in che tempo scrivi? Quel tempo di cui scrivi è qualcosa che posso capire, io lettore?)

    Ancora una volta, non stò trattando la poesia come oggetto, ma devo essere consapevole di che tipo di prodotto tratto.
    Cambia tutto, tutto varia, tutto adatta ed evolve.
    Perché deve essere giusto per ogni altro aspetto della vita mentre per la poesia si deve mantenere uno stato d’imbalsamazione o nei migliori dei casi meramente vegetativo?
    Mi viene un parallelo: gli anfibi.
    Sono stati tra i primi esseri viventi, milioni di anni fa, ad aver abbandonato l’ambiente acquatico per spingersi sulla terraferma alla ricerca di cibo e di habitat da colonizzare. Ancora oggi molti di essi pur svolgendo una vita totalmente terrestre, hanno bisogno dell’acqua per completare il loro ciclo riproduttivo. Se non lo avessero fatto, non esisterebbero più.
    Potrebbe essere l’evoluzione dei poeti.
    Immersi nel tempo corrente ma capaci di ritirarsi nell’ambiente primeggio per partorire.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    30 luglio 2008 at 08:05

  42. Rientro ora dalle ferie e mi scuserete se darò l’impressione di trascurare qualcuno dei molti interventi precedenti, alcuni dei quali assolutamente dotti. Vorrei dire solo un paio di cose.
    Se la domanda cruciale è “che fare per fare conoscere la buona Poesia?”, le possibili risposte credo che siano fondamentalmente due:
    1) scrivere poesia (o produrla, come qualcuno preferisce dire), quanto meno perchè, parafrasando – mi sembra – Voltaire, scrivendo scrivendo qualcosa resterà. E resterà, io credo, in forza di quanto al punto successivo. E anche parlarne, della poesia dico, va bene, parliamone anche male purchè se ne parli, cosa che però ha un limite non indifferente perché il discorso si esaurisce, almeno in rete, quando si esaurisce la solfa del mal comune mezzo gaudio (noi giovani, noi non più tanto giovani, noi ignorati dall’editoria o sfruttati dalla medesima, noi in lotta col sistema ecc.) ovvero la lamentazione in cui a volte si spegne il dibattito
    2) leggere poesia (o fruire, come qualcun altro ama dire, dell’oggetto poetico). Non è un caso che questo assunto (del leggere) si ponga come rovesciamento della perenne geremiade intorno ai troppi scrittori e pochi lettori, cosa già di per sé notevole. In questo mi pare di essere d’accordo con Sinicco, non tanto sul fatto che per leggere buona poesia bisogna seguire alcuni buoni lettori, tra cui egli stesso, che in qualche modo tracciano la strada, quanto su quello che questo discorso credo sottintenda, ovvero la necessità, tutte le volte che è possibile e in tutti gli spazi possibili, di leggere criticamente, con un corredo base di strumenti ermeneutici, quello che circola nell’ambiente. Se ho capito bene è ciò che io chiamo, nella sua configurazione minima, un lettore avveduto o ben temperato, ma rimane il fatto che bisogna definire meglio cosa si intenda con “buon” lettore e come esso operi per definire la “buona” poesia (e lo stesso Fantuzzi non a caso ha usato questo aggettivo, però assolutamente indeterminato) e conseguentemente contribuire al vaglio cui alludevo al punto 1. Infatti qui si apre il discorso della responsabilità degli spazi, siano essi individuali o collettivi, virtuali o fisici giacchè non è la poesia che è morta, come sostengono anche qui alcuni, quanto la critica che è moribonda, comprendendo in questo magari anche quel minimo di senso estetico (?) che ti fa dire: accidenti, questa roba proprio non ce la faccio a pubblicarla sul mio blog o a ospitarla nel mio reading ecc.. So che è difficile in un ambiente di permalosi come questo, ed è ovvio che la questione non si limita a queste due cosette, ma ritengo che dovremmo evitare per il futuro di girarci intorno. Altrimenti l’effervescenza di cui parla Fantuzzi si risolverà, come lui teme, in un grosso mal di pancia.
    saluti
    G. Cerrai

    anonimo

    30 luglio 2008 at 11:05

  43. Comunicazione di servizio:

    MODENA – Modena, 30 luglio 2008 – Poesia per tutti: dalle rime di Dante ai testi della Beat generation, passando per i sonetti di Leopardi e le opere di Shakespeare. Versi di ogni epoca prenderanno vita, grazie all’interpretazione di poeti, attori, comici, scrittori – che riempiranno piazze, parchi, vie, stazioni della provincia di Modena.
    Dal 25 al 28 settembre saranno i borghi antichi di Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Savignano, Spilamberto, Vignola (i Comuni dell’Unione Terre di Castelli), insieme a Maranello e Marano ad accogliere Poesia festival ‘08, la kermesse dedicata alla poesia espressa in tutte le forme artistiche.

    Promosso proprio dai Comuni dell’Unione Terre di Castelli insieme a Maranello e Marano, il Poesia festival è realizzato in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, la Provincia di Modena, la Fondazione di Vignola, la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e sostenuto da numerosi sponsors privati. La manifestazione è ideata da Roberto Alperoli, sindaco di Castelnuovo Rangone, con la direzione artistica di Paola Nava e la consulenza di Alberto Bertoni.

    Il festival sarà teatro anche quest’anno di una serie di eventi unici: occasioni per conoscere, attraverso interpreti di oggi, le grandi voci della poesia classica e contemporanea, la poesia al femminile, la poesia nella musica, nell’arte, con spazi dedicati a giovani e bambini. Verranno letti testi, recitati e commentati dai maggiori protagonisti del mondo letterario, dello spettacolo, dell’arte, in luoghi dove parole e emozioni si daranno appuntamento con la bellezza del paesaggio.

    Si comincerà giovedì 25 settembre alle 18 con Giuseppe Conte e Mariano Deidda che canterà i versi di Pessoa, si terminerà domenica 28 con letture di Neri Marcorè. Nel corso della manifestazione avrà ampio spazio anche la musica, con un’ospite d’eccezione: Suzanne Vega, che intratterrà il pubblico con un incontro-concerto proprio sul tema della poesia (sabato 27 settembre alle 22, Castelnuovo Rangone). Tra i cantautori italiani Roberto Vecchioni darà il proprio contributo presentando le sue poesie

    (domenica 28 settembre alle 19.30, Savignano).
    Non mancheranno attori famosi, tra cui Alessandro Preziosi con un omaggio a Cesare Pavese in prima nazionale (giovedì 25 settembre alle 21.30, a Levizzano di Castelvetro), Kim Rossi Stuart con un recital dedicato a Shakespeare (sabato 27 settembre alle 20.30, Maranello), Carlo Cecchi (con Marco Santagata sabato alle 18.30, Vignola), Anna Bonaiuto (domenica 28 settembre alle 18, Spilamberto).
    E’ prevista, poi, una serata dedicata ai poeti della beat generation con John Giorno, Ed Sanders, Antonio Bertoli e Marco Parente.

    Forte del successo della scorsa edizione, che ha registrato oltre 15.000 presenze, al suo quarto anno di vita Poesia festival ’08 conferma il fortunato mix di grande poesia e grandi declamatori e stabilizza i rapporti internazionali, rilanciando contemporaneamente la formula di festival diffuso con un ampio programma che abbraccia tutto il territorio dei ben sette Comuni organizzatori.
    In questo senso Poesia festival ‘08 vanta la collaborazione con “Printemps des Poetes” – il festival europeo di poesia il cui direttore, Jean Pierre Simeon, sarà ospite del Poesia festival – e con il “Festival Internazionale di poesia di Granada e dell’America Latina”, manifestazione che coinvolge la Spagna e i paesi dell’America latina.
    Inoltre, Poesia festival ’08 ha ottenuto un altro importante riconoscimento e privilegio: sarà l’unica istituzione italiana che potrà presentare la candidatura di un poeta spagnolo al “Premio internazionale di Poesia Città di Granada – Federico Garcia Lorca”, prestigioso premio poetico iberico.

    Dai borghi antichi dei sette Comuni si compirà una gradevole passeggiata nei luoghi dell’immaginario poetico di tutti i tempi, sotto le mura di Rocche e Castelli, nelle piazze medievali, lungo le ciclabili che solcano la campagna.

    La partecipazione a tutti gli eventi è gratuita.
    Il programma completo della manifestazione è sul sito http://www.poesiafestival.it

    Infoline: URP Castelnuovo Rangone, tel. 059/534810
    IAT Unione Terre di Castelli, tel. 059/781270

    Cosa ne pensate voi?

    Un caro saluto

    Luca Ariano

    anonimo

    30 luglio 2008 at 16:41

  44. i gusti anche in poesia sono estremamente soggettivi…e legati ai modi di pensare ed intendere la vita, la società, il rapporto con gli altri…

    è giusto essere consapevoli di che tipo di prodotto andiamo a trattare ai fini di una propaganda intesa come promozione…e che la poesia non deve imbalsamarsi restando avulsa dai tempi correnti
    …il problema centrale come dice giustamente (fabiano) è proprio quello della visibilità e questo mi sembra di averlo detto a chiare lettere … c’è necessità di creare una quantità considerevole di punti dove la poesia sia visibile… questo rientra pienamente in un discorso connesso con la promozione di un prodotto…

    per creare dei lettori autorevoli, (come dice giacomo) ci vuole diverso tempo…e questo mi sembra chiaro …chi si avvicina alla poesia comincia per gradi…e diviene un lettore critico ed autorevole con il passare delle letture e degli approfondimenti…
    quest’aspetto, possiamo affermare senza ombra di dubbio, è successivo alla propaganda …alla visibilità…

    mi piace riportare un chiaro esempio…un’esperienza fatta da un gruppo di miei amici…tutti artisti legati alla pittura…che durante lo svolgersi dei campionati mondiali di calcio in spagna …quindi parlo del lontano 1982…agirono in questa maniera.
    visto che tutti erano assorti e concentrati davanti agli schermi televisivi…provocatoriamente, decisero che avrebbero passato le loro serate a dipingere in strada…iniziarono con l’incollare sui muri delle palazzine, grigi e sporchi per lo smog, grandi fogli bianchi…lo stesso formato dei manifesti pubblicitari per intenderci…ed approfittando del fatto che la città era deserta…poterono lavorare indisturbati per molte notti …ogni mattina il paese si svegliava in una veste nuova…

    questo è rendere visibile l’arte… io credo che la poesia …i poeti debbano ritrovare anche questa forma primaria di energia… al posto del disegno…dell’opera pittorica…mettere una poesia…e tappezzare le città di manifesti…

    …si potrebbe concordare l’iniziativa a livello nazionale, una giornata della poesia – manifesto …e non credo sia impossibile… non necessariamente agendo in forma clandestina ma con regolare autorizzazione dei comuni… esiste la giornata degli alberi…etc…etc… potrebbe starci a pieno titolo anche la giornata della poesia …
    e se a roma affiggiamo in prevalenza l’infinito di leopardi e a napoli sistematicamente gabriele frasca, credo sia un aspetto decisamente secondario…

    l’importante è la visibilità…

    visibilità dei manifesti (oggetto) = visibilità della poesia

    .un saluto a tutti, passo e chiudo .vaan ps.sono un po’ svitato però ho le rotelle a posto

    .smile

    vaan60

    31 luglio 2008 at 00:22

  45. Grande Tonino, hai le rotelle buone! …torno nell’anonimato, Christian

    anonimo

    31 luglio 2008 at 08:56

  46. Sinceramente non penso che il problema sia quello di “creare lettori autorevoli”, di portare la poesia nelle strade, di intensificare gli sforzi e il lavoro perchè “tutti” possano essere lettori di poesia. Si tratta di “creare poesia autorevole”, che non si confonda con tutto il resto, che non diventi, come sta diventando, un mercato dove si trova di tutto e dove tutti possono esporre le loro mercanzie. In un tempo in cui è proprio la visibilità a rendere tutto estremamente visibile e quindi irreale, questa è, secondo me, la posizione meno interessante. La poesia deve riconquistare la sua incisività e memorabilità, la sua oscurità come mistero condivisibile in quanto mistero, in quanto comunicazione che non sia mera e semplicistica comunicatività. La forza della poesia penso sia in una interruzione della comunicazione, un toccare scavalcando i canali della comunicazione stessa, altrimenti diventa come tutta la melassa che ci passa vicino alla bocca e agli occhi, e in cui siamo pienamente immersi come i dannati nella merda dell’inferno dantesco. Le letture dovrebbero essere singolari, ben calibrate e mirate, non la pletora infinita e noiosissima del festival che durano giorni, con ore e ore di letture che alla fine cancellano anche il buono che si sente, e non lasciano nessuna memoria, nessuna memorabilità. E poi smettiamola con il pressapochismo di tanti performers: anch’essi di una noia mortale e che non hanno nessuna nozione di estetica musicale e di uso della voce… e improvvisano letture elettro-pop o rock senza capo ne coda, insulse e prive di qualsiasi interesse, come se fossero cose nuove… ascoltiamoci un po di musica contemporanea, di esperimenti sulla voce teatrale e non… insomma, invece di dare addosso ai lettori che non sarebbero pronti e che noi dovremmo “educare” (classica visione missionaria degna di una sinistra che, invece che mettersi sullo stesso piano del pubblico, si arroga il diritto di educare, quindi si mette sempre dall’alto a dettare la lezioncina sociologica spicciola) e facciamo i conti con noi stessi, con le nostre vergognose mancanze tecniche, intellettuali, musicali ed estetiche, per non parlare di quelle relative al semplice artigianato… basta fare i poeti improvvisati e sprovveduti: è un modo per spostare le colpe sul pubblico che, poverino, è ignorante e non capisce, e allora bisogna fare la caritas della poesia e portare conforto ai mentecatti… i mentecatti siamo noi, che non sappiamo produrre poesia degna di questo nome! Se si lavora sulla qualità invece che sulla sociologia della quantità i risultati vengono, senza abbassare il tiro: l’ho sperimentato in svariati campi e livelli… i ragazzini delle medie, davanti ad un testo di poesia contemporanea e anche davanti a Dante, sanno mettere in crisi chi è in cattedra, chiedendo molto, e anche molto semplicemente… chiedendo più di quello che, forse, noi come poeti, oggi chiediamo alla poesia…

    andrea ponso

    anonimo

    31 luglio 2008 at 12:42

  47. andrea fotografa uno dei punti fondamentali che spesso e volentieri tendiamo a non volere analizzare, quello che in sostanza significa la “buona” poesia. io per primo ho più volte detto che trovo decisamente più logico e meritorio che un editore pubblichi pochi e ottimi libri: meglio pubblicare 10 libri che fanno 20 copie o 1 che ne fa “onestamente” 200 ? sono anni che giriamo attorno al discorso della vanity press e del jerking off come diceva wu ming 1 tempo fa. riusciamo ad andare oltre ? riusciremo a rompere il ventre molle dell’auto-editoria che annacqua chi realmente è in grado di reggere il verso ? a quel punto saremo in grado di vedere la poesia come una cosa di cui parlare alla gente. con più certezze, decisamente. se no arriverà l’amministratore di turno che portando la litizzetto o roberto vecchioni a parlare di poesia spenderà una vagonata di soldi dando un’idea “inesatta” di cosa voglia dire fare poesia solo per portare a casa propria un nome che garantisca “presenze”. ma io le presenze le ho viste con heaney e con walcott che di certo costano meno della vega e di vecchioni e della litizzetto, senza pensare a quanti ottimi poeti giorno dopo giorno si spaccano il culo in qualche fabbrica a fare gli operai o i precari a vita per potersi “permettere” di fare poesia e quanti ne inviti coi soldi che servono (faccio un esempio…) per portare ad esempio una persona da torino a modena in taxi e ritorno.

    però di queste cose bisogna “parlare”, non possiamo costantemente nasconderci dietro a un dito, aspettando che qualcun’altro se ne faccia portavoce, aspettando che dal cielo “cada” la luce della laurea poetica. bisogna sporcarsi, rovistare nella poesia per tirare fuori il meglio e poi andare in giro a “parlare” della poesia. è un prodotto ? è un oggetto ?

    mi basterebbe che fosse poesia.

    matteofantuzzi

    31 luglio 2008 at 21:57

  48. Si, Matteo, era proprio quello che volevo dire, senza offendere nessuno: non nascondiamoci. Lottiamo con il nostro narcisismo, facciamo i conti naturalmente e duramente anche con quello (il che non vuole dire essere ascetici… ogni tanto concediamoci pure la poltrona confortevole, ma attenzione che non diventi una sedia elettrica), ma cerchiamo prima di tutto di essere sinceri con noi stessi! Se non sappiamo fare le perfomance e le contaminazioni, che sono i territori più difficili, se fatti bene, lasciamo stare oppure arriviamo fino a dove riusciamo; mi pare che in questa smania di presentare la poesia ci sia più una smania di presentare se stessi, di essere presenti (anche questo è legittimo, ma deve avere una misura diciamo pure morale…). E poi, se la poesia, come io credo, è una rottura, una interruzione della comunicazione come di solito viene intesa, allora non possiamo nemmeno pretendere di essere visti e uditi e apprezzati da tutti… la poesia non deve diventare la scuola dell’obbligo: non è mica la siberia! Sono sempre più convinto che è un lavoro su noi stessi che dobbiamo fare, smettendola di fare sociologia e ricominciando a fare letteratura, poesia, pensiero, estetica… se ci riusciamo; perchè altrimenti perdiamo di vista l’ossessione principale, che non è quella di creare aggregazione (quella viene dopo, casomai, e se viene, naturalmente, è la benvenuta…) ma di essere fedeli alla propria scrittura… se ho bisogno di socializzare e trovare nuovi amici vado al bar… Poi, se devo fare un tipo di poesia, come si dice “al passo con i tempi”, che sappia parlare la “lingua di tutti i giorni”, mi va anche bene: ma dobbiamo ricordare che per farlo la forza stilistica e il genio che servono sono infinitamente più alti, e gli esempi che vedo e sento in Italia mi paiono a dir poco penosi… cioè, vanno nella direzione buona, ma non producono qualità degne di ascolto. Faccio un esempio preso dal romanzo: se leggo De Lillo che mi parla di supermercati, ecc. lo trovo altamente epico, tragico, potentissimo, mentre se lo fa un Aldo Nove qualsiasi lo trovo ridicolo, melenso, facilone e di una noia mortale. Facciamo i conti con questa domanda? E, ancora: se si decide di usare i media, in qualsiasi forma e dimensione, anche quella più piccola e alla nostra portata, occorre conoscerli bene, e in qualche modo piegarli al linguaggio estetico e della poesia, in qualche modo bucando lo schermo… pochissimi ci riescono, quasi nessuno: gli unici due nomi che mi vengono in mente sono Bene e Busi (che infatti non fanno “scandalo” fine a se stesso ma giocano creando cortocircuiti che sprigionano significati devastanti: guardatevi gli uno contro tutti di Bene al Costanzo e capirete tutto… io gli ho proposti al liceo e i ragazzi, superato il divertimento e l’entusiasmo iniziale per il “personaggio” vengono a chiedermi notizie bibliografiche per leggere, approfondire, ecc. ). Insomma, sporchiamoci pure con tutte queste cose, ma solo se abbiamo abbastanza fiato e muscoli per poterlo sostenere e bruciare, perchè il fuoco è bello,

    andrea ponso

    anonimo

    1 agosto 2008 at 00:37

  49. Sono spesso d’accordo con Andrea, che mi pare tocchi dei punti essenziali. C’è da dire però che la “socialità” a cui si assiste (che sia buona o cattiva comunicazione, che sia buona o meno buona poesia), sta pure frantumando tutti i modi consueti di presentarsi nel mondo delle lettere, attraverso le correnti, le scuole, i gruppi, le lobby, le avanguardie… A me non disturba la socialità, come non disturbano le pubblicazioni, o le antologie, etc… Ci sono problemi di organizzazione, e qui purtroppo dobbiamo tornare alla sociologia.
    La questione di chi critica, recensisce, è dunque prioritaria ( a prop. mi sono dimenticato di citare tra i primi commenti Sebastiano Aglieco, che davvero ha fatto un gran lavoro): se penso ai critici, mi domando sempre da quali aspetti siano mossi, etici ed estetici…sono uscite cose di una sciocchezza incommensurabile in questi anni di blog, alle volte ho giocato anch’io alla polemica, e un po’ di riciclo di idee esce dal turbinio della macchina di internet, ma come dice la Molesini in una intervista, serve orrizzontalità organizzata (è la buona organizzazione che gestisce o genera qualità). Penso che i problemi siano molti: innanzitutto la penuria di materiali del passato recente a disposizione, quasi che il secondo novecento debba ancora deglutirsi (credo che uno sforzo debba essere compiuto dalla nostra generazione); in secondo luogo gli aspetti organizzativi legati alla critica, alla selezione e alla promozione degli autori sul territorio in un sistema la cui apertura è massima. Cioè era più semplice dare vita 50 anni fa ad un’avanguardia, essa gestiva gli aspetti critici e comunicativi e organizzava l’ambiente – oggi gli aspetti che emergono dalla socialità costringono ad una riorganizzazione l’ambiente (obiettivamente già negli anni 70 l’esplosione delle riviste di poesia e letteratura di matrice anche politica, nonché i fogli che si stampavano addirittura nelle fabbriche, facevano presagire un modello di ambiente di questo genere) e a nuovi metodi per comprendere dove si sta andando e se va bene andare da quella parte (se questa è la missione della critica). Nonostante siamo abbastanza informati su questi fatti, li trascuriamo perché il nocciolo della questione è, la poesia per alcuni non è un mercato: osservando questa socialità, noi siamo già in un mercato (lo visualizzo come uno dei mercati dell’est, enormi e variegati e tutti che espongono merci)…possiamo combattere contro questa visione, possiamo parteggiare per una parte piuttosto che un’altra, ma il problema è come migliorare la gestione complessiva e i problemi relativi all’acceso di questa area, in modo che la rete non sia proprio un brodo. Christian

    anonimo

    1 agosto 2008 at 18:34

  50. Integro con altre note perché non vorrei essere frainteso… dobbiamo partire dalla sociologia, in modo da “aggiustare” ciò che ogni giorno si esplica come industriosità, operatività, socialità dell’area da una parte, e tende progressivamente alla produzione anche di oblio. Questo presente di continua produttività genera oblio continuo (magari potessimo dirla alla Orwell “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”: qui il presente genera oblio) e genera, come evidenziato da un’altra intervista di Della Mea, problemi filologici (ricostruire che ne so dibattiti e polemiche tra 10 anni, ammesso che i contenuti di blog e riviste siano ancora disponibili, sarebbe quasi impossibile; ma ci troviamo anche noi in difficoltà rispetto al recente passato, la cui comunicazione non era così veloce). Io quindi mi sono scervellato, e sto tentando di sondare il terreno e costruire gli aspetti critici ospitando, ad esempio, su metabolgia.wordpress.com, interventi e materiali sul tema che va dall’immaginario/immaginazione alla poesia…perché lo faccio, ovvero perché opero in modo progettuale? Penso che l’unico modo per bilanciare la produzione di oblio, sia una progettualità in campo critico capace di miscelare diversi materiali, per vedere cosa sia possibile estrarre, opzioni che spero diano slancio ad ulteriori dibattiti, opere, e pure un sistema di valori. Questa progettualità è complessa: credo si debba fondare come ricerca personale, ma allo stesso tempo essere ricettiva di istanze anche profondamente diverse (da elaborare ulteriormente, in una seconda fase; infine bisogna capire quale sia il feedback dell’ambiente rispetto alcuni temi emersi). Fecondare i tentativi della poesia, da un lato, fecondare la riflessione critica con i dettagli, dall’altro.

    anonimo

    2 agosto 2008 at 03:38

  51. …pre che la massiccia opera di lavoro critico non resti fine a se stesso e dialogante con i soli addetti ai lavori.
    Perchü altrimenti decade in toto il punto di ricerca per portare la poesia in un “altrove”.
    Il limite e rischio -a mio avviso- ü proprio quello di restare “tra di noi”.
    Per una vera crescita ci vuole confronto anche con la vituperata “casalinga di Voghera”..

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    2 agosto 2008 at 09:37

  52. era “sempre che”…
    sorry
    FA

    anonimo

    2 agosto 2008 at 09:41

  53. preferisco pensare alla poesia come a qualcosa di profondamente intimo e non pubblicizzabile come un romanzo, anche se rispetto chi la de-clama quando necessario, come inno contro le guerre, per spronare verso ciò che è buono e puro,
    come il pane, ancora, forse.

    Ciao Matteo
    C.

    Chapucer

    2 agosto 2008 at 12:19

  54. Giustissimo cercare movimenti che si oppongano alla produzione di oblio: è proprio questa la caratteristica del nostro tempo che, infatti, non è più tempo. Questo si deve certo riflettere nella critica, che certamente non può più lavorare solo con le stesse modalità di altri periodi, ma che pure deve conservare la sua capacità rigorosa di giudizio. La scommessa, credo, è quella della complessità: nel senso che non è più possibile ragionare per compartimenti stagni, ma che nello stesso tempo, questa apertura multidisciplinare spesso rischia di annacquare le singolarità e quindi di ricadere nella melassa in cui tutti nuotiamo, chi più chi meno a suo agio. Lo stile è la singolarità: uno stile che sia singolare e nello stesso tempo accogliente, capace cioè di fare spazio ad altri stili e ad altre discipline (filosofiche, scientifiche, teologiche, politiche e anche sociologiche) senza appunto perdere la singolarità in quanto stile e, nel nostro caso, in quanto poesia e critica… lo stile è un atteggiamento, accogliente ma non accondiscendente, è anche un certo pathos della distanza, perchè senza distanza non si riconosce l’altro e nemmeno si lascia appunto lo spazio/distanza perchè l’altro risponda singolarmente. Sembrano solo astrazioni teoriche, e in parte lo sono, ma occorre avere la forza di attraversarle per intero, correndo il rischio di rimanerne irretiti, piuttosto che abbandonarsi al mercatino delle pulci dove tutti “democraticamente” sono bravini e carini… non è così. I blog e le discussioni su internet a maggior ragione, proprio perchè sono più a rischio oblio, devono esercitare questa risolutezza, altrimenti verranno fagocitati dal mezzo, che è in definitiva quasi sempre livellante, appiattente e acritico… dovremmo essere più franchi, più chiari e infinitamente più esigenti e cattivi, insomma… soprattutto se amiamo la persona che scrive e che chiede un giudizio… bisogna fare del male, se necessario, perchè il bene ultimo è quello della poesia, non di chi la scrive… la poesia non salva la vita, ma la rende alla sua complessità, come uomini poi dobbiamo misurarci con essa, e vedere se siamo all’altezza di una eventuale salvezza personale…

    andrea ponso

    anonimo

    2 agosto 2008 at 13:01

  55. faccio un sunto delle ultime cose,
    per dire un ultima cosa visto che dopodomani parto per la vacanza…
    (…è che mi sta assai a cuore il destino della poesia, dato che i poeti sono per me figure eccezionali) …cmq…
    volevo dire…

    …”penso che l’unico modo per bilanciare la produzione di oblio, sia una progettualità in campo critico capace di miscelare diversi materiali, per vedere cosa sia possibile estrarre, opzioni che spero diano slancio ad ulteriori dibattiti, opere, e pure un sistema di valori. …serve orizzontalità organizzata…oggi gli aspetti che emergono dalla socialità costringono ad una riorganizzazione l’ambiente…oggi gli aspetti che emergono dalla socialità costringono ad una riorganizzazione l’ambiente… a nuovi metodi per comprendere dove si sta andando e se va bene andare da quella parte…trascuriamo questi fatti perché per alcuni la poesia non è un mercato”… (christian sinicco )

    …”la scommessa, credo, è quella della complessità: nel senso che questa apertura multidisciplinare spesso rischia di annacquare le singolarità e quindi di ricadere nella melassa in cui tutti nuotiamo”
    (andrea ponso )

    …”la massiccia opera di lavoro critico non resti fine a se stesso e dialogante con i soli addetti ai lavori. perché altrimenti decade in toto il punto di ricerca per portare la poesia in un “altrove”.
    ( fabiano alberghetti )

    .quindi (riassumendo gli ultimi tre interventi) mi sembra di poter dire che la questione dell’apertura verso un pubblico più vasto, rimane un nodo cruciale. e che questa visibilità vada modulata con una più attenta maturità…perché? …perché …”questo presente di continua produttività genera oblio continuo”
    ( christian sinicco )

    nel mio piccolo vorrei aggiungere un tassello che ci permetta almeno di inquadrare meglio la cosiddetta “marea umana” cui tendenzialmente dovremmo rivolgerci ( ed io me lo auguro ).
    riporto parte di un saggio apparso su repubblica nel 2006, a firma alessandro baricco (anche se a mio avviso è stato prodotto a più mani…ma questo non conta un cazz…ops…). il saggio apparso a puntate è di un’attualità estrema…si parla della casalinga di voghera…dei mutanti…dei barbari…
    …tutti quelli menzionati prima che vivono come dicevamo nell’oblio…

    *****

    ”sembra che per i mutanti la scintilla dell’esperienza scocchi nel veloce passaggio che traccia tra cose differenti la linea di un disegno .è come se nulla più, fosse esperibile se non all’interno di sequenze più lunghe, composte da differenti ”qualcosa” .perché il disegno sia visibile, percepibile,
    reale, la mano che traccia la linea deve essere veloce, dev’essere un unico gesto, non la vaga successione di gesti diversi: è un unico gesto completo. per questo deve essere veloce, e csì fare esperienza delle cose diventa passare in esse per il tempo necessario a trarne una spinta sufficiente a finire altrove. se su ogni cosa il mutante si soffermasse con la pazienza e le attese del vecchio uomo con i polmoni, la traiettoria si disferebbe, il disegno andrebbe in pezzi. così il mutante ha imparato un tempo, minimo e massimo, in cui dimorare nelle cose e questo lo tiene inevitabilmente lontano dalla profondità, che per lui è ormai un’ingiustificata perdita di tempo, un inutile impasse che spezza la fluidità del movimento. lo fa allegramente perché non è lì, nella profondità, che trova il senso: è nel disegno. e il disegno o è veloce o non è nulla…
    …in generale i barbari vanno dove trovano sistemi passanti. nella loro ricerca di senso, di esperienza, vanno a cercarsi gesti in cui sia veloce entrare e facile uscire. privilegiano quelli che invece che raccogliere il movimento lo generano ( nb. anche questo paradossalmente porta poi ad uno stato di oblio terminale) amano gli spazi che generano accelerazione, non si muovono in direzione di una meta, perché la loro meta è in movimento, le loro traiettorie nascono per caso e si spengono per stanchezza ( ecco l’oblio al varco ) non cercano l’esperienza, lo sono.
    capirete perciò quanto gli sia estranea l’ipotesi che la profondità covi qualcosa di diverso da una perdita di senso, di noia…il multitasking incarna bene l’idea della loro esperienza, abitare in più zone possibili con una attenzione abbastanza bassa è quello che evidentemente loro intendono per esperienza…qualsiasi cosa percepiamo della mutazione in atto, dell’invasione barbarica, occorrerà guardarla dall’esatto punto in cui siamo adesso: e comprenderla come una conseguenza della trasformazione profonda che ha dettato una nuova idea di esperienza, una nuova localizzazione del senso, una nuova forma del percepire, una nuova tecnica di sopravvivenza, non vorrei esagerare…una nuova civiltà. “

    ***

    ecco perché io personalmente penso che la visibilità sia propedeutica alla profondità…proprio perché essendo più fluida, più rapida, coglie meglio il suo bersaglio…
    …in sostanza per riprendere da dove diceva andrea…”si rischia di annacquare”…ma dobbiamo necessariamente farlo…farlo prima di tirare fuori poi del buon vino, la complessità…che è profondità,(almeno questa è la speranza) .
    non possiamo trascurare quest’aspetto se si vuole stare al passo dei tempi. ancora andrea diceva
    ”la poesia deve riconquistare la sua incisività e memorabilità, la sua oscurità come mistero condivisibile…la forza della poesia penso sia in una interruzione della comunicazione…” …
    parole vere per certi aspetti…ma prima i propedeutici e non per favore…per necessità…che il nostro occhio è rivolto ai “barbari”

    vaan60

    2 agosto 2008 at 16:20

  56. ps.
    spero che il mio uso del termine “annacquare” non venga frainteso ( come succede spesso nei commenti )
    …quando dico annacquare (riferendomi al commento precedente) intendo dire essere veloci…lo stesso concetto del “colpo di fulmine” espresso in uno dei miei commenti precedenti…

    qualità…complessità… ci siamo, mi trovate concorde…ma quando intendiamo presentare poesia…dobbiamo essere snelli, non nei contenuti come detto,
    ma nei tempi con cui decidiamo di dettarli…performance brevi…opuscoli succinti…poesia oggetto…etc .etc.

    smile by vaan

    vaan60

    2 agosto 2008 at 19:21

  57. Invitato da Matteo, che ringrazio, a partecipare a questo dibattito, mi permetto alcune considerazioni:
    1)Illudersi non serve:raramente nei secoli la poesia è stata popolare.Lo poteva essere nelle corti d’Europa dell’ancien regime, dove il poeta decantava, tra avvenebti dame e sfaccendati nobiluomini, la grandezza e la magnanimità del signore di turno, di certo non lo è stata tra i soldati impegnati nelle guerre napoleoniche o tra gli operai nelle fabbriche dell’Italia d’inizio novecento.Perché mai dovrebbe esserlo adesso, nell’Italia della postmodernità? Gli eroi, le figure autenticamente popolari che ” adoriamo ” sono i campioni dello sport, i ” carismatici ” finanzieri e capitani d’industria, i personaggi dei vari reality show.Ma, meglio delle mie parole, per capire l’epoca che stiamo vivendo rimando gli interessati alla lettura di Baudrillard ed altri.
    2)Il che ovviamente non significa che non esistano critici che sulla poesia moderna stanno facendo un eccellente lavoro.Mi permetto, in particolare, di citare Giampier Marano e Sandro Montalto.Consiglio a tutti la lettura di ” Tradizione e ricerca nella poesia contemporanea” e ” Forme concrete della poesia contemporanea “, i suoi ultimi libri, appena usciti per le edizioni Joker.Sta proprio al lavoro di validi critici evidenziare quanto merita dell’attuale produzione poetica in Italia.
    3)Il mondo della poesia ( editori, autori,e varie altre figure ) funziona esattamente come funzionano tutte le altre strutture gerarchicamente organizzate in Italia. Ci sono i bravi, gli idealisti, gli invidiosi, gli scaltri, gli amici degli amici, e chi più ne ha più ne metta.Devo aggiungere che, purtroppo,alcuni personaggi di tal mondo evidenziano spiccati tratti narcisistici che li spingono, qualora si sentano trascurati, a comportamenti discutibili ( insulti ad personam,tirate pseudomoralistiche,pretesi caratteri di “scientificità” del proprio punto di vista,etc,etc..),il che certo non agevola il superamento di certi individualismi.
    4)Beninteso resta benemerito l’operato su Internet di universopoesia,musicaos, ed in generale di tutti i siti che provano a portare la vera poesia ad un pubblico più vasto.
    5)Per quanto mi riguarda, in passato ho avuto l’occasione di collaborare ad un’antologia di poesia contemporanea,e ne sono fiero:era un buon progetto editoriale, per molti versi coraggioso.Peccato che siffatti tentativi spesso più che suscitare dibattito intorno al far poesia oggi,ed ai contenuti del far poesia,tendano a suscitare sterili polemiche che certo non aiutano a portare avanti la conoscenza della poesia e la cultura letteraria in questo nostro povero paese.
    6)Infine, una riflessione un po’ amara:in un paese dove la cemetificazione indiscriminata delle spiagge,dei porti, del verde pubblico, dei parchi naturali ( quando non li incendiano direttamente ) regna sovrana ( vedisi cos’è accaduto negli ultimi anni in Liguria, o, ad esempio in Lombardia cosa sta accadendo al Parco del Ticino ), dove l’etica pubblica è ridotta allo zero, dove per rispondere alla protesta dei cittadini si militarizzano intere regioni, dove si tende a giustificare persino il razzismo,dove si fa politica sull’onda dell’isteria collettiva ed i mezzi d’informazione creano consapevolemente i capri espiatori su cui la collera popolare potrà riversarsi,e tutto ciò avviene nel silenzio degli intellettuali e degli scrittori ( tranne poche,meritevoli, eccezioni ),possiamo pretendere davvero che i giovani poeti, consapevoli delle reali contingenze di questo nuovo secolo,siano in grado di far fronte comune ed acquisiscano,come per miracolo,quella grande capacità di parlare anche all’ “uomo della strada”che poteva avere un Pasolini? Francamente,io non credo proprio,ma forse mi sbaglio su tutto:se qualcuno riterrà opportuno contraddirmi con valide argomentazioni ne sarò felice.

    Un saluto.
    Carlo Dentali

    anonimo

    2 agosto 2008 at 22:58

  58. parlare all’uomo della strada però non deve trasformarsi, come diceva andrea; nell’educare (classica visione missionaria degna di una sinistra che… si arroga il diritto di educare) …la dama bianca ha detto una cosa giusta precedentemente
    …” la poesia è un’urgenza …solo se questa urgenza (del poeta) è condivisa e universale, quella poesia è realmente un’urgenza che tocca l’altro uomo, e lo rende più padrone del suo sè e del mondo.”
    io personalmente credo quindi, che
    la visibilità della poesia vada vissuta come un nostro bisogno autentico ed interiore…

    .tonino vaan

    vaan60

    2 agosto 2008 at 23:59

  59. Riguardo Il presente della poesia italiana (http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article301), Carlo, c’è stata anche una polemica, e non mi pare male. In quel particolare frangente credo tu non abbia risposto alle considerazioni di Nacci, che oltre le ripicche dei commenti sarebbero state da approfondire e veramente mi interessavano. Ma operare una selezione significa esporsi, e non sempre ci si può capire… il presente cambia continuamente, e mi domando chi degli autori che hai antologizzato con Salvi, pensi si siano confermati. Più che ritornare a quell’esperienza, sarebbe interessante che ci nutrissi con gli aggiornamenti. Ho notato poi nell’intervento anche una sorta di sfiducia sulle sorti diciamo progressive; non si può essere sempre del tutto propositivi, però un poco…
    Christian

    anonimo

    3 agosto 2008 at 01:22

  60. Salve sono la casalinga di voghera J, non tanto casalinga ma prendiamo l’essenza del termine. Ho scorso gli interventi, ripeto scorso ed avevo quasi l’impressione di essere, per es., a Parco Poesia quando gli “addetti ai lavori” cominciano e tergiversare su editori, edizioni, affiliati, simpatizzanti ecc..ed i più si dirigono verso la spiaggia. Ho un po’ estremizzato il concetto ma a mio avviso serve un po’ più di concretezza, coinvolgimento ed umiltà (meno snobismo) soprattutto verso quelle realtà che, credendo nell’inscindibilità della poesia dalla vita e la vita dalla poesia, e si trovano a vivere nelle proprie città situazioni dove reading, incontri e più in generale aperture verso “l’esterno popolare” sono solo timidi tentativi senza molta convinzione. Condivisibile e molto apprezzato l’intervento di Eleonora. La casalinga va a stirare J
    Grazie Matteo e buona domenica a tutti.
    (questo intervento è da leggere in chiave ironica/propositiva non polemica. Preciso perché conoscendo Internet spesso le espressioni vengono fortemente travisate sempre però in senso negativo)

    anto13nella

    3 agosto 2008 at 07:48

  61. Creare uno -… Spazio Aperto…- .
    L’apertura deve essere un elemento fondamentale sia nella lettura che nella produzione poetica con tutti i rischi che questa apertura porta con se. Le affermazioni perentorie sull’Essenza della Poesia mi lasciano un po’ perplesso. Ogni tentativo di essenzializzare il Poetico porta alla debacle crociana ( poesia e non poesia) con tutte le sue disastrose conseguenze. La poesia si riconosce nella prassi, nell’individualita’ e quindi originalita’ del prodotto, nel suo impatto nella cultura e nella societa’. Ci sono e saranno sempre scuole e gruppi , lobbies e coalizioni piu’ meno conservatrici e retrive ( anche noi che facciamo cerchio intorno ad UP siamo un gruppo..). Il problema e’ non esagerare sul fantomatico potere che questi gruppi hanno sulla diffusione culturale. Una visone ‘debole’ di questi movimenti aiuta a ridimensionare il tutto. Per quanto riguarda le poetiche individuali – il poeta performer, poeta vate(r), il poeta recluso ecc. – esse sono scelte personali e debbono essere giudicate dai risultati piu’ che dai pre-guidizi su come e dove dovrebbe andare il Geist della Poesia.
    Luca Paci

    anonimo

    3 agosto 2008 at 12:06

  62. (il commento #50 era di christian sinicco) secondo me nel momento in cui facciamo certi ragionamenti dobbiamo comunque avere in mente un paio di cose: 1) la poesia non è la cosa più urgente che sta a questo mondo, molte persone hanno problemi ben più importanti tipo cosa mangiare ecc. 2) la poesia rimarrà comunque come la cultura in generale cosa inferiore rispetto ad altre, molte più persone a mio avviso alla mattina almeno per i prossimi 100 anni sorseggerando un caffé alla mattina piuttosto che una poesia di montale.
    il punto non è tanto complottare per arrivare al nodo di una poesia popolare intesa come “di massa”, e non è nemmeno detto che la stessa poesia parli alla stessa persona. di certo credo che sarebbe importante che le buone poesie parlassero a tutte le persone portate ad essere “toccate” dalle singole buone poesie (ognuno le sue).
    ma perché una poesia “tocchi” il lavoro che sta dietro è tanto, anche nella diffusione della poesia: quante ve ne ricordate di pasolini a memoria, così senza andarle a ricercare ? forse un paio, forse solo quella su valle giulia, perchè quella e non un’altra ? perchè alla fine di montale se ne ricorda solo qualcuna ? sono i critici che lavorano poco o forse il metabolismo di questi testi è stato potenziato da carrier ecc. rispetto ad altri. è una questione di “carrier”, di “trasportatori” per dirlo all’italiana.
    chi lavora nello “sporco” ha anche il compito di decidere cosa fare emergere, che lo faccia su “poesia” o “nuovi argomenti” che lo faccia in rete, in radio o in tv. anche questo è un ruolo, che non va preso sottogamba. e allora ognuna di queste persone deve essere in grado di dire 10 poeti, di tirarli fuori subito, senza dubbi, frutto di anni di attenta riflessione, e non me ne frega nulla di quali siano, ma deve esserci stato quel lavoro prima. perché nel momento in cui le persone si “fidano” e si avvicinano alla poesia ecco non possiamo sbagliare, non possiamo proporre pataccate, non possiamo parlare pubblicamente sempre e solo delle solite 3 materie di gossip letterario, e chi ha fatto il pompino all’editor… e chi se lo è fatto infilare nel culo dal critico… e chi l’ha smerciata al primo poeta che passava… perchè giustamente tra la spiaggia di riccione e queste robe da portinaia giustamente la gente opta per la spiaggia. ma siamo noi che sbagliamo quando la buttiamo in chiacchera quando l’isabella leardini che come tutti compie decisioni nell’invitare tizio piuttosto che caio invita a parcopoesia, e così monfalcone, e così monza e brianza e avanti così.
    esiste la dimensione privata ma ognuno di noi deve asciugare.
    deve asciugare le proprie poesie pubblicando solo poca e buona roba, significativa.
    deve asciugare i propri spazi di analisi parlando solo di cose buone o mettendo i puntini sulle i nei riguardi delle cose non eccelse (e deve stroncare… che in italia si fa troppo poco !)
    deve come editore pubblicare il meno possibile, deve evitare che si sprechi carta. per 1000 motivi ambientali (e per non togliere ossigeno all’ambiente della poesia)

    matteofantuzzi

    3 agosto 2008 at 19:53

  63. piccolo inciso, da alcuni giorni una persona mi invita a valutare con attenzione il suo libro, uscito recentemente e ampiamente divulgato in contenitori anche radiotelevisivi a carattere nazionale dove tra le altre cose si sostiene che gli sms sono la nuova forma di poesia dei giovani e che tra 10 anni gli sms saranno il modo in cui giovani faranno poesia.
    glissando sul fatto che da parecchio tempo esistono haiku, ungaretti e pure gli ermetici… ma aggiugnendo anche quanto sopra già detto a proposito di vecchioni, litizzetto e aggiungo ligabue e altri libri simili… e aggiungendo che per mestiere sono abituato a ragionare per senso dell’urgenza…
    capite perché trovo la questione da cui siamo partiti “nonostante tutto” fondamentale e decisamente degna di essere analizzata nonostante qui oggi si siano passati i 35 gradi e l’80% buono di umidità ?

    se non andiamo con le mani e tutta la faccia nella polvere qua fra poco so’ cazzi. cazzi pesanti. (fuor di metafora)

    matteofantuzzi

    3 agosto 2008 at 19:59

  64. Come fare emergere la “buona poesia”? Innanzitutto producendola: lapalissiano ma non troppo. Non mi riferisco ora al tanto vituperato stuolo di auto-pubblicazioni (già dichiaratamente “minori”) che, al di là dei deplorevoli casi di frode, non danneggiano di un’acca il “sistema”. Mi pare sia proprio la poesia tout court

    anonimo

    3 agosto 2008 at 21:57

  65. … a non raggiungere un pubblico vasto.
    Il passato ci arriva come un flusso di lava raffreddato, del quale è possibile scorgere i contorni ma non il cuore pulsante, le scorie, il magma. Spesso mi accorgo di come tendiamo a valutare l’eredità letteraria come qualcosa di definito, eloquente, in contrapposizione con il presente, “caotico” per definizione. Molti dei volumi che oggi consideriamo come monolitici sono passati attraverso revisioni e integrazioni, anche pubbliche. Così come non giurerei che il numero di pubblicazioni di poesia fossero (in proporzione) inferiori cinquanta o cento anni fa rispetto a oggi. Alla luce di ciò, trovo che i precetti del “vivere sano” poetico (“non pubblicare più di tot”, come se davvero si “pubblicasse” qualcosa e soprattutto come se tutti fossero uguali e avessero la stessa necessità rispetto alle forme, ai contenuti e alle modalità da adottare per divulgare la propria poesia) risultano privi di senso, arbitrari, interessati. Alcune opere (non necessariamente sovrapponibili con i volumi di cui discutiamo) verranno trasmesse ai posteri, altre saranno dimenticate. E domani anche le cosiddette “sbavature” di questa “generazione” risulteranno invisibili.
    Ad ogni modo, trovo che valutarne solo l’aspetto “organizzativo” significhi ridurre la questione al suo aspetto meno importante e interessante. In ballo c’è la poesia come genere letterario e il ruolo del poeta nella società odierna. Se ne occupa piuttosto bene, ad esempio, Davide Nota nella sua “Critica della separazione” (lo trovate su http://www.lagru.org), testo che ho in parte criticato ma al quale accredito lucidità e capacità di analisi. Il poeta ha perduto ogni diritto di tribuna nella società dei media. Proporrei di continuare a ragionare in merito a questo “esilio” intellettuale…

    Saluti,
    Raimondo Iemma

    anonimo

    3 agosto 2008 at 21:58

  66. Buonasera Raimondo, è se i new media fossero potenzialmente più potenti dei vecchi media? Un giorno, un poeta noto (nel senso di “circuitante”), mi scrive che non può non spedire i suoi inediti ai blog, poiché con le recensioni sui giornali non vende una copia dei suoi libri.
    Questo accadeva circa un anno e mezzo fa. Due anni fa curai lo speciale poesia di Fucine Mute, penso il numero 87. Le statistiche di Fucine mediamente si collocavano sui 100.000 utenti singoli mensili. Io e Nacci spedimmo un po’ di mail a persone interessate, all’incirca un migliaio, e lo pubblicizzammo su alcuni blog. Nel giro di un mese il magazine passò da 100.000 utenti singoli a 220.000 (ora viaggia su statistiche ancora maggiori, e fa informazione culturale, non pastasciutta). Ho ipotizzato che il bacino di utenze interessate alla poesia variasse da 80.000 a 120.000 utenti singoli, anche perché all’epoca saltava all’occhio la differenza prodotta da uno speciale comunque pubblicizzato. Due mesi dopo, ci fu un’altra impennata, dopo che Massari con la mail magazine FuoriCasaPoesia (spedita di solito a 10000 utenze) informò dell’uscita. Due anni fa, prendendo in mano le statistiche, circa 10 milioni di italiani si collegavano ogni settimana (oggi siamo a 15 milioni a settimana) Mediamente le utenze internet salgono del 10-20% su base annua; una crescita maggiore si è verificata per via dell’utilizzo di internet da casa.
    “Si conferma, comunque, che continua a crescere la diffusione della rete in Italia – con uno sviluppo talvolta discontinuo, ma tendenzialmente rilevante nel medio-lungo periodo. Nel 2008 il totale è cresciuto del 137% rispetto al 2001 (http://www.mclink.it/personal/MC8216/dati/dati3.htm)”

    A mio giudizio oggi raggiungiamo più velocemente il pubblico, e con buona probabilità tra qualche anno avremo più pubblico di quello che avevano a disposizione i poeti ai tempi di Pasolini.
    Facciamo uno sforzo e pensiamoci a dieci anni. Christian

    anonimo

    3 agosto 2008 at 23:31

  67. Concordo con quello che dice Jemma… è li che si deve discutere seriamente. Ma occorre tenere presenti anche le ultime considerazioni di Sinicco: che ci sia stata una accelerazione dell’informazione, come tutte le cose, ha un lato positivo e uno negativo: se ne occupa molto bene Virilio nell’ultimo libro uscito in Italia (ricollegandosi naturalmente alle considerazioni di Baudrillard e altri…); insomma, questa velocità supersonica dell’informazione rischia di diventare talmente veloce da rimanere immobile… l’ipertrofia dell’informazione, anche nella cultura, rischia di cancellarla… questo delirio dell’ubiquità non crea qualità ma una sorta di iperstimolazione nervosa che ci rende insulsi… non che sia un male in sé, solo che, proprio in questa situazione (che non è giusto scartare o guardare con sufficienza) è necessario, forse più che nei periodi passati, una controforza critica capace di indicare la qualità, di dare giudizi pesanti (nel bene e nel male), motivati e precisi poichè, se anche i giudizi entrano in questo mondo ipercinetico, automaticamente perdono la loro forza… ed è quello che sta succedendo, mi pare. Il ruolo del poeta, dell’intellettuale e del critico, devono per forza misurarsi con questa realtà e trovare modi nuovi e ad un tempo antichissimi di fare sentire la propria voce… ed è in questo che, mi pare, dovremmo misurarci tutti

    andrea ponso

    anonimo

    4 agosto 2008 at 00:04

  68. Ho l’impressione che ci sia da parte di alcuni operatori culturali e poeti la paura di quella che potremmo definire la democratizzazione della poesia. La paura di entrare nel dramma in(de) finito del caos, la paura del non-senso. La critica, se istigata da questo timore panico diventa ostacolo piu’ che utile strumento.. Un esempio. la critica americana dei primi anni 60 non comprese le ragioni poetiche e politiche di una generazione piu’ giovane. Le molteplici sperimentazioni culturali, politiche, poetiche e letterarie vennero scartate come operazioni superficiali ed affrettate. La velocita’ con la quale queste idee vennero elaborate fu confusa con il pressapochismo. Eppure proprio queste sperimentazioni hanno prodotto nuove forme ed approcci alla cultura che hanno avuto notevolissimi effetti nella societa’ di oggi.. luca paci

    anonimo

    4 agosto 2008 at 08:41

  69. Caro Luca,

    bisogna intendersi su quella che chiami “democratizzazione della poesia”: cosa sarebbe? se è lo specchio della democrazia occidentale a me fa venire i brividi! è solo rappresentazione del potere e della democrazia, non democrazia… e non è nemmeno più rappresentanza elettorale! è giusto sostenere che la critica non deve avere paura di questo, ma nel senso che deve “fare critica”, cioè attuare una selezione parziale, che per forza di cose non è democratica ma lo può diventare nella misura in cui tali scelte, anche dure e dirimenti, possono essere fatte da molti (sempre che siano in possesso degli strumenti adeguati, per me irrinunciabili)… certa cultura americana uscita dagli anni 60 non ha portato solo rose e fiori: un certo approccio, ad esempio, agli studi comparatistici e di genere è in gran parte responsabile dello stato attuale dell’estetica, dimenticando la centralità del testo e sovrapponendo ad esso tutta una serie di sovrastrutture di tipo sociologico, femminista, transgender, postcoloniale, ecc. tutte cose che vanno bene ma quando mi trovo a dover studiare una scrittrice mediocre se non inconsistente solo perchè è lesbica, di colore e ha vissuto ad Harlem, sinceramente mi cadono le braccia (e mi è successo veramente); oppure quando una impostazione del genere sostiene che il plurilinguismo della Rosselli è l’immagine dell’armonia delle lingue e della integrazione democratica!!! su questo, con una mia lezione davanti ai dottorandi e ai docenti all’università mi sono scagliato con durezza e rigore, forse giocandomi le poche possibilità residue per un postdottorato… ma ne sono felice, e ho respirato bene, dopo… almeno per un poco alzando la faccia da tutta quella melma pseudodemocratica che è soprattutto un insulto alla pratica della democrazia stessa e della comunità… anche in letteratura,

    andrea ponso

    anonimo

    4 agosto 2008 at 12:38

  70. Caro Andrea,
    la democratizzazione della pratica poetica e’ un fatto e come tale deve essere accettato prima di essere criticato. E’ un fatto che la poesia sia uscita dalle mura dell’accademia ed abbia sconfinato nella vita reale come lettura e come forma letteraria. Mi viene in mente il passaggio di Benjamin sulla nozione positiva di barbarismo: ‘Il nuovo barbaro non riconosce nulla di stabile, ma proprio per questo vede ovunque delle possibilità. Anche dove gli altri incontrano mura o montagne lui una via..’
    La centralita’ del testo di cui tu parli non e’ un’astrazione ma proprio il risultato di una faticosa negoziazione che aiuti a dare senso ai testi che abbiamo davanti. La sociologia come i gender studies ed il postcoloniale sono tutti strumenti essenziali per la costruzione di un’estetica del senso. Sono cosi’ essenziali che senza di essi l’estetica di cui parli sarebbe un guscio vuoto.. In Italia di queste cose non se ne parla se non in maniera superficiale. Unica eccezione e’ l’Universita’ Orientale di Napoli in cui l’amico Iain Chambers sta facendo un lavoro eroico.. Lo stato attuale dell’estetica e’ da imputare ad uno pseudostoricismo d’accatto che con la sua tendenza a mummificare non permette l’infiltrazione della viva contemporaneita’.
    Ma non voglio polemizzare. Ti conosco come lettore e critico finissimo. Vorrei ritornare alla domanda iniziale : come diffondere la buona poesia? Lo scambio ed il dialogo tra poeti e critici o poeti critici deve sganciarsi dai pregiudizi sull’essenza della poesia e battere il tasto della pratica nelle sue in(de)finite possibilità. E qui gli incontri come quello di Bologna lo scorso aprile sono cruciali.. Non c’entra l’applauso o la stroncatura ma l’apertura in nome di uno spazio comune. luca paci

    anonimo

    4 agosto 2008 at 14:25

  71. Caro Luca,

    figurati se voglio polemizzare con te! (anzi, approfitto per salutarti, sono anni che non ci si vede!!!)… però mi sento un po’ più tranquillo quando anche tu sostieni che gli studi culturali in italia sono in genere superficiali, tranne alcune eccezioni, naturalmente… Chambers ha scritto qualcosa anche per la nostra rivista del Master di Studi Interculturali di Padova: noi, appunto con questa rivista (Trickster) cerchiamo proprio di attraversare la multiculturalità senza cadere nella semplificazione e banalizzazione, e ciò significa anche criticare gli stessi strumenti degli studi culturali… cerca Trickster sul web e potrai vedere, se ne avrai voglia, cosa intediamo per “pratica culturale”, ecc. Un grande abbraccio,

    andrea ponso

    anonimo

    4 agosto 2008 at 19:56

  72. Caro Matteo,sono pienamente d’accordo con te: ”se non andiamo con le mani e tutta la faccia nella polvere qua fra poco so’ cazzi. cazzi pesanti ”. Anzi, allarghiamo pure il discorso e diciamo che oltre al detrioramento culturale il deterioramento civile dell’Europa attuale è nei fatti, così come spicca la violenza diffusa in Cina, Russia, America. Mai avrei pensato che tutti i fantasmi di un oscuro passato ( la tortura, i campi di concentramento, ed altre amenità del genere ) una volta scacciati dalla nostra storia avrebbero potuto ritornare in pompa magna nell’indifferenza generale, se non nel plauso ( vedisi rapimenti “strani “ di cittadini italiani da parte di servizi segreti stranieri in pieno centro città, raid punitivi contro extracomunitari, l’assordante silenzio dei governi italiani ed europei nei confronti di Guantanamo, del Tibet piuttosto che della Cecenia o della violentissima persecuzione della setta del Falun Gong in Cina, al punto da indurci talvolta persino a dubitare della certezza di tali accadimenti ).Nessuna dura reazione politica in Italia, patria del Beccaria, nei confronti di tali vicende, nessuna dura presa di posizione dei nostri intellettuali ( irregimentati ? ).Resta da chiedersi:un Gobetti, un Pasolini, avrebbero taciuto su tutto ciò? Non credo. Ma per risponderti: non si tratta, caro Matteo, di saper a memoria o meno più di un verso o un articolo del secondo, piuttosto si tratta di ammettere che attraverso l’opera di un artista possiamo capire meglio una certa società, comprenderne proscrizioni e barbarie.” E se, per dirla con Cardarelli, “la speranza è nell’opera “, allora dobbiamo ammettere che attraverso la “ stagione all’inferno “ rimbaudiana o l’onirico “ tempo di uccidere “ di Flaiano possiamo ancora percepire la violenza insita nel colonialismo, così come ripensando all’opera e alla vita dei vari “ esteti armati “ degli anni tra le due guerre mondiali ( Auden, Spender, etc..) possiamo ancora oggi nutrire la speranza che intellettuali ed artisti possano esercitare i propri atti metamorfosanti sul mondo ( che è il punto su cui in questo dibattito ci troviamo a riflettere,e mi auguro,sottolineando ciò, di non apparire come un sostenitore di un certo storicismo d’accatto ). Ma ora quali scrittori, quali intellettuali, quali poeti, hanno il coraggio di indagare minuziosamente lo spirito del tempo,e, soprattutto, quanti dispongono degli “ strumenti” d’analisi adatti ? Non si tratta certo di valutare a tavolino l’efficacia di una poesia, di un romanzo o di un saggio nel dare un ordine diverso al mondo moderno, o addirittura nell’educare le folle, dato che chiunque si prefiggesse tali obiettivi oggi incorrerebbe tristemente nella megalomania del poeta vate,e non credo più nessuno fra noi sia interessato alla beata ingenuità della beat generation,ed a certe pseudoavanguardie ad essa collegate. Allora dobbiamo badare al nostro orticello e basta ? O dobbiamo osare di più ? O, semplicemente, la questione è malposta, e l’errore sta nel ragionare come se il XIX ed il XX secolo non fossero mai finiti, così da riferirci inavvertitamente agli strumenti di una poesia che “ vuole essere un tutto autosufficiente, plurivalente nel significato che da essa s’irradia, un tutto risultante da un’intricata tensione di forze assolute che agiscono con la suggestione su strati prerazionali..” ( H.Friedrich ) quand’essi risultano ormai all’evidenza sterili residui di un movimento stilistico, agevolandoci nel censurarli ? Adesso come adesso non mi interessa tanto tracciare una lista di 15-20 autori per il presente ed il futuro, mi interessa piuttosto capire quanto un autore sia in grado di osare, rintracciare percorsi, temi, motivi che permettano un superamento insieme di questa impasse culturale e crisi della critica ( penso, ad esempio, a Paolo Fichera, la cui ultima splendida raccolta ho recensito per Dissidenze, ma guardo con interesse anche alla Pellizzari, alla Seclì,a Ponzio, tanto per citare alcuni che attirano il mio interesse ).La realtà in cui ci troviamo ad agire non è certo solida, assoluta, ed immutabile, piuttosto è fluida, dall’identità sfuggente ( un recente ed interessante saggio di Bauman, “Vita Liquida”, chiarisce bene queste peculiarità dell’oggi ) e per comprenderla appieno serve comprendere Watzlawich ed i principi del Costruttivismo, serve leggerne con attenzione le dinamiche conflittuali, serve conoscere quanto le neuroscienze stanno iniziando a dirci sul funzionamento della Coscienza per capire gli effetti di questa “iperstimolazione nervosa che ci rende insulsi” e soltanto attraverso queste chiavi interpretative si potrà ripensare all’idea di “ oggetto comunicabile “ e quindi al senso stesso del far poesia.

    Un saluto.
    Carlo Dentali

    anonimo

    5 agosto 2008 at 10:13

  73. Dentali, alla fine del suo intervento, tocca a mio parere punti estremamente interessanti, soprattutto quando parla dell’apporto delle neuroscienze (ed io ci metterei anche l’antropologia, la biopolitica, ecc.)… solo in questo modo è possibile inserirsi in maniera critica e attiva all’interno della sua analisi, del tutto condivisibile. Mi pare che, generalizzando, la poesia e chi lavora nei suoi ambiti, questo non lo faccia… io da qualche anno mi sto dedicando allo studio della teologia e della liturgia e mi sorprendo quando mi trovo davanti analisi della modernità e della postmodernità davvero molto approfondite, precise, e che sanno appunto fare i conti con le neuroscienze e tutti gli altri ambiti del sapere: trovo in alcune analisi dei migliori teologi e liturgisti contemporanei una presa sull’attualità e sulle problematiche sociali e politiche davvero inaspettata per uno che, come me, era fino a qualche tempo fa un neofita prevenuto in questi ambiti… fino a pochi anni fa il teologo, almeno in italia, non era che un teologo, mentre nel resto del mondo il teologo era a tutti gli effetti un intellettuale nel senso più ampio del termine; ora, mi pare che chi si occupa di poesia rischi di diventare, come un tempo il teologo, solo un poeta e non un intellettuale… è un paradosso che fa riflettere molto sul ruolo e le modalità di accesso alla complessità del nostro tempo; eppure, se ci pensiamo, la stessa teologia e liturgia sono afflitte dagli stessi problemi, se non peggiori, della poesia… ma forse sono in qualche modo più avanti, più propositive, e hanno saputo abbandonare quella chiusura immunitaria che invece ancora affligge pericolosamente le nostre patrie lettere…

    andrea ponso

    anonimo

    5 agosto 2008 at 12:32

  74. le patrie lettere sono afflitte grazie alla connivenza in primis degli autori e degli addetti ai lavori e volendo accogliere il suggerimento di Carlo per la teoria del pensiero di Bauman, prenderei a piene mani quanto espreso nel suo saggio “homo consumens – lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi” dove egli traccia bene quella che viene definita la “tirannia dell’istante” della modernità, una modernità liquida, basata sul precetto del carpe diem che di fatto sostituisce la tirannia premoderna dell’eternità che ebbe a motto memento mori.
    Semplificando, si inseguono i “15 minuti di Warhol” , tutti maledetti e subito che poi tanto si vedrà. Anche se alle spalle non rimane niente.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    5 agosto 2008 at 15:30

  75. Gentile Andrea, convengo pienamente con quanto lei scrive ( e d’altronde stavo già seguendo con attenzione il confronto serrato d’opinioni fra lei e Paci,che spero continui dato che ritrovo motivi di estremo interesse nelle posizioni d’entrambi ):è importante aver il coraggio di dibattere di questa ” chiusura immunitaria” dell’intellettuale e dell’artista,oserei dire decisivo se vogliamo davvero discutere di presente e futuro della poesia nella società ed evitare di parlarci addosso (come scrive giustamente Fabiano Alborghetti:”Il limite e rischio è proprio quello di restare “tra di noi”).Certo Giampiero Mrano è stato il primo, in un suo saggio, a porre con forza il problema ma sta a noi, adesso, giovani autori e critici, provare ad indicare i campi del sapere che dovranno ” nutrire ” la poesia contemporanea e permetterle un futuro in questa società.Sta sempre a noi non limitarci al compitino della lista dei nomi ma tentare di analizzare con strumenti d’analisi nuovi questa postmodernità avvolgente e traumatica e così andare oltre le già troppe ” terre desolate”, sta a noi porci domande nuove. Pensiamo solo alla diversa prospettiva che, grazie alle neuroscienze, presto potremmo avere dell’Inconscio:quanto ciò, ad esempio, ci allontana dalla prassi poetica surrealista e dalla assai troppo enfatizzata ” scrittura automatica ” e quanto invece ci avvicina alla latitudine e longitudine di un presente che ancora non riusciamo bene a distinguere nella sua medesimezza ma che è già.
    Un saluto.
    Carlo Dentali.

    anonimo

    5 agosto 2008 at 16:57

  76. Molto poetico quel “forse”.

    Bianca Stefania

    )*

    anonimo

    6 agosto 2008 at 13:29

  77. Buonasera a tutti.. anzi, buonanotte, dato che vi scrivo all’una e mezza di notte. Approdo a questa interessantissima sequela di commenti con un pò di ritardo, e perdonerete se arrivo a dire cose già dette o cose forse un pochino banali, a fronte dei vostri interventi. Fatto sta però che la domanda del Fantuzzi porta a delle domande in effetti di certa rilevanza. Almeno secondo la mia opinabilissima posizione.

    Voglio dire: quando si va a chiedere come fare per ampliare il pubblico dei lettori di poesia in fondo in fondo si sta solamente tirando l’ultimo anello di una catenella che ha come primo gancio la domanda: Cos’è la poesia?

    Non dico Cos’è la poesia in senso assoluto e via dicendo, intendo proprio il Cos’è la poesia in relazione alla sua diffusione così come oggi la conosciamo. Quindi attraverso reading, festival, pubblicazioni facili, internet.

    Io direi che innanzitutto in relazione al lettore si possono identificare due tipologie di poesia: quella creata per la creazione (e che spero sia quella più finalizzata all’essere poesia) e quella creata per la performance che ne conseguirà.

    Cioè io credo esistano due tipologie di autori: quello chiuso nel proprio studiolo con il sogno di scrivere la grande poesia che cambierà, chissà quando e chissà come, il mondo; e l’autore che scrive la poesia sapendo che avrà degli uditori/lettori e sostanzialmente si impegna a offrire un “prodotto” che sarà ben accolto, secondo schemi comunemente accettati (tra i quali la capacità di emozionare del testo).

    Il problema però qui risulta evidente: si può portare al grande pubblico solo la seconda tipologia di poesia, quella che poi va a contaminarsi con tante altre belle cose e che spesso crea anche performance carine, per passare la serata.

    E il concetto chiave di questa seconda tipologia di poesia è appunto la frase “passare la serata” che fa diventare la poesia una sorta di merce di consumo. Un esempio banalissimo per capirsi: chi realmente va a cercare quella poesia che gli rimarrà in testa e in cuore e che gli cambierà la prospettiva del mondo? e chi realmente va a cercarsi sempre nuovi libri di poesia per alimentarsi di nuove emozioni? (pare che il sesso non basti più).

    Quindi, se dobbiamo intendere la poesia come allargamento di letture e fruizioni allora dobbiamo accettare il bene di consumo insito in una mentalità consumistica che tutta si è riversata nella rete, dove ogni due giorni gli autori buttano fuori un testo nuovo (e scusate ma poi la domanda, a quelli come me, viene spontanea: “ma perchè non scrivi una poesia importante e ci lavori mesi invece di scrivere cento poesie banali?”).

    Detto tutto questo poi dobbiamo prendere atto anche dell’andamento di quei poeti ormai riconoscibili come “maggiori”, i quali in qualche modo, nel pur desolante panorama odierno, hanno cambiato la poesia e si sono messi in un equilibrato “mezzo” tra le due tipologie di autori succitati.

    La forma della poesia infatti è cambiata. Ora l’autore scrive testi che hanno una forma finalizzata al lettore, all’accettazione del lettore, costruendo così un ponte tra autore/lettore che è sostanzialmente il riflesso della comunicabilità umana (a cui la poesia spesso tende, in senso positivo o negativo che sia).

    Certo questi autori non estremizzano come i “piccoli” autori…. e ancora spesso mancano di una sostanza che sorregga tale forma…

    Altro elemento che mi viene in mente sulla spettacolarizzazione della poesia e sulla sua fruibilità maggiore o meno è il numero di poeti che vengono fuori nei reading e via dicendo.

    I nomi certo non si sprecano. E la domanda sorge spontanea: sono poeti o scrittori di versi? Anche perchè se andiamo a vedere la poesia come esigenza umana del lettore… ecco allora si capisce che non abbiamo bisogno di mille poeti ma di quel solo poeta che scrive quel solo testo che però sa cambiarci la vita….

    … detto tutto questo tornerei alla prima tipologia di poeta, quello un pò sfigatino rinchiuso nello studiolo ma con il sogno di cambiare il mondo…

    … come riconoscere questo poeta dalla sua produzione?

    bè, a fronte di tante banalità che si vanno scrivendo io direi che un criterio fra tutti dovremmo cominciare ad accettarlo: e cioè la sua capacità di inserirsi nella storia, nel tessuto culturale del suo territorio…

    …. sto intendendo la sua oculata capacità di utilizzare lo strumento della citazione, ad esempio….

    … dulcis in fundo, mi ripeto: la scelta secondo me è, senza alcuna volontà di giudicare… o andiamo a fare poesie per il popolo bue in cerca di emozioni che domani dimenticherà insieme alle poesie sentite (le emozioni di questo genere veramente arricchiscono la vita?) o andiamo a fare poesie che cambieranno il mondo….

    … ah, come già detto dal Fantuzzi…. non dimentichiamo che per fare poesie che cambino il mondo bisogna prendere la vanga, la pala, spalare escrementi di ogni tipo di animale, coltivare i campi, sudare, piangere, essere umiliati da chi si crede superiore…. perchè è dal letame che nascono i fiori… non dai diamanti…

    … ultimissima domanda, un pò polemica… siamo sicuri di non avere bisogno di maestri?

    Alessandro Canzian

    anonimo

    7 agosto 2008 at 01:08

  78. Dato per scontato il senso del meccanismo di diffusione, con i suoi pixel, i suoi sponsor ed i suoi hertz, io mi interrogo sul significato di “buona poesia”. Perché non ci basta che sian due rimette quelle che girano.

    C’è qualche pazzo, ma bravo, che sostiene che fare poesia sia ormai stupido e inutile. Che niente, ora, possa più essere coniato attraverso il verso, e che solo il luogo beniano dell’attore possa arrivare a dire qualcosa.

    Io invece, ma faccio fatica, ritengo che si possa ancora utilizzare la forma d’intermediazione sublimata che è la dimensione di poesia perché mi pare che l’uomo fondamentalmente non sia, come crede, ma oscilli.

    E dire che si fa una “buona” poesia in quest’oscillazione può diventare: riuscire a rappresentare qualcosa di significativo per chi ne usufruisce.

    (tentativo teoretico, supplico clemenza)

    molesini

    7 agosto 2008 at 01:22

  79. Scusi, ma dire che “fare poesia è stupido e inutile” affermando poi che l’autore di questa frase è “bravo” mi pare solo una frase ad effetto “stupida e inutile”.

    La poesia è, è stata, e rimarrà sempre, un veicolo comunicativo che porta valori umani fondamentali per l’uomo.

    Anche T.S.Eliot, nel momento in cui dice “un giorno la poesia servirà ad abbellire l’ombelico”, porta comunque un messaggio poetico, umano, sociale, al limite del biblico, quale la “Terra desolata”.

    La poesia, oltre ogni retorica e hobbysmo, serve comunque all’uomo a ricordarsi che è uomo e, nella maggior parte dei casi, a riscoprire valori che dovrebbe avere già connaturati.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    7 agosto 2008 at 07:52

  80. che interessante dibattito. non voglio ripetere nemmeno io cose già dette perciò mi limito a dare una breve risposta a Canzian. A parte che ho perso il punto in cui qualcuno ha detto che non abbiamo bisogno di maestri e di conseguenza non so con precisione cosa volesse intendere. Io dico che di maestri abbiamo bisogno, o meglio, io ne ho bisogno, non so voi. Immagino vi sia capitato di incontrare qualche grande poeta. In quella circostanza non vi siete sentiti un po’ piccoli, non avete forse desiderato, anche solo un poco, che costui o costei fosse vostro/a maestro/a. Forse solo conoscendoli ce ne possiamo rendere conto? Quando conobbi Hirschman mi sentii proprio come uno di quegli escrementi che Matteo spalerebbe con la vanga. Mi accadde lo stesso ascoltando Alda Merini dal vivo, oppure parlando con Hajdari e ancor più ascoltando un seminario/intervista/reading di Bonnefoy. Dicano ciò che vogliono ma di maestri ce n’è bisogno, e non ci trovo nulla di provocante.

    Resto anche dell’idea che il vero poeta, quello più puro, non si preoccupa poi tanto delle vendite.
    Prima di tutto pensa a quello che gli dà o che gli toglie dallo stomaco.

    Andrea Garbin

    Andylarock

    7 agosto 2008 at 17:32

  81. Di maestri c’è bisogno eccome!!! non a caso, proprio in questo rapporto (presente o mancato che sia) si gioca gran parte della problematica relativa alla tradizione che, con il postmoderno, ha cessato certamente di avere una forza negativa e ingombrante, ma soprattutto ha cessato di essere davvero semiogenetica, capace di produrre senso non come passato ma al presente… è diventata, nella peggiore delle ipotesi, una sorta di immenso guardarobato di scena, dove chiunque in maniera acritica può prendere un cappello, un mantello, ecc. Per non parlare di chi si dice superatore della tradizione… altra cosa per me inconcepibile… il discorso sui maestri sarebbe lungo e molto interessante: io inviterei ad una rilettura, naturalmente critica e non prona (sempre per restare in tema di maestri) di Bloom e della sua “ansia dell’influenza”; poi, potrei dire che il maestro è colui che “lascia essere” l’allievo, colui che crea lo spazio per un confronto in cui possano emergere non tanto delle continuità ma delle positive ed energetiche discontinuità, che non sono altro che la memoria attiva al presente della tradizione…

    andrea ponso

    anonimo

    7 agosto 2008 at 20:11

  82. credo che non sia scontato questo piano d’analisi “multistrato”, nel senso che ognuno porta necessariamente le proprie identità, e si affida a quelle altrui. ognuno di noi deve/dovrebbe a mio avviso essere in grado se domani avesse uno spazio di riempirlo, e riempirlo con delle indicazioni, che all’atto pratico significa “nomi”, ma più che interessarmi “chi”, mi interessa “come”: come ci si arriva a quei nomi ? la soluzione che ognuno di noi deve dare non può essere privata, una cerchia ristretta di amici e conoscenze, simpatie e interessi, ma deve essere la sintesi di quel lavoro di cui sopra, lavoro che passa dalle accademie ai bar, dai festival, ai blog, alle riviste istituzionali: solo così sapremo di chi vorremo parlare. e non solo noi, ma tutti. perchè come veniva individuato il tempo corre e i mezzi si modificano in maniera impressionante, noi ora qui stiamo parlando da un mezzo “vecchio”, istituzionalizzato e che è stato analizzato in decine di convegni/workshop. il futuro è già altrove e vorrei il contributo di chi è già altrove. mi hanno un poco allarmato un paio di mail di giovanissimi che mi hanno scritto che seguono ma hanno paura di farsi sbranare da chi qui sta ragionando. io questa “paura” del proprio pensiero spero si esaurisca, e che ancora meno venga quella smania di attesa che ha condizionato molti negli ultimi decenni in attesa di un proprio posto nel gotha, promesso a tanti e realizzatosi per pochi. ma non è di attesa che abbiamo bisogno. l’attesa ha già sclerotizzato tanto della nostra ultima poesia e forse anche questo mezzo non sarebbe esploso se non fosse accaduto negli ultimi anni dello scorso secolo quello che è accaduto. c’è bisogno insomma dell’apporto di tutti e anche e massimamente di chi ha già lavorato su queste cose, i padri e i fratelli maggiori. abbiamo bisogno di dialogo. un sacco di dialogo. che faccia emergere le cose. la poesia.

    matteofantuzzi

    7 agosto 2008 at 20:44

  83. Dunque, il discorso sui maestri è effettivamente interessante e molto fertile.

    Però, pur apprezzando tantissimo il breve intervento di A. Ponso, mi trovo a interpretare la figura del maestro da un altro punto di vista, o di riferimento se si vuole.

    “poi, potrei dire che il maestro è colui che “lascia essere” l’allievo, colui che crea lo spazio per un confronto in cui possano emergere non tanto…” e via dicendo…

    io invece sarei propenso a vedere il maestro non tanto come una figura attiva che crea se stessa come maestro, bensì come una figura (in merito al dato di maestro) passiva, detta “maestro” dagli allievi che gli si mettono vicini ma senza che lui effettivamente faccia nulla per essere maestro… per dichiararsi maestro… oltre il semplice seguire un severo criterio di qualità e umanità…

    …. semplifico… avete presente i santi? Nessun santo dichiara se stesso santo e dice “seguitemi perchè sono santo”… ma vengono dichiarati santi dopo la morte….

    …. così nel momento in cui un ipotetico scrittore decide di seguire le orme di un autore che considera autorevole… ecco crea un maestro… ma il maestro mi è inconcepibile che crei se stesso e quindi “che lascia essere l’allievo, colui che crea”…

    … e questo dato guardate risulta fondamentale alla luce della nostra storia poetica, spesso costituita da volontà di aggregazione e di creazione di un movimento (ricordate il gruppo 92?) che di fatto non ha sostanza…

    … però si crea la “corrente artistica” (nominalmente) e indirettamente si crea o si autocrea il maestro…

    … io dico: abbiamo bisogno di maestri se vogliamo scrivere qualcosa di serio…. ma non abbiamo bisogno di diventare maestri….

    …. per il fatto poi di andare controcorrente o di rompere la tradizione…. non sono per nulla convinto che la nuova poesia, quella che sarà realmente ricordata, abbia veramente bisogno di rompere la tradizione….

    … così come sono fermamente convinto che i reading e i festival siano più uno strumento di dissoluzione e spesso di banalizzazione della parola poetica, piuttosto che di memoria della stessa…

    Alessandro Canzian

    anonimo

    7 agosto 2008 at 20:54

  84. Leggo ora l’intervento di Matteo e mi viene in mente una nota… noterella…

    cerchiamo di definire bene questa attività globale…. condivisa… convivente….

    .. perchè se stiamo intendendo un’operazione di scrittura in cui tutti scrivono e si confrontano… bé non so quanto tale operazione possa funzionare…. basta guardare i newsgroup per vedere il fallimento di questa possibilità….

    … se invece Matteo stai indicando una fucina metapoetica… dove si ragioni su tutto ciò che sta prima del verso, su tutto ciò che crea il verso, che dà ragione e forma al verso, e sopratutto sia una fucina di critica sui versi dei contemporanei o dei più prossimi nell’ottica succitata dei maestri e dell’umile desiderio di imparare e conoscere e crescere…

    ecco allora sono d’accordo che possa venirne fuori qualcosa di buono.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    7 agosto 2008 at 21:00

  85. personale punto di vista:

    NON abbiamo bisogno di Maestri.
    Ogni poeta che si legge è un potenziale Maestro, basta assimilarlo con attenzione e curiosità, sapendo che per certi versi ci ammalia e per altri ci lascia indifferenti.
    Possiamo amare e studiare un dato poeta in particolare, riconoscerci, evolverci dal punto ove il Maestro è arrivato e andare oltre ma non abbiamo bisogno di un Maestro che ci prenda sotto l’ala

    a meno che

    il Maestro diventi inconsapevolmente il mulo che ci porta sulle sue spalle, arrivando ad aprire quelle porte, infinite porte che da soli troveremmo chiuse (porte intese come carriera….)
    Indi la ricerca del Maestro è una sorta di iscrizione all’ufficio collocamento con la quasi sicurezza del “posto di lavoro…”.

    Cosa che è già riscontrabile in diversi – appariscenti ed osceni – casi.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    7 agosto 2008 at 21:17

  86. L’intervento di Alborghetti mi viene difficile da digerire…

    … quando uno si sceglie dei maestri sostanzialmente non cerca strumenti per aprire porte… anche perchè qui si scade sul misero e volgare…. in un contesto, quale quello della poesia, che sappiamo essere più proteso al futuro che al presente..

    … la ricerca di un maestro… o di più maestri… è sostanzialmente la ricerca di punti di riferimento… magari non condivisibili da altri….

    … ma i punti di riferimento servono se si vuole approcciarsi allo scrivere con serietà e un minimo di riflessione dietro….

    …. altrimenti accettiamo la poesia come sfogo emozionale e non lamentiamoci che il lettore intelligente non legga più poesia…

    … a mio avviso il maestro, per uno scrittore, è una necessità…

    … una necessità che è punto di partenza dal quale partire magari per poi slegarsi da esso….

    …. ma è un porto dove si deve partire con coscienza…

    …. altrimenti, ripeto, si scade nel passatempo….

    Alessandro Canzian

    anonimo

    7 agosto 2008 at 21:35

  87. Quando parlavo del maestro come colui che “lascia essere” intendevo proprio questo: non che si lasci essere maestro, ma che lasci emergere la singolarità del “discepolo”, che sia appunto uno spazio di libertà… non ho fatto l’esempio principe perchè pensavo di venire considerato un po’ troppo legato al religioso ma, visto che si sono citati i santi io cito il maestro per eccellenza, cioè Cristo: c’è uno splendido saggio di Theobald in cui la figura del Messia viene letta proprio in questa prospettiva (“Il cristianesimo come stile” ancora non tradotto in italiano) e non dimentichiamo che Cristo non scrive ma vive nell’incontro singolare che di volta in volta avviene con l’altro, con qualsiasi altro, senza distinzioni; e che poi vive nel racconto di chi gli è stato vicino, vale a dire in un altro e ulteriore incontro, presupposto dal raccontare stesso… forse è un esempio troppo alto, oppure troppo dimenticato e disprezzato, ma la piena umanità di Cristo si gioca proprio in questo “stile”, in questa capacità di lasciare essere lo stile dell’altro nell’incontro con lo stile proprio, in un confronto serrato e anche a volte duro, per niente edulcurato come purtroppo ci hanno abituato a pensarlo, uno stile davvero tutto creaturale e incarnato, per niente evanescente o sovrasensibile.
    Sul fatto che “non abbiamo bisogno di maestri” proprio non riesco ad essere d’accordo: ma come si può sostenere una cosa del genere? oppure, il che è lo stesso, che ogni poeta letto può diventare maestro? questo si riallaccia al discorso che facevo sul postmoderno, dove ognuno può prendere qua e là quello che gli pare, ma questo spesso significa una visione troppo di superficie della scrittura. Un maestro è un’ansia, positiva o negativa: se è positiva favorisce l’opera che, secondo Bloom, non è altro che un’ansia compiuta. E non si tratta qui di “maestri” che sappiano dare uno spazio e un ritorno di prestigio e interesse: quelli si chiamano funzionari, ragionieri, ecc. anche se non è detto che spesso le due figure possano anche coincidere: solo che, io dico purtroppo, questo succede sempre meno, e ai posti di comando, in molti casi non troviamo maestri ma solo ragionieri capaci di fare i conti, in molti ambiti, dall’editoria all’università. Ma i veri maestri ci sono ancora, siamo noi che spesso non vogliamo vederli, perchè ci fanno paura, perchè ci mettono a nudo, riescono a metterci in crisi, spesso ci bloccano su una scelta, mentre l’apparente libertà di scelta, pressochè totale del postmoderno, diventa una sovraeccitazione che in realtà ci blocca, quando sembra regalarci la totale libertà. Una parola deve nascere da una lotta durissima: Zanzotto ama profondamente e quasi biologicamente la tradizione petrarchesca e per questo può odiarla, lottare contro di essa, sentirne le ischemie e la spinta inorganica verso la lapide, l’immobilità cadaverica, ma sa che fa parte del suo dna e che la lotta, quindi, è prima di tutto una lotta contro se stessi, contro la propria costruzione, la propria figura e identità: infatti, un maestro non crea mai delle identità o delle somiglianze, ma è il luogo che produce delle rotture, delle disconnessioni pericolose… ma attivanti, viventi, esso deve essere una minaccia e una salvezza ad un tempo. Vi lascio con una bella frase di Pessoa, che mi pare abbia molto a che fare con tutto questo discorso: “quando si è scudieri dell’ordine non vi si appartiene ancora, quando vi si entra già non vi si appartiene più”.

    andrea ponso

    anonimo

    8 agosto 2008 at 00:39

  88. Canzian: i puntini.

    molesini

    8 agosto 2008 at 01:09

  89. L’ultimo di Ponso mi pare sottolinei bene la definizione di maestro, e ora mi trovo ben d’accordo con lui. Che il maestro sia a un certo punto anche un qualcosa contro cui combattere è fondamentale. Basti pensare a cos’è stato Montale per tutta la poesia del secondo novecento. Un punto di partenza a cui allinearsi, dal quale allontanarsi, da amare e da odiare. Basti pensare a Sereni per la generazione che oggi ha quaranta/cinquant’anni. Basti pensare anche a Zanzotto pur nella sua unicità. Ovvio che non tutti possono essere presi a maestri. Ma è anche vero che il maestro non è condivisione. Personalmente, perchè anche a me ogni tanto capita di scribacchiare qualche verso, considero maestro Ferruccio Benzoni mentre proprio, pur rispettandone la grandezza, non riesco a considerare maestro Sereni. Perchè non riesco a mettermi in relazione con i suoi versi. Ma questo non vuol dire anche altri possano condividere questa mia tendenza (termine orribile, ma proprio non volevo utilizzare il termine “scelta” che mi pare ancora meno appropriato).

    Ok per i puntini, scusate, difetto personale.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    8 agosto 2008 at 07:29

  90. A quei nomi Matteo, si arriva bloccando l’eccesso del sentire, facendo della contemplazione un esperienza, non avvicinandosi all’arte tutta come ci si avvicina a “veline”. Maestri o non maestri e al consumo etico e all’educazione estetica che dobbiamo pensare null’altro per ora…
    un caro saluto

    alessandro62

    8 agosto 2008 at 08:27

  91. Canzian, i suoi interventi sono banali. L’arte, e la poesia, e il lavoro dei poeti, sarebbe bello si potessero dividere in due categorie – ma non è così. Come il punto principale sarà sempre un’opera, e un’opera è eseguibile, che lo sia in presenza di un fruitore, o per mezzo di un interprete o performer. L’aspetto del pubblico ai fini della formazione è irrilevante, e ai grandi festival ci vanno poeti che pure non performano, eppure c’è chi li ascolta, perché è l’ascoltare qualcosa che suoni, che interessi, che faccia pensare, che motiva le persone a muovere il sedere. Qui si sta facendo un metadiscorso del pippero sulla poesia, quando leggo Baldi che mi parla della casa gialla, dove ci sono i volontari che assistono gli handiccapati, o Testa che con Sarajevo tapes ti traghetta nei buchi della guerra di Bosnia, o Palme che in Doni e devastazioni abbandona ogni suo sogno sulla contemporaneità tra intimo e l’ingiustizia di una politica assassina, o il Massari del Libro dei vivi, quasi santo per quanto mastichi la violenza la reciti come un salmo… O Iarusso in Coito, che è la denuncia di come introiettiamo tutto per poi pulirci la bocca di frasi auliche, o le meccaniche visioni di Padua, che trangugiano i conflitti sociali, o… A me pare che un po’ di trippa c’è, solo che se parlate solo di uomini le cui ossa sono scarnificate, siete non solo superati, ma puerili, come se l’esercizio della critica si fermi agli anni ’70, anzi al 75 quando ammazzano Pasolini. Pasolini è morto, e quando era vivo lo disturbava che qualcuno lo interpretasse, ma ora che è morto da più di trenta anni possiamo pulirci la bocca anche con le sue parole, portare in vita il cadavere. Quello che emerge da questa discussione è che si legge poca poesia contemporanea, che soprattutto non c’è attenzione verso i poeti che affrontano situazioni di rilevanza sociale (lo testimoniate nei vostri commenti). Scusate lo sfogo… Christian (me ne ritorno nell’anonimato).

    anonimo

    8 agosto 2008 at 22:01

  92. Caro Cristian,

    mi pare invece che il tuo modo di intendere “la poesia che affronta argomenti sociali” sia fermo agli anni 70! Mi spieghi, per favore, cosa intendi quando dici “poesia che affronta argomenti sociali”? pensi che basti un argomento per essere “impegnati”? l’impegno, a mio modesto parere, non è altro che una forzatura, un obbligo, un lavoro forzato, del tutto funzionale al potere che così ha gioco doppiamente facilitato nell’inserirti nella casellina dei “dissidenti”, una sorta di valvola di sfogo del tutto funzionale al sistema stesso, nient’altro che un meccanismo omeopatico perfettamente oliato e già studiato e ristudiato dalla biopolitica e non solo. Scrivere contro qualcosa del genere non è altro che un controbilanciamento favorevole allo stesso potere… il movimento che si fa ideologia è poesia morta prima di nascere, tanatopolitica involontaria… smettiamola di sbandierare slogan vecchi di vent’anni rimproverando agli altri di farlo! cos’è che fa pensare, le performance musicali rockeggianti con tanto di urli da finti ossessi? ma fatevi un bel gruppo rock che è meglio… vieni a parlare di una concezione della poesia che non si sporca con i problemi sociali e poi restringi la poesia stessa al dopolavoro dell’impegno? un vecchietto come Guy Debord la sapeva già molto più lunga di noi, non dimentichiamolo. Non abbiamo la minima percezione degli strumenti extra-letterari che vogliamo usare e quindi questi ci fagocitano… tutto diventa spettacolo e rappresentazione, luccichio, come le insegne luminose della pubblicità, e noi invece dovremmo attardarci con la buona coscienza di giocare ai barricaderi? ma fatemi il piacere! l’unica attualità è quella del buio… i “conflitti sociali” non sono semplificabili in questo modo, e la poesia deve essere dissidente in maniera più radicale… le poesie certo non cabieranno il mondo, ma quelle “impegnate” non solo non lo cambiano, ma lo aiutano, anche se involontariamente, a rimanere com’è… è come il voto, anche uno solo, dissidente che garantisce una parvenza di democrazia… ne abbiamo le scatole piene di queste belle coscienze impegnate a cambiare il mondo. Ci si può pulire la bocca non solo con le frasi auliche e i ragionamenti da “metadiscorso del pippero”, ma anche con la bandierina lisa dell’impegno!

    andrea ponso

    anonimo

    9 agosto 2008 at 01:10

  93. “Canzian, i suoi interventi sono banali”, ringrazio. Ho provato un pò d’irritazione per la cosa, ma incasso il colpo. Mai detto di fare interventi “altissimi”. Una cosa però mi viene in mente, forse altrettanto banale, e te la chiedo. Sei sicuro che il tuo discorso sia “puro”, “oggettivo”, e non inquinato dalle tue capacità personali? Mi spiego. Se anche a me continuassero a dire “sei un bravo recitatore, al limite dell’attore, di poesia”, forse non rischierei di fare del senso della poesia la mia capacità di recitarla in pubblico con forma e imponenza? Poi il discorso sui morti scarnificati è interessante dai. Lo condivido, non dico di no, ma mi pareva sio stesse parlando di maestri e non di dibattito contemporaneo. E il discorso sui maestri a tutt’oggi ancora non si è esaurito. Dico non più di due mesi fa ero a un festival a Pisa in cui si parlava ancora addirittura di Montale in relazione a un saggio che deve uscire. La nota invece sull’anonimato non la comprendo. L’anonimato è da sempre inutile.
    Alessandro Canzian

    anonimo

    9 agosto 2008 at 07:36

  94. ma il punto di christian era più che altro legato alla contemporaneità,
    tutto ciò che è attuale è contemporaneo, quindi a maggior ragione i poeti che affrontano situazioni di rilevanza sociale testimoniano il presente…e non si tratta di bandiere, il libro di massari ad esempio centra il vertice della parola senza fare ideologia spicciola

    questo piccolo contributo (concedetemelo) forse racchiude meglio ciò che (a mio avviso) christian voleva dire con il suo intervento:

    “…enorme sarebbe il compito storico di una politica culturale se solo coloro che la pensano capissero che non il salvataggio furbesco del passato, ma, sempre, la realizzazione nobile del presente è quanto si deve fare per assicurare alle intelligenze una minima protezione dall’azzardo del mercato puro e semplice…”

    un saluto a voi tutti
    .tonino

    vaan60

    9 agosto 2008 at 07:51

  95. vi chiedo di ritornare “a bomba” sull’argomento però, perché io capisco che i punti esaminati negli ultimi commenti siano urgenti. però di carne al fuoco ce n’è già tanta. poi magari in autunno facciamo (anche da un’altra parte) un ragionamento su cosa tenere o cosa non tenere della sostanza poetica contemporanea (e lì per me ci si scanna un sacco !) e ne vedremo delle belle. ma spero che in questo senso parte di quel dibattito, sicuramente più urgente a livello sostanziale rispetto a questo che è prettamente pragmatico si faccia anche attraverso le riviste, come succedeva negli anni 90 quando versodove, atelier e clandestino si mandavano con pochi complimenti affanculo. ma se noi oggi siamo qui a parlare di queste cose è anche per quello che è stato fatto oramai 15 anni fa (il tempo passa)
    perchè se una poesia è furbetta e populista lo deve da un lato decidere la critica, ma dall’altro i lettori. pagliarani non lo è mai stato considerato, ma per un pagliarani ci sono stati 300 pipponi 68ini che ci siamo sorbiti. e così per un montale che ha fatto il 900 ci siamo beccati 300 sfoghi di persone che hanno messo pensieri in libertà nero su bianco. che siano rimasti pagliarani e montale non credo sia un caso, lo ha deciso la critica ma anche il “pubblico” della poesia che li ha potuti conoscere. chi dei poeti attuali rimarrà anche solo tra 50 anni, chi ha fatto determinati discorsi oggi per reale esigenza e non per mercato lo sapremo più avanti ora il nostro compito è quello di portare la poesia a farsi conoscere per quello che è. almeno in questo ritaglio estivo che ci siamo concessi.

    mi raccomando tanto rispetto nel dialogo anche nel dissenso delle idee perchè comunque fino ad ora siamo riusciti a non insultarci troppo e vi ringrazio umanamente tutti. il rischio che le cose vadano in vacca nei blog è alto. e ognuno di noi sa che la cosa è un peccato.

    matteofantuzzi

    9 agosto 2008 at 08:44

  96. Bene, su tutto, Matteo. E chiedo venia anche per quel velo d’ironia del mio ultimo intervento. Christian non stare a prendertela. Torniamo a bomba? Allora se permettete comincio io, prima di partire per il mare (ogni tanto ci vuole, sopratutto a mio figlio), il “ritorno” all’oggetto originale. Io dico, forse ripetendomi e ne chiedo scusa, che per divulgare la poesia non servono le strutture apposte sopra o attorno ai testi (quali reading, festival, eccetera) ma serve la qualità del testo. Testi poetici pessimi hanno creato disinteresse nel pubblico, distanza, diffidenza. Anche abbellendoli con musica e quant’altro avremo sempre testi pessimi che la gente va a vedere come zombie che camminano senza sapere cosa fanno o cosa ascoltano. Qualità del testo, a mio avviso. Che si raggiunge con discussioni anche collettive, con studi collettivi, con blog come questo, ma non con il semplice reading. Una volta trovato un testo, un libro, qualcosa di veramente valido e convincente allora possiamo parlare di diffusione. Perchè parlare di diffusione di testi pessimi, pur tanto declamati, ma pessimi, non porta altro che a uno stagnare della medesima situazione.

    Critica, quindi, prima della poesia. Per non arrivare a considerare poesia tutto quanto è scritto con un acapo o con una musica sotto. Critica per la qualità. La qualità per la sopravvivenza della poesia.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    9 agosto 2008 at 12:18

  97. Mi scuso anch’io per il tono troppo accalorato! Sono ancora in pieno accordo con Canzian: è inutile focalizzare gran parte delle nostre forze sulla promozione quando c’è ben poco da promuovere, quando c’è pochissima qualità! mi pare che spesso questo della diffusione sia un problema che a volte, se non affrontato anche nelle sue radici critiche sul senso della poesia, non sia altro che uno spostare l’attenzione (una sorta di rimozione) di un problema ben più grave e stringente, vale a dire l’estrema difficoltà di produrre testi di qualità (o, almeno, testi che possano davvero dirsi poesia: non è facile, certo, ma occorre anche dire che la poesia ha sue regole e sue tradizioni, che cambiano e possono essere diverse, anche molto diverse, ma che non possono aprirsi ad una sorta di “democrazia estetica” in cui (quasi) tutto può essere considerato opera). è come non voler guardarci dentro, dentro le righe e i versi che scriviamo e spostare lo sguardo frettolosamente verso la loro “pubblicazione”, nel senso di visibilità pubblica. Cosa molto simile accade ed è accaduta per il discorso delle innumerevoli antologie – e ve lo dice uno che come il prezzemolo è presente quasi in tutte… e ormai non so più se sia solo positivo (anche se sempre in qualche modo gratificante): è come se la pubblicazione in antologia, oltre a dire che ci sono singoli testi buoni, ci dicesse anche che non è ancora uscito un “libro” importante, degno di tale nome… e in questo io credo abbastanza: un grande libro della nostra generazione, che metta d’accordo tutti e che in qualche modo cambi il modo di sentire e percepire, e di fare poesia, non è forse ancora uscito dalla nostra generazione! prima di “pubblicizzare ” una cosa occorre renderla forte ed essenziale… altrimenti ci si perde nel singolo testo ben riuscito (e chi non ha mai scritto un testo ben riuscito?) ma l’opera non c’è, latita… forse anche perchè siamo portati a ragionare sul breve periodo, sulla singola e sporadica lettura, sulla smania di esserci ai festival e avere comunque qualcosa da leggere, ecc.

    andrea ponso

    anonimo

    9 agosto 2008 at 12:44

  98. Andrea, un appunto su “fluido e democratico”: poter dire tutto e il contrario di tutto, come anche in questo colonnino (topic + commenti), e’ una grande conquista di liberta’ ed e’ il motivo per il quale non credo che la nostra generazione riuscira’ mai ad accordarsi su un unico grande libro: e’ caduto il bastione accademico, che imponeva i suoi testi, cosi’ come e’ caduto quello politico/ideologico, altrettanto forte nell’imporre i suoi, prima dell’esplosione dei media globali e dell’affermarsi delal democrazia rappresentativa.

    E’ rimasto invece rimasto vivo e vincitore un metodo di indagine comune a molte discipline del sapere, di matrice scientifica (sperimentale) e piu’ o meno “duro” nelle ipotesi, secondo la linea di chi se ne fa portavoce e gli obiettivi che si prefigge. Ecco che dunque comparare e far coesistere diverse buone opere, ognuna espressione di una strada diversa (filosofica o poetica o politica) e’ un risultato possibile e non disprezzabile. L’ “agonismo” a la Bloom, divertente e stimolante, mi pare oggi superato dalle grossomodo uguali possibilita’ di crescita -e consapevolezza di metodo- offerte a tutti, in Occidente, a qualsiasi latitudine. E’ il motivo per cui davvero tutti hanno diritto di parola, anche per dire sciocchezze, come molte ne sono state scritte in questo colonnino – giudizio personale e comparativo di matrice sperimentale assai dura (“duro” significa di criteri molto restrittivi, non e’ un giudizio morale o estetico). —GiusCo—

    anonimo

    9 agosto 2008 at 14:03

  99. Caro Giuseppe,

    hai ragione quando parli delle mutate condizioni globali e quindi della molteplicità di fronti che ricade anche nel campo dell’estetica… io non parlavo di “un opera” (per dire Shakespeare alla Bloom) ma più precisamente della mancanza di opere, di libri… è chiaro che questa condizione di cui parli è una conquista importante e irrinunciabile, ma occorre vedere in essa anche i pericoli (naturalmente non solo sul piano estetico) di quella “liquidità” più volte citata, che distrugge le singolarità e amalgama tutto, portando a risultati che con la democrazia hanno ben poco a che fare. Bloom non è solo divertente, è ancora, secondo me, proponibile, naturalmente se letto in maniera critica, e cercando di attualizzarlo, cioè di liberarlo dalle incrostazioni bloccanti rendendolo di nuovo vivo per i nostri tempi, anche criticandolo aspramente… si dovrebbe, secondo me, poter parlare di uno “stile di stili”, recuperare le singolarità incarnate, tenendole insieme senza metterle nella categoria dell’essere comune quanto piuttosto in quella dell’essere-in-comune. La ricerca scientifica, in rapporto alle varie proposte, è chiaramente avvantaggiata, poichè si basa su regole di verificabilità che, seppure non più legate al paradigma passato, hanno ancora la possibilità di essere in qualche modo verificate con una certa attendibilità (anche perchè esiste una vera e propria comunità di scienziati), mentre, come sai, per l’estetica è molto più complicato: non è così facile, insomma, usare il paradigma epistemologico delle scienze per le materie umanistiche, anche se mi pare di estremo interesse il confronto, anche da questo punto di vista…

    andrea ponso

    anonimo

    9 agosto 2008 at 16:34

  100. Caro Andrea, al volo sul punto che ci preme: se il metodo sperimentale -o almeno la sua applicativita’ lineare- resta una carta abbastanza oggettiva nel suo essere verificabile/falsificabile, in campo estetico mi pare che da tempo, cercando sempre piu’ di tenere fuori matrici singolari ideologiche o religiose, l’affare sia diventato una negoziazione: il discorso si sposta dall’analisi del testo propriamente poetico -che giocoforza sara’ conflittuale, quindi sempre piu’ evitata- al metatesto sociologico o organizzativo, che invece e’ piu’ accomodabile. Cosi’ il “critico/recensore” diventa una entita’ fantasmatica, essendo perfettamente intercambiabile con un “organizzatore”, per cui il giudizio negativo su un libro non e’ piu’ sentito come una analisi del testo, ma come un segnale di disistima commercial/politica, meritevole di vendetta invece che di ragionamento (e cito il temporalino estivo sul mio blog a proposito della lettura negativa di Gianluca D’Andrea al libro di Giovanni Turra Zan). —GiusCo—

    anonimo

    9 agosto 2008 at 17:08

  101. Giuseppe,

    mi pare sia detto benissimo davvero: condivido al cento per cento, soprattutto il ruolo (per me non accettabile) del critico nel nostro tempo. Il problema è quindi sempre lo stesso: che fare, se è possibile fare qualcosa?

    andrea ponso

    anonimo

    9 agosto 2008 at 19:01

  102. Andrea, hai degli esempi di cattiva pratica letteraria? Ecco, parla di quelli… alzerai un po’ di polvere, ma quando lo scemario delle iene curiose scema, emergeranno elementi importanti di cui poter tenere conto tutti.

    Nell’ultimo anno abbiamo schermagliato su: editoria non a pagamento (fornendo nomi e cognomi di chi offre pubblicazione gratuita); criteri liquidi di fare antologie (a proposito del prodotto di liberinversi, poi uscito migliorato); vanity press travestita da ricognizione critica (con tanto di claque al seguito dell’operoso trombettino di turno); usi & costumi del bloggario poetico nazionale (discorso sulla minima pubblicita’ e sulle pratiche di distanziamento dell’interlocutore).

    Stronca, dunque, stronca… qualcosa di migliorativo nascera’. —GiusCo—

    anonimo

    9 agosto 2008 at 21:39

  103. Non condivido il fatto che ci sia poca qualità, considerando che gli autori (giovani) hanno pubblicato ancora poco. E perdonami Andrea, ma la questione della dissidenza io non la condivido: se leggo Baldi, non mi interessa la dissidenza politica: la descrizione di due uomini che portano sul water una persona disabile che deve defecare, per me non è politica: è mimesi; ed è ovviamente importante poi l’estrazione di valori, l’etica se vuoi, della scena, che si accompagna ad un messaggio su cui l’autore rischia la referenzialità dell’opera. Se la maggior parte dei poeti non sviluppa anche un’etica, parlare di rilevanza sociale di un’opera, mi pare difficile, e se la sviluppa poi deve trovare una semiotica anche per il messaggio; son due passaggi non scontati: è più facile fare gli ermetici, gli intimisti, gli sperimentalisti come si suol dire “freddi”, etc… succede che parli di dissidenza, quando non mi pare che Testa, Massari, etc, siano dissidenti. Credo ci siano inchieste e intellettuali che intervengano rispetto a temi sensibili – se accade nelle opere, probabilmente c’è qualcosa anche nella testa delle persone -; mi viene in mente Saviano, che alla fine ha la nostra età, ma ci sono libri come la casta di Rizzo e Stella, e le inchieste dei giornalisti di report. La verità è che rispetto agli anni 70 siamo molti di più a scrivere e i poeti negli anni 70 avevaveno accesso ai media nazionali- noi possiamo costruire un altro sistema, attraverso i blog, se pensiamo possa essere una strada percorribile…nessuno ci regalerà il suo posto nel firmamento della carta o della tv una volta arrivato lì. Se Davide deve battere Golia, lo deve fare con realismo, e senza andare a pescare la figura di Pasolini. Insomma non ho capito di che dissidenza scrivi.

    A Canzian dico che per scrivere un testo le capacità personali servono tutte, poiché intervengono tutte nella formazione dell’opera, nessuna esclusa, e se ti senti di escludere qualcosa che ti porta esperienza – gli aspetti orali, performativi che puoi astrarre da una tua lettura, successivamente – sei libero di fondare la tua poetica su qualcosa d’altro, ma non hai alcun diritto a limitare quella degli altri…per quanto riguarda la questione, forse la lettura di Teoria della formatività di Pareyson (roba di 50 anni fa), precisamente i capitoli sull’esecuzione dell’opera, ti possono fornire i miei riferimenti estetici, che non sono originali e che non hanno a che vedere con le mie capacità performative.

    Qualità del testo, vari elementi:

    sviluppo o presenza di un immaginario;
    presenza di un sistema etico;
    presenza di una teoresi capace di coordinare la referenzialità dei segni e del messaggio;
    un evidente labor sonoro correlato a ciò che ho esplicitato nei punti precedenti;
    rifunzionalizzazione da parte dll’autore dei precedenti punti, periodo dopo periodo, opera dopo opera, solo per dimostrare di saper assolvere ad altri compiti, e non sempre al solito compitino.

    Se già dovessimo criticare attraverso questi pochi parametri (in cui non mi pare ci siano aspetti legati a dissidenza o prettamente festivalieri), inizieremmo a sfrondare bene e forse un po’ di qualità ci balzerebbe all’occhio, no?

    Christian

    anonimo

    10 agosto 2008 at 09:53

  104. La letteratura è una scienza, un blocco unico, che per nulla si effonde in discorsi analitici.
    Pertanto, i criteri interpretativi sono valoriali e illusivi. Criteri legislativi, di ordinamento.
    Dovremmo piuttosto indagare sul fatto che a mancare siano le “scritture del caso”.
    Infatti, quando il campo energetico individuale stenta, nascono i sovradiscorsi, gli sforzi. La vanità del senso.

    ARendo

    anonimo

    10 agosto 2008 at 17:43

  105. In effetti, Angelo, qui si fa anatomopatologia; ma la possanza estetica e’ talmente rara e -sospetto- fuori schermo, che la dissezione e’ cio’ che rimane accomodabile e quantitativo. Comunque, la fase della raccolta dei dati e’ non distruttiva della luce, se ce n’e’, viene registrata ma puo’ non essere capita; e se vedi come il giovane Petrelli (acerbo ma largo) e’ stato recepito su un altro blog, ti accorgi di quanto chiuso sia l’orecchio o, meglio, di quanto sia “organizzato” in guscio costruito artificialmente in minima reciproca pubblicita’. —GiusCo—

    anonimo

    11 agosto 2008 at 00:27

  106. Spiegaci un po’, Cornacchia. Inviti alla stroncatura, a citare esempi di cattiva pratica letteraria e poi lamenti l’accoglienza riservata da me a Petrelli su LiberInVersi. Le stroncature legittime sono solo le tue? E poi quale “guscio chiuso artificialmente in minima reciproca pubblicità”? Petrelli ha proposto i suoi testi e LiberInVersi li ha pubblicati. Sarebbe questa la chiusura?
    Un’altra cosa. Al # 102 parli di ‘Leggere variazioni di rotta’ come “prodotto uscito poi migliorato”. Migliorato dopo cosa?
    Pierluigi Lanfranchi

    anonimo

    11 agosto 2008 at 08:34

  107. Lanfranchi, i tuoi prodotti sono un ottimo esempio di cattiva pratica letteraria, reiterata. Hai capito benissimo su tutti i punti delle tue finte domande. Buon proseguimento. —GiusCo—

    anonimo

    11 agosto 2008 at 11:11

  108. Grazie della risposta. Buon proseguimento anche a te.
    Pierluigi Lanfranchi

    anonimo

    11 agosto 2008 at 11:15

  109. Con Lanfranchi ci stiamo chiarendo in privato. Dico, per evitare spam e deragliamenti su questo colonnino. Grazie. —GiusCo—

    anonimo

    11 agosto 2008 at 13:16

  110. E’ bastato accennare alla parola “stroncatura” per scatenare il putiferio; per dire, che rispetto al punto nodale della discussione, tale linea non conduce da nessuna parte,
    ma rischia solo di generare un conflitto, si aperto, ma perenne
    Zyad

    anonimo

    11 agosto 2008 at 17:04

  111. innanzitutto vi ringrazio perché avete evitato certe questioni qui quando queste esulavano dai discorsi trattati. grazie davvero molto.

    chiedo (è il caso del commento #110 di firmarvi sempre o indicare url riconoscibili perchè ribadisco che voglio mettere in forma per quanto precaria almeno cartacea questa nostra analisi estiva e chiaramente lo voglio fare coi nomi e i cognomi)

    e passo a quello che volevo dire, e premetto che la prendo larga: anche io sottolineo la necessità della stroncatura laddove si reputi sensato farlo (motivando) così come nella melassa che troppo spesso ha contraddistinto in generale la nostra poesia e nello specifico anche la rete trovo una delle problematiche stringenti che ci troviamo ad affrontare. perché quello che secondo me dobbiamo fare è decidere chi buttare dalla torre perché inutile e chi invece tenere perché oggi o tra 20 anni ci potrà dare qualcosa. perchè magari gli ultimi 20 anni non ci hanno dato 1 ora serata retinae o il disperso, ma ci hanno dato libri interessanti. poi è chiaro che dal lavoro di massa che va fatto deve emergere un raboni che come fece al tempo di “poesia del secondo ‘900” indica linee e autori fondamentali. e ci becca. oi non ci sarà una sola linea, poi non ci saranno solo 10 autori, ma indicare una colonna portante è necessario, perché tutta questa democrazia non solo non ci ha dato ancora certezze nei nati negli anni ’60 come spesso ci ripetiamo, ma nemmeno negli anni ’70, tanto sbandierati. chi è rimasto di questi ? e chi rimarrà tra 20 anni ? e noi di chi di questi vogliamo parlare ? e come ? e se scendessimo al 1980 e più giù chi inserire ? e perché ? e come ? e come considerare il mezzo blog? perché escludendo magari un paio di autori, tipo matteo zattoni o silvia avallone il resto delle indicazioni in italia le ha dato la rete. poi chi rimarrà di questi 60/70 ragazzini già emersi, o se ce ne saranno pure altri è 1 azzardo, ma ci serve 1 nuovo raboni e serve che noi diamo una mano a questo nuovo raboni. questo per metterne 1 altro poco di carne al fuoco.

    matteofantuzzi

    11 agosto 2008 at 17:48

  112. Arrivo solo ora: sul fatto delle stroncature io penso che, se ben ponderate e motivate, siano non solo necessarie al sistema ma anche e soprattutto utili a chi se le prende sui denti! fare i nomi di chi non usa bene la critica non è facile perchè, io credo, dovremmo bene o male fare quelli di tutti (compreso naturalmente quello di chi scrive questo commento, e non per falsa modestia) poichè è un sistema, capillare e presente più o meno in ogni scrittura: segno di una crisi, certamente, ma anche, si spera, di un cambiamento di paradigma, forse. Non è questa una mia risposta “furbetta” per levarmi dall’impaccio: credo veramente che sia così – come nella scrittura poetica: tutti “bravini” e diligenti ma nessuno che si elevi sugli altri… è proprio questo il problema di cui si parlava, no? Io, come vi dicevo, a parte i grandi nomi del Novecento che si sono occupati di critica, penserei a qualcuno come Berardinelli (è persona preparata, che ha naturalmente le sue visioni e che è quindi criticabile: ma è questo il suo lato positivo, perchè molto spesso in altri critici proprio l’inafferrabilità delle loro posizioni diventa pericolosa, poichè non permette una vera e propria critica di risposta… e tutto, lo ripeto, funziona così); devo anche dire che i grandi vecchi ancora in attività non si permettono nemmeno di scendere nell’agone e si limitano a parlare di Sereni e Montale (e quando provano ad uscire, rarissimamente, sbagliano di grosso…): forse questo è già un giudizio implicito, ma non mi pare corretto. Non si tratta di dire adesso chi buttare dalla torre: si tratta di ricostruire quel tessuto di critica, scambio, esegesi serrata e confronto che sempre più manca nel nostro tempo per una sovraesposizione dei “rapporti” che non è altro che la loro distruzione o la loro mera rappresentazione, e non una vera esperienza di scambio… vedi, sempre generalizzando, festival, letture sovraffollate, pubbliche relazioni, ecc. “In convento, in convento” diceva Amleto alla povera Ofelia… naturalmente scherzo,

    andrea ponso

    anonimo

    11 agosto 2008 at 18:07

  113. Ma non che non ce ne serve uno, Matteo, ci servono interazioni riuscite! Che qualcuno si innamori e che qualcuno si legga appassionatamente. Che qualcuno si spii e si traduca, che qualcuno collabori con altri portando frutti concreti.
    Non sono mai uscita a mani vuote da tutti gli incontri a cui ho sinora partecipato. Da Bologna ad Arezzo passando per Latina quest’anno il motivo della performance, il testo portato, Zaccaria, Martines, Petrosino, ognuno un mondo a sé ma presente all’altro. Marco Bin, novità, il rapporto maestro-allievo stranamente ritorna ed assomiglia a quello di epoche antiche.
    E la figura di questi ragazzi-Campana con lo zaino sui treni faloppi d’Italia, “ho uno slam a Macerata” dice Lucio, che si incontrano per scrivere qualcosa assieme o per battersi.
    Ancora. Qui certe cose non s’inventano, sembra che accadano perché ce n’è un gran bisogno.

    (quindi se ha ancora senso scrivere versi, riprendendo il filone che inauguravo sopra e rispondendomi, lo chiederò anche a chi ne è innamorato, così, per far media con la visione critica)

    molesini

    11 agosto 2008 at 18:33

  114. da questo dibattito dovrebbero uscire due, tre, quattro linee da seguire; che abbiano un’interazione le une con le altre.
    io rispetto al discorso della “visibilità” sarei disposto a farmi in quattro…meno per quello che concerne la “critica” in quanto non ne ho ancora le capacità e forse mai riuscirò ad acquisirle per intero…
    penso però, che silvia abbia ragione,
    la passione deve essere un cardine fondamentale, anche per quanto concerne le “strocature” ad esempio, andrebbero formulate sempre senza arroganza o presunzione, altrimenti come diceva l’anonimo sarebbe solo guerra.

    in sostanza voglio dire; non credo che da questa discussione possa uscire una sola linea di condotta, un solo credo
    .sforziamoci a fare uscire più di una linea e che ci sia poi interazione tra i vari gruppi…così veramente riusciremo a dare maggiore visibilità alla “poesia”

    utopicovaan?

    vaan60

    11 agosto 2008 at 19:23

  115. Dal vivo la poesia scopre le parole giuste.
    Lello Voce, da L’Unità.

    C’è un fantasma che si aggira nelle librerie italiane: il libro di poesia. Nascosto sugli scaffali meno in vista, ignorato da commessi e clienti, raramente messo in vetrina, appena sopportato dai distributori, appena tollerato da qualche grande editore (Einaudi, Garzanti, Mondadori ad esempio) ma più che altro come vezzo di qualità, fiore all’occhiello di transatlantici editoriali che su ben altro investono tutte le loro risorse di marketing e danaro, il libro di poesia langue a un passo dalla morte definitiva, senza per altro morire mai, quasi fosse un animale preistorico, un dinosauro miracolosamente scampato alle darwiniane leggi di adattamento e selezione della specie, che continua ad aggirarsi tra le nostre pianure e le nostre montagne, più o meno invisibile, a volte avvistato da questo o quel turista in escursione, ma poi irrimediabilmente perso di vista.

    Fuori dalle librerie, lasciati alla porta, restano inoltre centinaia di titoli all’anno che non hanno neanche la fortuna di sostare qualche mese su quello scaffale nascosto, prima di passare nel limbo dei resi, poi nel purgatorio degli stock dei Remainders, per infine andare all’inferno del macero.
    Eppure l’Italia è un paese che pullula di poeti.
    Siamo certamente migliaia, forse decine di migliaia di scriventi versi. Si tratta di un mercato che dà da vivere a decine di case editrici, piccole e un po’ meno piccole, più o meno serie, che pubblicano anche, o soltanto a pagamento, cioè con l’impegno dell’autore stesso a comprare in anticipo un numero congruo di copie del proprio libro e che così, grazie al disperato bisogno di ‘esistere’ di frotte di scriventi poesia, grazie a questi poeti (alcuni certamente mediocri, o pessimi, ma altri interessanti, bravi, addirittura bravissimi) si garantiscono profitto e sopravvivenza. Per buona fortuna in alcuni casi, purtroppo in altri.
    Del libro in questione, naturalmente, sugli scaffali delle librerie non ci sarà traccia alcuna. Sulle gazzette ancor meno. Di riviste di poesia si è persa ormai ogni traccia…. Così le poche copie che l’autore riuscirà a ‘vendere’ saranno quelle portate con sé ad eventuali reading, e messe lì, in agguato, ad aspettare il pubblico all’uscita, in buon ordine su un banchetto, con il cartellino del prezzo (ovviamente scontato) scritto a penna su un foglio di quaderno. Da questo punto di vista la poesia è merce continuamente in saldo. Almeno in Italia.

    Edoardo Sanguineti, un intellettuale attentissimo agli aspetti sociali e ‘politici’ della letteratura, sostiene spesso che in Italia non si è mai letta tanta poesia quanto oggi e questo grazie alla scuola dell’obbligo, che ne stabilisce una certa quantità da somministrare a ciascun allievo. Ha ragione, ma agli ‘obbligati’ spesso poi essa sembra quasi una poesia imposta per legge e decreto ministeriale. Una poesia- condanna, o, nei casi migliori, una poesia-medicina. E’ difficile che da un incontro di questo genere possa nascere un amore. A meno che chi la impone, o la prescrive, non sia capace nello stesso tempo di far scoccare, con la sua passione, la scintilla della passione dell’allievo. Ma di passione, a meno di 2000 euro al mese, i nostri insegnanti, loro malgrado, ne producono sempre meno. Certo, Sanguineti ha ragione, ma domandiamoci anche: come si legge la poesia nelle scuole italiane? La si legge fatta a fette, una o due poesie del Pascoli, qualche canto di Dante, quattro Canzoni leopardiane, due sonetti del Petrarca. Il problema, però, è che i poeti non scrivono solo poesie, bensì, spesso e volentieri, libri di poesie, cioè organismi in cui ogni tessera acquista il suo vero valore solo in relazione alle altre, come in natura, come nelle società edificate dall’uomo, come nel linguaggio. Chi riuscirà sino in fondo a percepire quella certa mediocrità della pascoliana Cavallina storna, se non ha letto la splendida ed altrettanto pascoliana Il lampo, entrambe dedicate all’assassinio del padre? Gli italiani a scuola rischiano di imparare che i poeti non scrivono libri di poesie, ma poesie singole, parti resecate dal tutto e poi messe insieme, magari alla rinfusa, una volta ogni tot tempo, in questa o quella raccolta e se qualche docente invita gli studenti a leggere uno o due romanzi per l’estate, chi di loro suggerisce di provare a leggere, per una volta tanto, un intero libro di poesia? E poi, se leggere Dante è assai più difficoltoso, in primis linguisticamente, che approcciare Montale, o Saba perché si chiede a un quindicenne di chiosare il canto di Ulisse, e a un diciottenne si concede l’apparente semplicità sabiana? Non sarebbe meglio fare il contrario?

    Per altro verso, pur essendoci molta poesia, nelle scuole e nelle università italiane, al contrario di ciò che accade nella maggior parte degli altri paesi del mondo, ci sono pochissimi poeti. La scuola pubblica italiana non ha ormai più neanche i fondi per comprare gessi e lavagne, figuriamoci se ha soldi per ospitare un ‘poeta in residenza’, o quelli per organizzare un reading di poesia. Eppure a scuola, a incontrare gli studenti, ormai ci vanno tutti: poliziotti antidroga e sessuologi, esperti di marketing e tenutari di stage aziendali, pompieri ed aviatori, magari astronauti, o soubrette. Tutte degnissime persone, beninteso. Ma perché proprio i poeti no, perché proprio i poeti sempre meno? Proprio loro, che sono gli esperti della geometria dei sentimenti, i domatori di ogni incendio della lingua, gli esperti profondissimi dell’economia del dolore e dell’entusiasmo, proprio loro, minatori dell’animo umano con l’hobby dell’astronomia, proprio loro non possono parlare ai giovani, che di queste cose vivono giorno per giorno, milioni di volte più di un cosiddetto adulto…

    Ma la poesia non è stata sempre un’arte ‘minore’. Lo è diventata sempre più, soprattutto nell’Occidente industrializzato e telematizzato, man mano che dalla voce e dal corpo essa si trasferiva sulle pagine dei libri, man mano che abbandonava i territori della Retorica, della recitazione, della performance, per posarsi come una farfalla muta sulle pagine a stampa. Più ‘borghese’ che mai. Ma certo meno del romanzo. Così facendo, per combattere una battaglia già persa, quella con il romanzo, rinunciava a una delle sue caratteristiche principali, cioè quella d’essere un’arte ‘viva’, fatta prima di tutto per essere fruita ‘dal vivo’, parola nata per essere pronunciata. La poesia ristretta nei libri non è solo un’arte minore, rischia così d’essere un’arte ‘minorata’, di caricarsi sulle spalle un handicap che non le compete. Come una donna dalla bellissima voce che si condannasse, di sua volontà, al mutismo.

    Tutto perduto? No. Restano i festival, i poetry slam e la Rete. E lì le faccende vanno in modo ben diverso. Lì c’è vita, lì c’è ricchezza d’idee, lì c’è futuro, proprio perché attraverso la Rete, gli Slam e i festival la poesia riscopre la sue radici: quelle di essere nata per e nella comunità (non è forse questo il compito assolutamente inutile e insieme assolutamente necessario del poeta: quello di scoprire le parole giuste perché la comunità ed ognuno di coloro che ne fanno parte possa riconoscere la propria identità?) quelle di essere per eccellenza arte della performance, arte dal vivo per i vivi, parola che abita la voce e il corpo del poeta, arte dello scambio (dello sharing, del peer to peer) e del contrasto, del combattimento, del canto e del dialogo. Proprio come nei festival, proprio come nei poetry slam, proprio come in Rete. E basta fare un tour nei principali siti italiani dedicati alla poesia, o decidere di dedicare una serata più stramba del solito andando ad un festival, o addirittura partecipando a un poetry slam per scoprire che la poesia avrà anche pochi lettori, ma ha certo un suo rispettabile pubblico, nemmeno poi tanto esiguo, che accumula centinaia di migliaia di accessi Internet, per rendersi conto, insomma, che essa, come ogni sabotatore che si rispetti, non si fa mai trovare dove ci si aspettava che fosse, ma è già altrove, parla già altre lingue, percorre altre strade, scommette su sentimenti e idee e progetti assolutamente inauditi, imprevisti. Come è sempre accaduto, e confido sempre accadrà, nei secoli dei secoli.

    anonimo

    11 agosto 2008 at 19:27

  116. L’attenzione della critica per i “maggiori” che ormai a tutto diritto sono considerati “classici”, “passato” (anche se di fatto non lo so… chi ha coraggio a dire che Sereni è passato?), a mio avviso ha due valenze. Da una parte l’esigenza appunto di creare un criterio in un contesto, quello poetico, privo di criteri. Forse la poesia ha delle linee guida, alla grandissima, ma non criteri precisi. Anche perchè il criterio è fondamentalmente legato al periodo storico e culturale in cui si ci trova. E alla rottura possibile. Per cui la critica, quando non lamenta se stessa (perchè purtroppo di questa brutta abitudine bisogna prendere atto), non fa altro che cercare in maniera sacrosanta una sorte di stele di rosetta per interpretare e appunto sfrondare la poesia contemporanea. Perchè altrimenti arriviamo al limite dell’accettare tutto o del negare tutto, del soggettivare la critica stessa buttando giù dalla torre chi ci pare senza un vero e proprio criterio serio.

    L’altro lato della critica a mio avviso è invece la miopia che ogni tanto tenta di superare se stessa, ma fa molta difficoltà. Le antologie che tentano di fare ordine in questo caos contemporaneo dove ognuno la pensa a proprio modo (io ad esempio non apprezzo molto il Berardinelli ultimo pur apprezzandone l’intelligenza, il suo ultimo “Poesia non poesia” non mi è parso dare qualcosa in più alla critica di oggi) non si sprecano e alcune in fondo riescono anche a fare qualcosa (ho in mente ad esempio l’ultimo dell’Afribo che per l’esiguità dei nomi inclusi non può che opporsi a “Parola plurale”).

    Il concetto di “stroncatura” in fondo è strettissimamente vincolato al concetto di “critico”. Perchè a mio avviso un poeta non può stroncare un altro poeta per la sua natura inevitabilmente vanitosa, egocentristica. Il solito rischio del poeta è di considerare “poesia” solo ciò che è simile alla “sua” poesia. Mentre il critico, almeno in teoria, dovrebbe essere svincolato dal concetto autoriale e poter oggettivamente stroncare. E umilmente. E in virtù di questo rendere la stroncatura costruttiva. Mentre il poeta non può far altro che stroncare in senso distruttivo e soggettivo.

    Ma la domanda che alla fine mi preme di porre, tornando nel selciato proposto, è questa:

    quanto il critico dovrebbe entrare nei reading di poesia?

    Alessandro Canzian

    anonimo

    12 agosto 2008 at 08:25

  117. Caro Canzian,

    non intendevo dire che i grandi del novecento sono “passati”: è giusto continuare a studiarli ma se si studiano come compartimenti stagni e non si cerca di vederli alla luce della contemporaneità, cioè del confronto con essa, si trasformano pericolosamente in un “depositum fidei” inamovibile e, alla fine, poco utile per il presente. Sono d’accordo sul fatto che questo nasconda la ricerca di un punto fermo, di una stele di rosetta, come dici tu, ma il punto fermo rischia insomma di diventare immobilizzante e stagnante se non è nutrito dal confronto con il presente. Per quanto riguarda Berardinelli: il suo ultimo libro non è certo decisivo, io mi riferivo al suo lavoro passato e alla raccolta “Casi critici” che ha fatto molto parlare e confrontare diversi punti di vista, come dovrebbe essere. Sui poeti che criticano altri poeti: il rischio, naturalmente c’è, ma questo non toglie che critici poeti come Zanzotto o Fortini siano comunque ruisciti a dire cose fondamentali e illuminanti, nonostante siano in qualche modo e inevitabilmente “di parte” – del resto, penso che ogni critica dovrebbe in qualche modo esserlo, proprio per dare possibilità di confronto e di risposta… questo però non toglie che si senta molto la mancanza di critici-critici! che sono pochi e hanno pochi spazi. Il lavoro di Afribo è uno dei migliori in circolazione, a mio avviso: i nomi che sceglie non sono un suo canone ma una mappatura del movimento della poesia degli ultimi anni, fatto con gli strumenti giusti e ben affilati (non a caso è un allievo del buon Mengaldo): Afribo critica davvero i nomi che mette in campo, mostrandone i limiti e le potenzialità.
    La domanda del rapporto tra critico e reading è molto interessante… voglio ribadire che non ho nessun pregiudizio nei confronti di questo tipo di manifestazioni, anzi… solo che mi sembrano quasi sempre frutto di un pressapochismo e di una improvvisazione tecnica davvero scoraggianti (le gite in treno come andare a fare la partitella della domenica, a “battersi” con la poesia mi sembrano puerili, proprio perchè privi di una vera consapevolezza e anche di un vero e proprio “artigianato” che è forse ancora più necessario proprio quando si tratta di agoni legati all’oralità e al corpo: un attore o un atleta si “allenano” incessantemente, non prendono la borsetta e partono per fare le gare…). Ho lavorato molti anni sull’oralità, e sul rapporto tra oralità e poesia, ma mi pare che chi in genere fa queste cose e partecipa a queste manifestazioni non abbia se non qualche vaga idea di quello che significa lavorare con la voce e con il corpo… e occorre comunque sempre ricordare che si parte da un confronto scontro prima di tutto con il testo scritto, con la sua fissazione, e che la lotta è anche lì… Carmelo Bene insegna, ma temo sia un maestro giustamente irraggiungibile… il critico, dunque, dovrebbe munirsi di strumenti in grado di decrittare anche queste manifestazioni estetiche, che non hanno niente da invidiare alla poesia scritta, ecc. e, ancora una volta, criticare, indirizzare, sbagliare, essere contraddetto, ecc. perchè solo così si cresce… invece, ci sono le fazioni che sembrano difendere la poesia intesa in senso “classico” e quelli che si esaltano per gli slam poetry: entrambi accecati da una partigianeria che presuppone di sapere tutto e anche troppo dell’altro…

    andrea ponso

    anonimo

    12 agosto 2008 at 09:20

  118. Il mio uso del termine “passati” in effetti era improprio e ambiguo. Intendevo dire “passati” nel senso di “lontani dall’ultimissima contemporaneità“. Il che non significa che la critica e il poeta non debbano, nello studio, verificarne l’attualità (ma non lo si fa anche con Catullo dopotutto?), solo che sono esempi e nomi diciamo non più riproponibili così come sono. Per dire: venisse fuori un secondo Sereni verrebbe severamente criticato come “copia”. Mentre venisse fuori un secondo Ruffilli avremmo un confronto edificante e fertile. Ciò ci riporta al discorso dei maestri. Il maestro è colui che ha un seguito. Faccio un esempio tra l’altro contemporaneo. Abbiamo la Valduga che a pieno titolo può già essere definita “maestro” in quanto ha un seguito. Sto pensando (senza alcuna volontà di giudizio) alla Lo Russo. Ma la Spaziani non può essere considerata “passata” in quanto ancora attiva e sopratutto perchè non condivisa da tutti. Mentre Sereni si. Per scrivere oggi bisogna prendere atto, passare attraversi Sereni (passato, maestro), mentre non è fondamentale passare per Valduga (non passata, maestro). Spero di non aver confuso ancora di più la cosa, chiedo scusa.

    Per quanto riguarda il discorso dei reading spesso privi di sostanza sono d’accordo, ma prendo atto dell’intervento di Christian e voglio credere ci siano manifestazioni pubbliche di poesia che lasciano il segno e, come benissimo dice Matteo, assurgono alla vera Poesia in quanto rimarranno nel tempo (la poesia vince di mille secoli il silenzio). La banalità dei reading a me pare porti alle considerazioni che ho già fatto, e non le ripeto. Vorrei cioè si evitasse il consumismo della poesia.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    12 agosto 2008 at 12:55

  119. Dopo Bulfaro, l’Afribo edito da Carocci. Bene, bene, prendiamo di nuovo nota. Grazie a Canzian e Ponso. —GiusCo—

    anonimo

    12 agosto 2008 at 13:02

  120. Credo basterebbe intendere l’esecuzione orale come opera e non come evento pubblico (inserito in contesti e logiche politici, cioè sociali).
    Certamente, sul tema della “voce”, lavorare con la voce vuol dire come dice Andrea necessariamente muoversi nella musica, e quindi nello studio delle modalità e tonalità dell’esecuzione lirica.
    Ma, al di là di questo, possono essere possibili tante altre “rese” ed “esecuzioni” di un’opera poetica, anche indipendenti da una volontà di studio “musicale”.
    La voce di Esenin recitante integralmente il Pugacev, non era di certo una voce istruita, eppure essa aveva lo spessore di un momento storico ed artistico compiuto e irripetibile.
    Quello che oggi radicalmente ci manca, a mio modestissimo avviso, è la volontà di intendere l’esecuzione o la resa, come momento in sè autonomo dalle necessità e logiche del caso (pubblico, enti, invitati etc) ed irripetibile.
    Lavorare ad esse come si lavora ad un’opera artistica (compiuta o meno, non questo mi/ci riguarda) e non ad un evento mondano (rimpatriate tra amici o fiera dei poeti patrocinati con quote rosa etc).
    Che si lavori a un “segno”, questo per me solo è importante. E solo così, credo, si esce dall’umiliazione dei parchi protetti.
    Ciao a tutti.
    Dav.

    davidenota

    12 agosto 2008 at 15:24

  121. Caro Davide,

    parole precise e molto giuste: ma anche quello che ribadisci tu presuppone la CONSAPEVOLEZZA almeno storico-sociale del “luogo” in cui ci si in-scrive o si “canta”… ed è questo che in molti casi manca. L’apertura e la fuga dalla zona protetta, oggi, non può che passare, a mio avviso, da qui… Esenin, a parte il fatto che ce ne sono pochi in un secolo, non era precisamente quello che si dice un “ingenuo”… e occorre davvero finirla con l’idea scolastica pseudo-romantica del poeta naif che parla ispirato… l’ispirazione deve esserci ma è quella che precisamente brucia tutte le “mediazioni” tecniche, intellettualistiche, di mestiere e artigianali attraversandole in pieno, corrodendole dall’interno e, in qualche modo, salvandole: come fossero la legna da cui si sprigiona il fuoco… quindi legna necessaria e che è essa stessa, nel momento in cui brucia, luce.

    andrea ponso

    anonimo

    12 agosto 2008 at 16:53

  122. Mi sembra che Davide colga perfettamente il segno, e pure Andrea. Il problema è che non è facile lavorare né con la musica né col teatro (molto più complesso). Per curare un’esecuzione con dei musicisti ci vuole almeno un anno di prove; per quanto concerne invece la resa teatrale, la questione è più complessa, se si vuole partire da un’opera, e sicuramente bisogna organizzare uno staff, affidarsi ad una regia: penso a quello che ha fatto Ronconi con Fuoco centrale della Gualtieri e l’intervento musicale degli Aidoru.
    Christian

    anonimo

    13 agosto 2008 at 04:58

  123. Gentilissimi,

    dopo qualche anno di sperimentazioni e di frequentazione della rete, è giunto il momento di porre fine a un’esperienza e di cominciarne un’altra. Il lavoro svolto su “Radici delle isole”, “Arpa eolica” e, recentemente, “Scritture in attesa” con la collaborazione di alcuni amici, si conclude qui. Rimarrà attivo solo il mio blog personale, che ora si chiama “Compitu re vivi”: miolilve.wordpress.com

    “Personale” in tutti i sensi; quaderni di appunti, qualche libro, relazioni allargate. Umanità. Idee di educazione.

    Il motivo di questa scelta credo rientri in una fase di ripensamento collettivo della funzione dei blog nella diffusione della poesia – ultimamente molti autori importanti hanno optato per una decisione simile alla mia – ma questa mia scelta probabilmente è dipesa anche dal peso di una solitudine personale che non vuole per nulla ulcerarsi nel contorno del nulla che sento, oggi, dietro le parole e i discorsi. La poesia, per me, non è tutto. Ha senso solo se è seguita e accompagnata da un essere più complesso, dove la responsabilità delle persone, la loro sensibilità, la loro etica, sono atti imprescindibili. Non sono solo un poeta, grazie a Dio. Ho molto altro da fare e da pensare. La mia collaborazione andrà a “Land”, di Stefano Massari. Me l’ha offerta con un gesto di lungimiranza e di attenzione raro. Così come ha fatto Gian Ruggero Manzoni per altre questioni. Poche persone sanno annusare come i lupi l’odore portato dalle lontananze.

    Lo stesso spirito di apertura che ha contraddistinto il mio lavoro in rete sarà preservato. E sarà un lavoro che non svolgerò da solo; più maturo probabilmente, nel saper cogliere le istanze di una complessità, umana e non solo artistica delle persone.

    “Radici delle isole” ha prodotto più di 300 pagine di critica pura. E’ un lavoro che intendo preservare nella forma della consegna alla pagina scritta. Sto lavorando perché diventi un libro. Con un’idea di critica forte, del tutto svincolata dalle angustie e dalle ristrettezze che caratterizzano molto lavoro di riflessione. Ma anche molti ”buchi”, consentitemelo dire, in cui si è cacciata la poesia di questi anni: per preservarsi, ma in realtà per rintanarsi. E la rete, spesso, ha contribuito suo malgrado, insistendo su pochissimi nomi, che girano qua e là, sempre gli stessi, e abiurando quindi a una sua fortissima funzione di vera ricerca, di vero e autentico stanamento delle voci sparse e inascoltate che abitano questa Italia.

    E infine: un grazie a tutte le persone che in vario modo hanno voluto transitare nei miei blog, lasciando un commento, un saluto; a volte la traccia consistente di una presenza che poi è diventata amicizia, collaborazione, complicità.

    A risentirci, spero, in altra veste e con altro spirito.

    Sebastiano Aglieco

    anonimo

    13 agosto 2008 at 07:02

  124. rispetto al 120
    si dovrebbero formare ed essere attivi dei veri e propri gruppi di lavoro (…come accade nella musica rock per l’appunto)
    ma se questa linea è percorribile nelle grandi metropoli dove la presenza di artisti è più concentrata, di sicuro lo è meno nelle periferie …

    .tonino

    vaan60

    13 agosto 2008 at 07:30

  125. Si, Christian, ma la nota che dai tu porta a considerare l’ipotesi di un’opera assai più vasta e complessa del singolo testo poetico. Voglio dire, che rapporto c’è tra questa teatralizzazione che nei termini che ne dai tu diviene assai convincente, almeno in potenza, e il testo teatralizzato?

    Il testo nasce per quella performance? Nasce prima? Nasce dopo?

    Alessandro Canzian

    anonimo

    13 agosto 2008 at 12:46

  126. Un po’ in ritardo una precisazione dovuta:rendersi permeabili agli influssi dell’ambiente,evitare di erigere paratie,e saper usufruire delle modalità d’indagine di altre discipline, non significa, ovviamente, riproporre, magari riattualizzata per l’occasione, la stantia figura del ” poeta di protesta ” anni 70 o la ormai logora poesia sociale.Chiusa questa parentesi ( breve, dato che l’argomento è già stato ampiamente dibattuto e mi ritrovo pienamente in quanto già espresso da Ponso ) riguardo ai reading:mi ritrovo ancora d’accordo con Andrea. Nelle poche occasioni in cui mi è capitato di assistervi sono rimasto abbastanza deluso: spesso si sa già prima di iniziare chi sono le ” star ” e chi i comprimari ( lo si evince di solito dal fatto che l’organizzatore tende ad elogiare i primi ed a distorcere i cognomi dei secondi, quando addirittura non dimentica di chiamarli ) ed il pubblico spesso si aspetta ” emozioni ” e premia con gli applausi chi lo ” emoziona ” di più ( e ciò conduce in linea diretta alla solita immagine folcloristica del poeta romantico, assai ” ispirato “, di cui parlava Ponso ed, aggiungerei io, in seconda battuta non a Robert Burns ma piuttosto a Jovanotti ). Ora, appurato che l’emozione altro non è che una sindrome reattiva che abbraccia più dimensioni della persona ( cognitiva, fisiologica, comportamentale ) e non è certo un generico ” movimento dell’animo ” come viene intesa da molti, mi chiedo come possa essere un criterio utile per giudicare la validità o meno dei versi di un poeta. In effetti se, durante un reading, un tale facesse entrare fra il pubblico un toro infuriato sicuramente produrrebbe grande emozione ma non credo qualcuno si sognerebbe di dire che il toro ha valenza artistica. Ovviamente esistono eccezioni lodevoli, situazioni davvero ben concepite, dove sono possibili interessanti commistioni fra musica, poesia, teatro, talvolta anche in provincia (penso ad esempio ad alcuni ottimi reading a cui mi è capitato di assistere nella splendida località di Arcumeggia ) ma, purtroppo, mi pare che in generale ” l’andazzo ” sia ben triste.Mi sembrano poi rilevanti le domande che pone Canzian..anch’io nutro dubbi simili.
    Un saluto.
    Carlo Dentali

    anonimo

    13 agosto 2008 at 17:48

  127. Alessandro, come espresso da Voce, ciò che dovrebbe interessare è l’opera. Un’opera può essere un testo, che ne so, New York di Alberti, un testo-un’opera; può essere addirittura un romanzo (mi viene in mente Partita di Antonio Porta), può essere una raccolta (che nutre tutta una serie di impostazione teoretiche)… Dal mio modo di vedere (abbiamo discusso su un post di Nevio Gambula http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article1200) la performance è l’azione che dà vita all’opera. La poesia non è solo lo scrivere un testo poetico, e la sua scrittura è un procedimento complesso, è una performance, in cui intervengono numerosi orientamenti dovuti sì alle idee dell’autore, ma pure dovuti allo svolgimento della performance stessa (successione di orientamenti) in cui l’autore è coinvolto. Questo per me è il punto di partenza.

    Riguardo l’esecuzione, l’opera può risultare utile per un’ulteriore performance, per uno spettacolo di teatro, può essere cantata, accompagnata dalla musica, ed è un labor successivo. Ma nulla vieta di arrivare all’opera applicandosi nella performance della costruzione di uno spettacolo di teatro. Il metodo che il poeta sceglie, nutrendo l’obiettivo di far accadere la poesia, mi sembra più che mai libero: è rischioso dal punto di vista della complessità formare un’opera mentre si elabora uno spettacolo, ma a me pare che la Gualtieri ci riesca bene, o la Lo Russo di Penelope… Una critica dovrebbe andare a fondo sul processo di formazione, per essere precisa, in un mondo che non consegna ai soli caratteri tipografici l’orizzonte dell’opera, che in ogni caso tu poi potrai eseguire nel modo che scegli, da una semplice lettura silenziosa, a una recita, …

    Riguardo i reading: io non ci vedo nulla di male se uno legge i propri versi in pubblico, belli, meno belli, orribili. Se c’è qualcosa che mi interessa, domanderò all’autore se ha pubblicato un libro, come posso procurarmi il suo lavoro; mi spiego: può accadere che un autore da altri giudicato meraviglioso, a me non interessi, e non credo che sia un problema per l’autore in sé, né per la mia esperienza di vita. Un anno fa mi sono divertito con una inchiesta, sui blogger a cui ho chiesto “CS: Che importanza riveste su internet il lavoro di “mappatura” delle esperienze letterarie e poetiche? Quali implicazioni a 360° di questa esplosione di nomi e di autori? Quali gli autori, e in particolar modo i poeti, che hai potuto leggere in rete e che ti sentiresti di promuovere in qualche manifestazione? (Indica i contesti – reading, performance, dibattiti, spettacoli, happening, installazioni… -, indica gli autori e motiva le tue scelte)”… Nessuno è entrato davvero nello specifico dei contesti “pubblici”. Credo ci sia anche molto pudore, insicurezza o non conoscenza, nell’affermare se un autore legge bene, oltre il piano della critica specifica ad un libro…Però non farei di tutta l’erba un fascio, come fa Dentali, dimostrando una chiusura elitaria ben più cieca di un giudizio approssimativo dato da un pubblico qualsiasi.

    Ringrazio Sebastiano, per tutto il lavoro che ha svolto in questi anni, lo abbraccio virtualmente e attendo il libro, che sarà una delle prime opere significative, nate in rete, ma soprattutto nate dalla grande passione di uomo.
    Christian

    anonimo

    13 agosto 2008 at 23:58

  128. Andrea, deciditi a staccare la spina del pc e a metterti in macchina. Ti sto aspettando, porca miseria!

    FilippoDavoli

    14 agosto 2008 at 00:11

  129. Ti ringrazio Christian, perchè adesso credo di aver capito bene cosa intendi e messa così condivido il tuo punto di vista. O meglio, lo condivido nella proiezione dell’opera ma non lo condivido a livello autoriale. Ma è un limite che mi hai aiutato a scorgere. Cioè, mi rendo conto di concepire il testo poetico come un qualcosa ancora chiuso nel recinto tipografico. Comprendo che la mia visione ad oggi sia probabilmente riduttiva, ma non riesco ad uscirne. E nel contesto della domanda di Matteo vedo anche bene che questo mio limite non aiuta certo la diffusione del verso.

    L’opera che tu intendi, l’opera poetica che ha in un qualche modo la performance intrinseca, è in qualche modo l’indirizzo della poesia contemporanea dagli anni 90 ad oggi. Sto pensando ad esempio a Claudia Ruggeri, della quale mi sono occupato, che senza un diretto riferimento al teatro diviene incomprensibile.

    Certo a questo punto sarebbe bello chiedere a chi scrive, compreso Matteo, l’età che si presume abbia tale modo di scrivere in versi. Questa forma, questa attenzione alla performance, è un’attività matura o siamo ancora agli albori?

    Riguardo ai reading la questione del testo interessante o meno, a prescindere dall’interesse della performance, era tutta tesa alla diffidenza che c’è oggi riguardo alla poesia. Letta si, ma a livello hobbystico con il chiaro riferimento all’emozionalità della poesia (o presunta tale). Il discorso era che reading banali allontanano il pubblico dalla poesia. Non si sta quindi intendendo l’opera come tu l’hai intesa, che risulterebbe certamente interessante. Si sta parlando di noiosi reading che, se reiterati, sono come quelle telefonate promozionali alle quali ormai dici “no” a priori, senza nemmeno stare ad ascoltare.

    Per quanto riguarda l’emozionalità della poesia mi trovo d’accordissimo, e lo sottolineo quindici volte, con quanto detto dal Dentali. L’emozione non deve essere, a mio opinabilissimo avviso, il fine del verso. L’emozione non resta nell’anima e non dà nulla di definitivo, di duraturo. Io direi che la poesia dovrebbe dare in una qualche misura della “verità“, “verità umana”, che ha in sì l’emozione, ma non come obiettivo finale, bensì come “effetto collaterale” utile ma non principale.

    Cosa che invece vedo bene essere l’opera/performance intesa da Christian, che in qualche modo ribalta il rapporto lettore/opera. Perchè nel testo scritto l’opera entra dentro il lettore attraverso la lettura, nella performance, nell’opera/performance, è il lettore ad entrare dentro l’opera.

    Ancora un grazie Christan, e buona giornata

    Alessandro Canzian

    anonimo

    14 agosto 2008 at 07:26

  130. non c’è età alessandro. c’è solo propensione o meno a un certo tipo di poesia.

    quando emerge come sta emergendo che il cattivo reading allontana dalla poesia ecco che si concretizza la tesi da cui siamo partiti. ma di chi è la colpa. dei poeti ? non credo. o almeno se un poeta è una chiavica dovrebbe avere la decenza di comprenderlo e restare nel silenzio della propria cameretta fino a che non sarà riuscito a proporre qualcosa di decente. e la critica deve roncolare il poeta “incapace”, per farlo migliorare o desistere. punto. senza tanti fronzoli.
    ma di chi è la colpa se nei reading oltre ai poeti di serie a ci sono anche poeti dilettanti. di chi organizza. ognuno di noi ha colpe, ha ragione andrea, nelle letture critiche e acritiche, nel modo di condurre le cose. è necessario mantenere questo sistema ? sicuramente si può migliorare. se esce una mia recensione e ho scritto un mucchio di baggianate mi aspetto che qualcuno critichi quello che ho scritto. invece abbiamo ancora la “semplice” tendenza a chiederci “chi è stato dove” e invece dovremmo chiederci “con che cosa”, con che opera (la prendo larga, considerate tutte le questioni giustamente inserite sulle commistioni e le interazioni artistiche). ma se anche rimaniamo al testo e chiediamo la critica (che va assolutamente rimessa in modo, lo chiediamo da anni, ma con tutti i laureati in lettere che ci sono… non c’è qualche povero stronzo che si metta a lavorare sulla critica della poesia contemporanea senza per forza avere velleità poetiche ? in italia son meno dei panda…) vedete che si passa dall’antologia di carrocci a parola plurale. insomma un mondo intero. un mondo intero sul quale dobbiamo ragionare.

    matteofantuzzi

    14 agosto 2008 at 10:02

  131. Qualcuno dai c’è…. penso al Galaverni che non mi pare abbia mai scritto un solo verso. Per quanto riguarda i reading torniamo al punto di partenza mi pare. Dal quale nasce l’incomprensione e la decadenza del reading stesso. Perchè mi pare siamo arrivati al punto di definire l’opera/performance come un’atto poetico vero e proprio, ma differente e molto più curato del reading dilettantesco. Ma dobbiamo anche prendere atto che possibilità (internet, pubblicazioni facili e a basso costo, reading senza criterio, associazioni poetiche di dubbissimo gusto) e richieste (il lettore/auditore cerca l’emozione non il “vero poetico”) portano a una sorta di consumismo della poesia. Che pretende sempre nuovi autori e nuovi versi. L’ho già detto.

    Il problema a mio avviso è prettamente culturale ed è venuto fuori dall’assenza di grandi figure che nel grande pubblico ha portato a un’ignoranza plateale riguardo a “cos’è” la poesia, e nella poesia a un abbassamento generale del livello. Basti vedere che anche qui, in questa discussione, è già venuto fuori che “i maestri non servono”.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    14 agosto 2008 at 12:10

  132. No Matteo, non si tratta di buona lettura o cattiva, o per lo meno a me non interessa minimamente, davvero men che zero. La bravura sa essere noiosissima e dilagante, davvero seriale. Occorre essere unici e irripetibili, fare opera. Tutto qui.
    Il non riuscito, il brutto, la cola in un quadro, “possono” far parte dell’opera.
    Dicendo che solo questo mi interessa, intendo davvero dire che solo questo mi interessa.
    Del perbenismo critico italiano, men che nulla.

    davidenota

    14 agosto 2008 at 13:03

  133. un paio di precisazioni, galaverni e afribo sono proprio due dei pochi “panda” a cui pensavo, e così diversi dei firmatari di parola plurale. ma siamo davvero alle mosche bianche e questo è un fenomeno tutto italiano che sarebbe necessario controvertire.

    per quello che dici davide io mi riferivo a cattivi testi, non a cattive effettuazioni. spesso siamo in grado di perdonare cattive effettuazioni se il testo vale. insomma mica sono tutti walcott !

    matteofantuzzi

    14 agosto 2008 at 13:16

  134. Caro Andrea,
    non cercavo in Esenin, che è in me autore culturalmente (e quindi formalmente) ESSENZIALE, della retorica naif.
    La sua voce non è istruita nel senso che non ha – davvero – “studiato” bel canto – nè rudimenti tonali, vale a dire che la voce di Esenin non era la voce di C.B. recitante Esenin.
    E’ un esempio che mi è venuto in mente, e potrei farne altri.
    Eppure, ripeto, il Pugacev recitato integralmente, ̬ Рe lo ̬ per sempre Рil Pugacev recitato integralmente da Esenin.
    Significa: è opera, ed è operazione.
    Non opera teatrale, nè opera musicale (non vi è studio, nè talento, in questo senso): ma è opera poetica orale.
    Si eseguiva il Pugacev. Questo conta. Questo è il “segno”, cioè un’OPERA (TITOLO – Maiuscolo) e non il nome e cognome del poeta che legge poesie (plurali, in minuscolo).
    Letture integrali. Opere orali.
    Questa è l’unica cosa che mi interessa e di cui parlo, rimanendo nella dimensione della riproduzione “poetica”, cioè non entrando nella sfera del musicale o dell’attoriale (non è necessario entrarci – si può essere Sandro Penna e apparire oralmente in Schifano).
    Al contrario invece (volendoci cioè entrare), sottoscrivo quanto da te scritto sino ad ora.

    davidenota

    14 agosto 2008 at 13:27

  135. E a proposito, il testo di L.Voce pubblicato sull’Unità è esatto.
    Il problema è esattamente questo: l’Opera (poetica) non è intesa, e viene percepita come una raccolta casuale e periodica di poesie (plurali, in minuscolo).
    Nel formato “reading” o “festival” questo problema è esasperato fino al grottesco.
    Basti pensare ad un festival di cinema in cui ogni regista proietta 10 minuti del suo film, per capire lo stato di umiliazione cui ci condanniamo.

    davidenota

    14 agosto 2008 at 13:37

  136. Ciao Alessandro,
    scrivi: “Il problema a mio avviso è prettamente culturale ed è venuto fuori dall’assenza di grandi figure che nel grande pubblico ha portato a un’ignoranza plateale riguardo a “cos’è” la poesia, e nella poesia a un abbassamento generale del livello”.
    La poesia è stata definitivamente allontanata dalla gente da due fattori specifici:
    – l’avanguardie ed il gruppo 63 (tranne un primo Pagliarani, forse) che hanno reso la poesia incomprensibile non solo ai poeti stessi ma sopratutto all GENTE che la poesia leggeva. Non ü un caso che la memoria storica della gente comune arrivi a prima dell’avanguardia degli anni 70 dopodichè tutto diviene nebuloso e sconosciuto. Non ho parlato di addetti ai lavori. Ho parlato di gente che leggeva poesia (anche se magari poco) e che ha smesso.

    – l’avvento di coloro che furono nelle avanguardi o successivamente spinti da chi era il Maestro ai tempi delle avanguardie insediatosi poi ai vertici dell’editoria e della critica, col risultato di abbassare del tutto il livello della critica militante sia per motivi strettamente “politici” che di – suppongo – generalizzato disinteresse.

    Sul punto di volere a tutti i costi un Maestro che ci guidi, riprendo quanto detto da Matteo qualche rigo sopra:
    “se un poeta è una chiavica dovrebbe avere la decenza di comprenderlo e restare nel silenzio della propria cameretta fino a che non sarà riuscito a proporre qualcosa di decente”

    A che serve esattamente questo Maestro teorizzato come non solo utile, ma assolutamente necessario se non irrinunciabile?
    a titolare il mio ego?
    a farmi fare le carezze sulla testa? a farmi dare una spintarella perchè scrivo male e senza il Maestro non vado da nessuna parte?
    ad arrivare finalmente al reading fiko ed importante (e altrimenti inarrivabile) perchè sono un accolito del Maestro?
    a classificarmi nel premio che il Maestro presiede?
    a pubblicare nella collana che dirige?

    Perchè farcela con le sole proprie forze, studiare, stare zitto, stare in disparte e lavorare e farcela con le sole proprie forze (e senza leccare il culo dove batte grano e gloria ) pare ormai un mestiere superato.
    Anacronistico, direi.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    14 agosto 2008 at 15:07

  137. Gentile Fabiano, sulla nota riguardante la letteratura e la sua comprensione dopo gli anni 70 sono d’accordissimo. Basti vedere non solo il gruppo 63 ma anche quello dopo, il 93, quali esiti hanno avuto. Praticamente nulla. Di fatto erano un forzoso tentativo di costruire una linea d’arte, una corrente letteraria col materiale presente.

    Nella stessa direzione mi vengono in mente le definizioni di “neolirismo” e “neo orfismo”.

    Però per quanto riguarda la nota sui maestri temo di essermi spiegato male. Non intendo dire che il poeta deve scegliersi un “maestro” dal quale ricavare favoritismi. Anzi. Direi a chiare lettere che il poeta dovrebbe lasciar perdere concorsi e manifestazioni varie concentrandosi unicamente sull’opera (x Christian, nelle manifestazioni includo i reading e quant’altro, ma non l’opera/performance che hai definito tu..perchè un’opera che impegna per la sua realizzazione un anno di lavoro merita tutto il rispetto possibile, anche qualora non sia condivisibile).

    Il maestro ripeto è solo un punto di riferimento da amare o odiare a uso e consumo dello studio del verso, cosa privata del poeta e che rappresenta il suo iter di studio, che non dovrebbe mai finire.

    Faccio un esempio. Luzi è morto, ma è decisamente un maestro. Perchè oggi chi scrive in italia non può non passare attraverso Luzi come in tutta la prima parte del novecento non si poteva passare attraverso D’annunzio.

    Quando si scrive si scrive in un contesto storico e culturale definito, non ci si può astrarre o alienare da esso senza scadere nel dilettantismo.

    Per cui oggi esistono delle figure poetiche alle quali bisogna fare necessariamente riferimento per scrivere in versi.

    Poi ci sono le figure che individualmente il poeta sceglie come punto di partenza UNICAMENTE per lo scrivere. Non per andare avanti.

    E poi, scusa, avanti dove?

    Alessandro Canzian

    anonimo

    14 agosto 2008 at 15:23

  138. “Faccio un esempio. Luzi è morto, ma è decisamente un maestro. Perchè oggi chi scrive in italia non può non passare attraverso Luzi come in tutta la prima parte del novecento non si poteva NON passare attraverso D’annunzio. ”

    chiedo venia, errata corrige

    Alessandro Canzian

    anonimo

    14 agosto 2008 at 15:25

  139. Mi permetto, Alessandro, di dirti che la mia è una visione del processo di formazione dell’opera, ma non mi pare ci siano differenze abissali da quando la scrittura è entrata nella poesia, integrando l’oralità e tutta la retorica e la metrica atta a sostenerla. Se penso al Novecento, mi preme Garantirti che Ungaretti da questo punti di vista è stato un grande performer, e il suo riferimento è comunque il surrealismo. Quindi ciò che scrivo non credo accada da soli trenta anni. Quando dico che l’era dei maestri è finita, lo dico nel senso che ognuno, oggi, può scambiarsi le informazioni, trarre spunto, da chi desidera, in modo diretto e semplice, senza l’appartenenza ad una scuola o ad un gruppo o l’affiliazione a chiunque. Sarà il suo percorso poi a denotare la bontà di ciò che ha fatto. Però davvero da questo discorso vedo una grande disumanizzazione dei rapporti tra le persone; se esiste un pubblico nella vostra mente è perché non esistono le persone che possono essere interessate a ciò che un poeta fa, ed è a questo incontro che bisognerebbe pensare. Poi, senza andare a fare liste di serie a e serie b, quando escono i nomi degli invitati ai festival, potete sempre polemizzare sull’inserimento di uno piuttosto che di un altro, ovviamente motivando le vostre scelte. Credo che questo faccia bene alla poesia, cioè fare scelte, criticare, cercare di rimanere liberi anche nello stroncare, se si vuole, persone che in un primo libro vi sembravano buone, e in un altro non hanno colto il segno. Ma alla base c’è la sincerità e il rispetto per le persone, che fanno, nonostante qualcuno possa esplicitare il suo favore, o indirizzi i suoi complimenti ad un altro. Poi, se non ci fossero anche i cosiddetti “reading di massa (?)” che fanno della poesia “produzione e consumo”, ovvero più semplicemente contesti aperti (che a mio personale giudizio sono da affiancare ai festival) di reading, slam, etc, dico se non si vuole lasciare una porta aperta alla libera espressione delle persone ( e se devo essere sincero grazie a questi eventi ho conosciuto tanta umanità splendida, interessata, intelligente, che si emoziona, che riflette ), che civiltà pensiamo di costruire?

    Questa cosa della neoavanguardia o del gruppo 93, che hanno nutrito peraltro intenti molto diversi e qualche linea di contatto, mi pare la stiate banalizzando. Non mi sembra che i personaggi di punta di questi movimenti siano così incomprensibili, se ci poniamo sul lato della leggibilità. La neoavanguardia ha prodotto tantissima sperimentazione, molti strumenti che si possono intercettare. Riguardo il Gruppo 93, bisognerebbe leggersi tutto Baldus: un argomento che ho trovato di interesse è l’uso del dialetto per vivificare la poesia… Ci sono temi e temi e ognuno dovrebbe esplorarli, trovare la propria misura, collocazione, in merito ad alcuni dibattiti passati, chiusi, forse da riaprire.
    Christian

    anonimo

    15 agosto 2008 at 00:41

  140. Va bene, Christian, che Ungaretti era un grandissimo performer. Ho in mente anch’io una sua lettura e fa venire veramente i brividi. Ma il punto non è questo. Al tempo di Ungaretti e direi fino agli anni 70/80 la SCRITTURA era ancora tesa al foglio, non alla performance. Solo recentemente la performance conseguente al testo è divenuta un elemento intrinseco al testo stesso. E questo è stato una sorta di rinculo da ciò che è stata la neoavanguardia. La quale con tutti i suoi sperimentalismi a tutti i costi aveva creato confusione e diffidenza. Ora una regola, per quanto molto molto ampia, c’è. Ovvero il rendere il testo accessibile al lettore/fruitore proprio attraverso la performance allegata o allegabile. Ne dico uno. Giuseppe Conte. Le sue poesie sono fatte per essere lette. Senza una lettura ad alta voce di quei testi non si coglie il nodo fondamentale di quella poetica. E la sua bellezza. Altrettanto, per tornare al tuo discorso, non si può dire di Ungaretti.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    15 agosto 2008 at 08:14

  141. Christian
    concordo e sottolineo quanto scrivi in tutta la prima parte e per la seconda ammetto che é stato semplificato il concetto traendone una sintesi estrema.

    Baldus é stata una rivista -anche se durata 10 numeri soltanto- essenziale dalla linea (e cito Sergio Garau – “Fedeli alla linea che non c’è” – Edizioni Cepollaro E-Book – qui il link: http://www.cepollaro.it/poesiaitaliana/GarauTes.pdf ) tanto ben chiara quanto distante dal Gruppo 63.

    “(Il Gruppo 93) è infatti un luogo di confronto, una rete di poeti, scrittori, critici collegati tra loro, che restano tuttavia individualità ben distinte, le cui “linee”, numerose, variabili e multiformi, sono ora tanto affini da coincidere, ora tanto divergenti da opporsi”.
    (ed invito, tanto a leggere lo scritto, esaustivo, che a procurarsi il cofanetto – INFO AL LINK: http://www.sparajurij.biz/maledizioni/baldus.html )

    L’uso (la ripresa) del dialetto del gruppo 93 era quindi contrapposto all’uso del linguaggio dei media e dalla cinematografia fatto dal gruppo 63. Una sorta di raddrizzamento del timone ed un tentativo (credo poi sdoganato con successo, vista la ripresa della poesia in vernacolo) per riportare la poesia tra la gente, nutrirla di cose della gente e per la gente, anche se per entrambi, – se vogliamo- c’è stato il tentativo di restare aderenti al reale e al presente. Cito Giuliani a proposito dei Novissimi :

    Dei poeti (..) raccolti mi sembra che il solo Pagliarani si sia fatto un problema di ‘realismo’ letterario, ma sempre contraendo la realtà sperimentata, mai credendolo un contenuto di per sé sufficiente a rinnovare la poesia (indi solo lo stile – nota mia). Tutti noialtri, ci siamo fatti un problema di verità, di rinnovamento strutturale, non di realismo coatto»(1961)”
    Novissimi, Gruppo 63 erano in preda allo sperimentalismo.
    Merito del Gruppo 93 é stato digerire e riproporre DIVERSO, riprendere le redini ed allargare la visione, lo sguardo d’insieme. Non rompere i margini ma cercare di compattarli.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    15 agosto 2008 at 08:50

  142. A proposito dell’ultimo di Alborghetti, rimane spesso opaco il concetto di Gruppo (unito da cosa, di letterariamente rilevante: poetica, prassi, premesse ideologiche?), ben piu’ difficile di quello di Maestro (per il quale un paio di libri-opera ben recepiti danno gia’ una idea meno vaga del cosa e del come).

    A me pare che oggi, sulla rete, piu’ che i Gruppi vigano i Contenitori: gente diversissima che si unisce per affinita’ non strettamente letterarie ne’ per premesse fondative comuni; direi anche gente che si unisce in modo del tutto casuale, come capita, secondo gli “inviti” estemporanei di altra gente fluida alla stessa maniera. Anche questo fa parte delle pratiche di distanziamento e intercambiabilita’ dell’interlocutore: ben attenti a condividere parti “deboli” di territorio anche con chi lavora assieme, quali discorsi seri (di discorsi se ne fanno comunque, a cascata) potranno essere fatti in questo modo? —GiusCo—

    anonimo

    15 agosto 2008 at 15:10

  143. Caro Fabiano, mi permetto il tu dato che ci conosciamo, permettimi di farti notare che riguardo al discorso dei maestri tu e Canzian faticate ad intendervi semplicemente perché vi riferite con gli stessi termini a questioni assai differenti. Tu, in sostanza, ma correggimi pure se sbaglio, stai parlando di quei personaggi che nel mondo della poesia si legano a qualche gruppo, o a qualche ” poeta laureato “, e ne adottano pensieri, poetica e leitmotiv un po’ per supplire alla propria vuotezza ed incapacità, un po’ per avere qualche vantaggio. Tali personaggi esistono, hai pienamente ragione, e quasi spesso ottengono anche credibilità ed un discreto ” successo ” ( anche se continuo a trovare questo termine risibile se applicato al mondo della poesia ) ma il discorso che fa Canzian sui maestri è ben diverso.
    Riguardo poi alle presunte responsabilità delle avanguardie e dei gruppi successivi nel determinare un certo allontanamento della gente comune dalla poesia noto, e mi fa piacere, che hai provveduto già a rettificare e precisare ciò che volevi sostenere.Comunque mi permetto di farti notare che, come dimostra il recente ed eclatante caso di Montale alla maturità, il rapporto fra il pubblico e la poesia contemporanea non è mai stato idilliaco: la faccenda, abbastanza complessa, non inizia certo con Sanguineti e gli altri e meriterebbe un discorso a parte.Se penso ad esempio a due autori che sono stati importanti per la mia formazione, quali sono Cendrars e Pound, non posso certo ingenuamente sostenere che la loro poesia sia facilmente accessibile ai più..e si parla della prima metà del 900.
    Un saluto.

    Carlo Dentali

    anonimo

    15 agosto 2008 at 15:43

  144. …ovviamente: all’ottava riga ” quasi sempre ”
    Bye.

    C.D.

    anonimo

    15 agosto 2008 at 15:51

  145. Ciao Carlo,
    bello leggerti e dirti ciao!
    🙂

    Con Alessandro Canzian UNA delle istanze su cui m’impunto è appunto l’opportunità -o meno- del Maestro ancora vivo che diventa vettore di quanto già espresso in precedenza e da te ben riassunto.

    La SECONDA istanza che mi fa accapponare la pelle è quella del dovere: Si DEVE avere un Maestro di riferimento
    e
    in aggiunta
    anatema averne diversi – come ho detto precedentemente – .

    Ripeto che non vedo assolutamente la necessità di avere un Maestro (vivo o defunto che sia ma per onestà meglio defunto) se non per proprio piacere e crescita, per propria devozione allo studio. E mettersi nelle mani di molti, darà uno sguardo decisamente piu variegato e sostanzioso che non finire nell?abbraccio di uno solo. Il rischio è la visione monoculare, maniacal-partigiana per quell’uno e uno soltanto.Uno è poco, scusate.
    E’ meglio trino.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    15 agosto 2008 at 20:07

  146. aggiungo,
    la pluralità di influenze che possiamo raccogliere da molti Maestri e non solo uno, qualora si decidesse di adottarne, aiuta la pluralità di visione.
    E nella scrittura questo si avverte, cosi come si avverte un percorso serio fatto in proprio, ove il tutto viene distillato ma non diviene fondante per la scrittura.
    E’ magari uno dei tasselli, ma non il piedistallo su cui poggiare.

    Non possiamo considerare quanto è il possibile Maestro una “chiave di volta” nella nostra scrittura.
    L’unica chiave di volta siamo noi. A LATO avremo magari un Maestro. Magari no.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    15 agosto 2008 at 20:20

  147. Alborghetti, via… a meno che tu non provenga da fuori il nostro sistema solare, hai sicuramente dei Maestri antropomorfizzati (fossero anche inconsci) che influenzano tuttora attivamente il tuo pensiero e la tua scrittura; non mi risulta che la critica si esprima sui tuoi versi in termini di novita’ estetica o di pensiero, quindi va bene il percorso autonomo, ma attenzione alle tautologie dell’ io sono io sono io. In quindici anni di letture piu’ o meno alacri, l’unica “originalita’” evidente che mi sia capitato di osservare e’ quella di Gabriele Pepe, che probabilmente la deve al pesante fardello di congiunture fisiche, culturali e intuitive di cui e’ gravato. Il resto e’ riscrittura, spesso inconsapevole, spesso ideologica. Questo, per aiutare l’opera di disboscamento dei cespugli vocianti, come vuole (alla larga… della serie: vai avanti tu che a me vien da ridere?) il padrone di casa. Bulfaro e Afribo e adesso Pepe fanno un bel terno secco. —GiusCo—

    anonimo

    15 agosto 2008 at 21:38

  148. C’è una sottile non trascurabile differenza tra il termine influenzati (ben utilizzato da te, Giuseppe, credo Fabiano intendesse proprio questo con il suo intervento) da molta poesia, e l’aderenza allo stile di qualcuno, così come l’essere determinati da una corrente particolare… @Fabiano: non credo che le riviste, ad esempio Baldus, siano le responsabili di una fecondazione, come nel caso del dialetto – anche perché chi possiede oggi il cd di Baldus, o le copie della rivista? Pochissime persone. C’è da dire invece che sono responsabili di una riflessione: il fatto che siano difficilmente disponibili in nuove edizioni, non rende facile l’approfondimento. Come servizio alla poesia, sarebbe indicare ad esempio una lista di riviste degli anni 50/60/70/80/90 da rieditare, anche da pubblicare in internet integralmente non sarebbe male. Come espresso in questo articolo http://www.anteremedizioni.it/?q=christian_sinicco_qual_e_il_centro_internet_tra_passato_e_futuro, credo sia utile per noi tutti spingere l’operatività in una serie di progetti utili.
    Christian

    ps (a margine della discussione e non essenziale per la discussione): sempre per Fabiano: che mi dici degli Epigrammi ferraresi di Pagliarani? Realismo anche quello?

    anonimo

    16 agosto 2008 at 00:10

  149. la questione che tira fuori davide sull’opera è sicuramente 1 assetto interessante. andrebbe capito se sempre applicabile, anche se recentemente ho avuto modo di sentire gherardo bortolotti in un “solo testo” e devo dire che aveva sicuramente senso. è chiaro che va a ribaltare molto del fare reading e festival di oggi ma in un certo senso fa assumere anche al produttore del lavoro una maggiore responsabilità e anche tempi necessariamente più dilatati in fase di progetto (e si spera quindi mediamente esiti migliori): l’esempio fatto da sinicco del binomio ronconi/gualtieri mi sembra decisamente calzante e ben riuscito.

    ricordo che tutto baldus è stato recentemente rieditato, quindi è facilmente consultabile. la questione poi che apre christian (ma che già prima mi fare fosse saltata fuori) sulla democratizzazione non è un nodo da poco, anche perché sinceramente la questione maestri/non maestri… mi sembra un poco come chiedersi se si vuole più bene al papà o alla mamma. roba da ferragosto insomma. e chi ne ha incontrati meno… e chi ne ha incontrati di più… queste mi sembrano cose da serata fra amici a discutere di poesia tra amici, da spaghettata con sangiovese e rutto libero. cosa volete che gliene freghi alla gente di cui parla christian dei maestri ? la gente al massimo se si avvicina una sera alla poesia vuole sentire che cos’è la poesia oggi, che cosa racconta loro.

    e poi mi “preoccupa” che l’analisi arrivi ancora al massimo al reading, è possibile che nessuno valuti la possibilità di altre tecnologie, di altri media. è insormontabile l’analisi di altri formati, digitali, tele, radio ecc. sposterebbe le questioni ? potrebbe creare nuovi territori ? aumenterebbe la fruizione ? o sono baggianate da settore commerciale ?

    perchè senza andare troppo alla larga, qualcuno di voi a una platea di neofiti si arrischierebbe di tenere una serata attorno alle differenze di approggio… che ne so… tra la cucchi/giovanardi e l’antologia di testa ? o sulle differenze gruppi 63/93 ? è chiaro che a quel punto la gente per riprendere quanto scritto un centinaio di post fa decisamente se ne va in spiaggia. e a mio parere fa bene. perchè l’errore è nostro che ci siamo concentrati e abbiamo proposto “metapoesia” e non quello che ci viene richiesto. cioè la poesia.

    matteofantuzzi

    16 agosto 2008 at 00:31

  150. (potere della scrittura dei post nello stesso momento, anche christian cita la riedizione di baldus e confermo anche io la necessità dell’open source delle riviste di poesia del secondo ‘900, che dovrebbe passare dalle università però, per 1000 motivi, credo ad esempio che il dipartimento di italianistica dell’università di bologna non farebbe molta fatica a informatizzare il meglio della produzione delle riviste di poesia italiana del secondo ‘900, e sarebbe per tutti un patrimonio invece !)

    matteofantuzzi

    16 agosto 2008 at 00:35

  151. @ Giuseppe:
    credimi, nessun Maestro metabolizzato, né alcuna figura di riferimento e non sono balle. Posso dire chi mi piace e che leggo volentieri, più volentieri di altri ma comunque sono e restano lontanissimi da quello che è poi la mi scrittura.
    Che poi io possa rappresentare o meno una novità estetica (per quanto possa valere come appagamento o riconoscimento), non posso certo dirlo io ma casomai chi mi legge. Posso dirti di più: mi sono allenato e con una fatica immane (all’inizio), a non memorizzare mai nessuna poesia, nessun passaggio, nessuna voce, che sia questa di Maestro o meno. Perché so, ed ho sperimentato, che mi entrano nella scrittura e allora non sono più io ma “alla maniera di” ed è un’influenza che trovo nefasta.
    Davvero e con onestà, nessun Maestro di riferimento.

    Coerentissimo l’intervento di Christian al 148.

    @ Christian, al 148.
    Vero, ora Baldus non l’ha piu nessuno ma la rivista rappresenta ormai una sorta di eredità. Baldus è stata innovativa MENTRE esisteva, con la gravitazione di più “percorsi” che sono convolati verso lo stesso progetto.
    (e a margine: Pagliarani è stato “aderente” al realismo certamente con Cronache ed altre poesie + Inventario Privato + La Ragazza Carla.
    Già Lezioni di fisica e ficaloro sono del 1960 e risentono fortemente dell’influsso della neoavanguardia, scrittura cui rimarrà legato sino all’uscita della Ballata di Rudy nel 1995 che rappresenta se vuoi una svolta, se vuoi un ritorno alle origini, se vuoi uno sfondamento totale – anche per se stesso – visto l’uso dell’ipermetro.
    Vedo gli Epigrammi contrapposti alla Ballata di Rudy. Da una parte un supertesto, gofio, narrante (appagante). Con Epigrammi è invece una sottrazione possente ed una sintesi che se non vado errando (memoria infame) prevedono la stessa creazione degli Esercizi platonici, ovvero per “montaggio” – quindi, rispondendo, no, in questi casi non è poesia realista)

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    16 agosto 2008 at 14:11

  152. gonfio
    (sorry)
    FA

    anonimo

    16 agosto 2008 at 14:17

  153. Matteo
    Ma al dipartimento di italianistica a Bologna qualcuno ha mai dato l’dea?
    Perchè magari – e semplicemente – non ci ha mai pensato nessuno prima…

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    16 agosto 2008 at 14:45

  154. Bisogna ristabilire il contatto tra la poesia e la sua utenza, i poeti. Oggi giorno tutti scrivono poesia e nessuno legge poesia – il risultato è che i versi di queste persone con velleità poetiche risultano intrisi di memorie psicologiche dei grandi e di una spontaneità di certo non figlia della maestria. Il lessico poetico risulta anche alla lettura più superficiale indebolito; la strutturazione grammaticale precipita troppo spesso nella prosa in versi. Ma non per intenderci quella alla Betocchi, quella di chi non ha idea di che cosa sia uno schema accentuativo e che non ha una minima conoscenza linguistica. La poesia è in crisi perché quella di oggi non è poesia – un componimento non subisce, quasi mai, il lento processo di raffinazione che porta la gemma grezza al gioiello. La letteratura Bo la intendeva come vita, ora non esistono persone che vogliano fare della poesia la loro vita.

    Declino

    16 agosto 2008 at 15:31

  155. GiusCo, a me mi pare tu abbia tendenza alla consacrazione dei pochi. Da dove, dio grazia, questa grave tendenza promulgativa?

    Posso capire che Bulfaro e Afribo, casi pare documentati in essere, e poi critici che si occupano di altri, chapeau, ma l’aggiunta del Pepe perché ne hai letto molto…e hai letto Bonomo? hai letto Ansuini? hai letto Matera? hai letto Griffi? hai letto Pittalis? hai letto Caputi? hai letto Valentino? hai letto Yorke? hai letto Toini?

    Insomma, cos’è ‘sta smania classificatrice alla ricerca del nome quando i nomi sono molti e tutti fanno bene? Volontà di chiarezza e di semplificazione?
    Bene, mettetevela via. Con la rete e la possibilità di accesso alle menti la semplificazione è difficile, fatevene una ragione. Indipendentemente dalle scuole, praticamente a me pare ormai inesistenti, la grande spinta all’inventiva poetica è in atto, non è più selezionabile, vive di moto proprio e può avere seguito e costruire corpo soprattutto da una sua aggregazione dialettica, fattiva, pratica.

    Se poi devono essere le correnti di “potere” già affermate, difficili da capire ma esistenti, quelle che portano da (qualche?) parte, non chiamiamo in causa le capacità dei singoli ma chiariamo l’esistenza di queste aggregazioni supportate dal mito e diciamo, come per ogni cosa, ” se sei lì fai questo”, senza invocare capacità e pensiero proprio.

    E due balle le stroncature, che non sapete manco da dove cominciare.

    molesini

    16 agosto 2008 at 16:53

  156. Molesini sei male informata: la bibliografia critica di Pepe e’ gia’ ottima e abbondante. —GiusCo—

    anonimo

    16 agosto 2008 at 17:38

  157. Mettevo in discussione il metodo, non la validità di Pepe.

    molesini

    16 agosto 2008 at 18:25

  158. Aggiungo che non è vero che la poesia non è ‘sentita’. Semplicemente mi accorgo che esistono più livelli di poesia – come se questo genere letterario si fosse a sua volta suddiviso in più sottogeneri, caratterizzati a seconda delle differenze diastratiche tra possibili uditorii. Alcuni miei componimenti, che risentono non poco di influenze ermetiche, vengono piuttosto apprezzati dai miei docenti – logicamente gli stessi (componimenti) non posso leggerli ad una festa paesana (cosa che per altro mi è successa); per essa ho dovuto scrivere qualcosa ad hoc. Un esempio – dettato dalla necessità, di poesia che si avvicina all’uditorio e non viceversa. Per non parlare poi del fatto che noi stiamo parlando di Poesia senza averla ancora definita, che cosa è Poesia?, chi è Poeta?

    Francesco.

    Declino

    16 agosto 2008 at 20:18

  159. We do not prove the existence of the poem.
    It is something seen and known in lesser poems.
    It is the huge, high harmony that sounds
    A little and a little, suddenly,
    By means of a separate sense. It is and it
    Is not and, therefore, is. In the instant of speach,
    The breadth of an accelerando moves,
    Captives the being, widens – and was there.

    Wallace Stevens

    anonimo

    16 agosto 2008 at 23:05

  160. Matteo, se aspettiamo che se ne occupi l’università delle riviste, in modo divulgativo, come servizio a delle utenze, stiamo freschi. Io son dell’idea (ma su questo Molesini docet) che l’orizzontalità delle rete dovrebbe organizzarsi, e ci si può organizzare solo su progetti, il più possibile aperti (che non è facile). Ora, se mi dedico a osservare il rapporto tra immaginario/immaginazione e poesia, è perché mi interessa osservare il pensiero corrente e le possibilità che si aprono a ventaglio; poi mi farò un’idea su questo, in un secondo momento. Molti di noi sono stati inglobati in questi anni in blog collettivi o hanno curato delle pagine; si sono messi al servizio, chi più chi meno, di altre persone secondo le proprie preferenze. Personalmente credo che chi abbia sviluppato conoscenze, debba poi trovare anche il modo di progettare qualcosa di più critico o che sia di utilità alla critica, ma anche alla divulgazione della poesia. Mi domando cosa possano fare i maestri per questo? Niente: i maestri depennati dalla lista della discussione. Al limite qualcuno potrà curare un blog dove inviterà esperti a parlare di chi ritiene maestri, se vede le aureole. Sarà comunque utile.
    Se doevessi partire a progettare qualcosa, mi soffermerei su questi aspetti:
    1. C’è un problema di conoscenza su vari aspetti (riviste, temi etici ed estetici, etc) che bisogna colmare con documenti e discussioni – lo dimostra il trend di questa discussione;

    2. emerge un problema di preferenza, ovvero quali temi particolari indagare, e perché?

    3. Come trasferire la critica che si produce attraverso un progetto particolareggiato, in una attività “live” di livello (riviste, collane, reading, dibattiti, festival), che denoti apertura sociale, divulgativa ed espressiva assieme, ma pure presenti opere ed autori il cui labor interessi (ci vogliono soldi per questo, e connessioni a festival, conoscenze, etc).

    Le attività 1 e 2 possiamo farle su internet, con l’operatività che si mette a disposizione; la 3 bisogna costruirla, piano piano. Però senza le prime due, il cosiddetto carrozzone della poesia rimarrà sempre quello in mano a gruppi più o meno consolidati, amicizie varie, lobby e lobbycine.

    Due anni fa mi sono preso la briga di organizzare un blogmeeting per AbsolutePoetry con Adriano Padua: ho chiesto a diverse persone di rispondere ad un questionario, quindi avevo un budget e ho chiesto secondo le risposte e i contributi emersi, a chi poteva, di partecipare. Matteo te ne ricorderai perché ti esclusi, non piacendomi il tuo intervento. Orgiazzi riepilogò molto bene gli interventi, con qualche mancanza di dettagli (che comunque suscitò polemiche, vedi il tema dell’autorità, che partiva dalle riviste scientifiche, e di cui né Passannanti né Voce capirono un fico secco). Io credo che quell’incontro sia stato utile, anche perché se oggi dovessi costruire qualcosa di simile che vada “live” lo farei nella stessa maniera: mi darei tempo per sondare il terreno, raccoglierei dati, farei incontrare le persone, cercherei un sistema per far accadere la divulgazione, permettendo l’accessibilità alle risorse, ma anche con altri eventi dedicati all’espressività.

    Per fare cosa buona e giusta nei confronti della poesia basta seguire questa griglia, con ovvie correzioni in corsa… Allora chi fa cosa e da cosa parte?

    Christian

    anonimo

    17 agosto 2008 at 01:54

  161. ma guarda christian, secondo me almeno il tentativo (e a breve proverò a farlo) per fare sì che passi anche dall’università questo processo, e anche il lips che almeno per quello che riguarda bologna è di certo ben riuscito, tenterò di farlo.
    è chiaro che rispetto alle nostre forze singole il materiale che ha a disposizione un dipartimento di italianistica è fondamentale. e poi vogliamo proprio che il 100% delle fatiche si deva spendere su montale e sereni o vogliamo che almeno l’1% di quelle forze non vada altrove, non vada all’oggi. consideriamo insisto tutte le problematiche che si ha nell’analizzare la poesia del dopo de angelis. ma già di quegli anni, io non la voglio menare coi poeti del settanta, ma i problemi sono ben prima, da frasca a ceni per dire due metà del cielo e tutte le questioni sul limbo… intere generazioni non analizzate è da considerarsi un disastro, anche per la crescita di chi viene dopo che salta intere generazioni e interi lavori. e allora dobbiamo fare sì che questo gap sia colmato. ognuno coi propri ruoli. questa cosa dell’accessibilità alle riviste del secondo novecento è una cosa che mi è sempre interessata e adesso vedrò se sarà possibile fare qualcosa in tal senso.
    poi l’importante è fare, magari tra persone che fanno non ci sarà allineamento, ma ad un certo punto bisogna darsi una mossa, avere rispetto per il lavoro degli altri, per chi lavora, perchè troppi stanno aspettando che la manna cada dal cielo.

    e intanto ci sono editori discutibili in mezzo ad editori ottimmi… festival e convegni discutibili in mezzo agli ottimi e avanti così. è un processo lento, è vero. ma che va fatto. 10 anni fa lo sappiamo bene anche solo quello che sta accadendo oggi sarebbe stato un sogno. un mero sogno.

    perché il problema francesco, senza scendere nel tuo caso, è sistematico: si potrà essere ermetici per parlare il linguaggio dei prof e parlarne un altro per parlare alla gente ? ma la poesia non dovrebbe parlare a tutti ? e poi a quel punto è meglio tirare fuori il maiale imbizzarrito per avere l’attenzione delle persone, come si diceva parecchi post fa.
    l’unico linguaggio che si deve parlare è quello della poesia, con buona pace dei professori e del pubblico. e buona pace nostra.

    matteofantuzzi

    17 agosto 2008 at 14:38

  162. Si ma la poesia è un calderone molto molto ampio. Torno a ribadire che la strada giusta credo sia quella già tracciata dai contemporanei pur solo a livello formale. Cioè un equilibrio tra la poesia che non deve tradire se stessa e la possibilità di comprensione del pubblico che deve poter possedere, almeno a qualche livello, l’opera per poterla amare. Oppure basta che il lettore/fruitore ne rimanga affascinato, e qui si va sul discorso della performance.

    Però, detta in soldoni, rendiamoci anche conto di una realtà ben precisa. Non siamo americani che fanno folla da stadio per andare a vedere e ascoltare le letture di Dylan Thomas (o almeno andavano).

    Siamo italiani..questo significa che ogni tanto nell’arco del secolo vengono fuori voci altissime, che però non hanno riscontro di pubblico.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    17 agosto 2008 at 15:51

  163. Secondo me c’è un po’ il tarlo del pubblico; basta fare le cose ottimamente, dal punto di vista organizzativo, e il pubblico viene: nel 2000 a Trieste, spendendo un po’ di soldi in manifesti, comunicando bene con la stampa locale, una decina di poeti ventenni riempì un teatro, all’incirca 300 persone, per due giorni con le letture delle proprie poesie – autori che nessuno conosceva. Il pubblico rimase affascinato, schifato? Non è dato sapere. Il pubblico non è un obiettivo. Forse nei grandi festival, bisognerebbe invece osservare le statistiche di affluenza per capire eventuali flessioni, questo sì, anche perché è possibile che dopo qualche anno l’impronta di un direttore artistico non faccia più presa (questo accade in molti festival di vario genere), soprattutto per la mancanza dell’effetto novità. Posso fare l’esempio di Moni Ovadia, che ha lasciato il Mittelfest, in Friuli, dopo che ha incrementato gli spettatori (25.000 per 35 eventi), del 40%. Forse la necessità di chiudere un ciclo, nel suo caso, era più correlata al fatto che un artista ha anche voglia di pensare alle sue opere piuttosto che per anni consecutivi ad una organizzazione, magari ci sono altri motivi – in ogni caso l’anno prossimo non credo ci saranno flessioni, il nuovo direttore artistico lancerà nuove proposte, nuovi modi di vedere l’arte. Ma è chiaro che qui entriamo veramente in un terreno di alta organizzazione, di grande comunicazione culturale. La poesia deve ambire a questo? Deve fare le cose bene, con motivaioni, non cristallizzandosi attorno a posizioni, rimanendo fluida. Il pubblico, IN SENSO STATISTICO, è sempre un “dato” successivo allo svolgimento dell’iniziativa, è difficilmente analizzabile, e non concorrerà al successo dell’iniziativa futura.

    anonimo

    17 agosto 2008 at 18:01

  164. Secondo me invece non è chiara la posizione da prendere:

    se creo, se scrivo, l’unica cosa che deve contare è quello. Scrivere e basta. Il pubblico? Non conta.
    Sono uno che scrive (o che esercita un dato tipo di arte) indi questo basta. Avro’ una scrittura molto amata e libri diffusi oppure mi conosceranno in pochi (o nessuno). Ma conta lo scrivere.
    Poi eventualmente capiterà che io vada dove mi invitano, se mi invitano, e che ci siano 10 o 1200 persone fa lo stesso, anche se certamente è meglio la seconda ipotesi.
    Ne vengono solo 10 ?
    Non sono cazzi miei ma dell’organizzazione.

    Se invece sono organizzatore di eventi, il pubblico conta eccome. Come qualunque prodotto messo in vendita (intendendo per “vendita” una presentazione da autore verso pubblico – e vale per qualunque arte) il pubblico conta, eccome se conta.
    Senza pubblico non è nemmeno concepibile un evento. Prima di tutto perchè decade il concetto di evento pubblico.
    Secondo perchè qualunque organizzazione necessita cash.
    Il cash proviene da: autofinaziamento, sponsor pubblici (regione, comune, enti) oppure sponsor privati (banche, ditte).
    E tutti, in cambio del cash richiedono un ritorno di visibilità, ritorno che è assicurato dall’avere un pubblico.
    Se chi sponsorizza è una banca, ad esempio, oltre alle agevolazioni di legge, guadagna in prestigio (infatti fanno solo cose grosse).
    Il privato cerca invece un ritorno piu concreto, immediato: potenziali futuri clienti (dal pubblico).
    Se lo sponsor è una regione, il comune, cio’ a cui si punta è solo elettorato. Indi piu l’evento ha eco, piu se ne parla, piu mi ci riempio di gloria, piu resto attaccato alla poltrona.
    Il pubblico è assolutamente si, un dato statistico, ma è quello che decreta il successo o meno di una manifestazione, qualunque questa sia.-
    Indi come organizzatore dovro’ sapere dove battere il chiodo, quale culo leccare, dove mungere.
    Do ut des.
    Da organizzatore, creero’ un programma coeso e interessante, invitero’ autori e quando accade la sera, faro’ un passo indietro per vedere come e se tutto funzione.
    L’autore sul palco farà e darà del suo.
    Il pubblico verrà o meno coinvolto.
    Da organizzatore sorvegliero’ che tutto vada liscio e se ci saranno buchi-imperfezioni nel programma, correggero’ la volta dopo.
    Questo è il mestiere dell’organizzatore.

    La sovrapposizione che vedo ̬ che troppi poeti vogliono fare gli organizzatori senza sapere da che parte cominciare, salendo magari anche sul palco in veste di autore perch̩ Рvaca boia Рcon la fatica che mi ̬ costato organizzare, magari una fettina di quel bagno di folla mi spetta, no?

    Ed è questo che manda in vacca il sistema.
    O siamo autori o siamo organizzatori.
    Se si decide di organizzare, allora si deve essere consci che è un mestiere da prendere sul serio per l’evento specifico che ci prefiggiamo. Sapremo dove andare a battere cassa, punteremo in alto, ma in alto di brutto nell’ottenere i fondi necessari, saremo onesti nello stendere un programma, programma che dovrà avere un senso compiuto e non essere una fiera della birra o una sfilata di veline e saremo consci che avendo creato un evento, il pubblico E’ l’obbiettivo.

    Pero’ qui è in atto una sovrapposizione continua: l’autore che pensa come un autore ma ha la presunzione di potere organizzare eventi. A pensare da autore, non si è organizzatori. Si è scellerati.
    Parliamo chiaro: a ognuno il suo mestiere e se si organizza o lo si fa seriamente oppure si lascia stare.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    17 agosto 2008 at 22:38

  165. Fabiano, il ruolo e come esercitarlo è sempre una scelta individuale, mi sembra ovvio. La questione del pubblico ai fini dell’organizzazione di un evento è secondaria, poiché se la comunicazione è fatta ad arte, con un ufficio stampa serio, il pubblico viene. L’evento in sé deve poter coinvolgere il territorio inoltre, e ognuno vedrà di costruire i propri modi promozionali.
    Christian

    anonimo

    17 agosto 2008 at 23:44

  166. ps: non vorrei mi fraintendessi, l’importante è far sì che accada l’incontro tra persone e l’ascolto, se l’obiettivo è far conoscere la poesia; non credo che si possa fare i copyrighter puntando ad un target specifico di pubblico per la poesia, perché è l’aspetto divulgativo a giocare un ruolo predominante, nonché la diversità dei palati!
    Christian

    anonimo

    18 agosto 2008 at 04:53

  167. Riprendo, pur se con il rischio di risultare ormai “out of topic”, uno spunto lanciato da Matteo Fantuzzi in uno dei suoi interventi.

    Siamo proprio sicuri che la poesia di Pascoli sia davvero irrevocabilmente morta? Senza Pascoli – come notava , fra gli altri, Luciano Anceschi – non sarebbe concepibile Montale (“l’allucciolio della Galassia”, le stelle che si specchiano nei botri…), e forse neppure il Pasolini delle “Ceneri di Gramsci”, che proprio da Pascoli (o da un Dante riletto attraverso Pascoli) eredita l’idea e la forma del poemetto lirico-narrativo in terzine.

    Ecco, a me preme proprio la continuita’ di questa tradizione, la morte-vita, la morte-risurrezione perpetue di un dire lontano, immune dall’usura delle strumentalizazioni, dall’ossidazione dell’esteriorita’ e delle mode, dal logorio degli istanti passeggeri – mentre quello dell’esecuzione, dell’evento, della “performance” e’ per eccellenza il momento effimero, transeunte, che nega la storia, la memoria e la tradizione irridendo o azzerando il tempo, offrendosi, anzi imponendosi alla luce, celebrando senza avversari se stesso (mentre la tradizione, nella sua continuita’, nel suo gioco assiduo di avanzamenti e riprese, di dissonanze e di echi, e’ per eccellenza confronto, fosse pure ostile e dialettico, con gli antecedenti).

    Forse bisognerebbe proporre, su queste basi e in quest’ottica, un altro argomento di discussione: che cosa sono, per noi, oggi, nell’era dell’immagine, della pubblicita’, dell’effimero, i classici (antichi, moderni o postmoderni), cos’hanno ancora da dirci (o cosa, al contrario, non possono piu’ dire), che significato ha per noi la loro morte gloriosa od oscura, la loro semenza fertile o dispersa.

    Matteo Veronesi

    anonimo

    18 agosto 2008 at 18:25

  168. Allora Dante per te, Veronesi, è esteriorità, perché oratura? O Jacopo da Lentini, che si faceva accompagnare dalla musica?
    Basta sciacquarsi la bocca con la parola tradizione in un complesso di riferimenti idealisti. Forse nessuno ti ha mai detto che le tue poesie sono di quanto più noioso si possa leggere, e non fai altro che difendere il tuo stile effigiato cielo! E poi cosa negherebbe la storia, la memoria, la tradizione… la performance?

    Christian

    anonimo

    19 agosto 2008 at 03:00

  169. non credo che il 167 per adesso necessiti di una replica, come dice lo stesso matteo, è un altro argomento di discussione

    .tonino

    vaan60

    19 agosto 2008 at 09:52

  170. Caro Matteo, una precisazione riguardo a quanto scritto in precedenza ( mi permetto di essere un po’ schematico e semplificare ): appurato che trovo Nota abbia detto cose sacrosante qualche post sopra, ciò che mi preme chiarire è che non bisogna confondere l’opera, che possiede una verità in sé, con la comunicazione frazionata della stessa che può avvenire ad un reading, concetti ben differenti, e di questo e soltanto questo io parlavo. Visto che il pubblico della poesia mi risulta composto di uomini e donne del 2008 e non di extraterrestri o variaghi e bizantini, una piccola divagazione extraletteraria, qualche nota di moderna psicologia, credo sia opportuna: comunicazione e ricezione avvengono secondo le modalità usuali della comunicazione interumana e noi tutti interpretiamo e diamo un senso alle nostre esperienze, ed a ciò che leggiamo e ascoltiamo, attraverso i nostri schemi cognitivi, i quali risentono della genetica e soprattutto delle nostre esperienze di apprendimento durante l’infanzia e l’adolescenza. Perciò una persona qualsiasi di un ipotetico pubblico, che abbia assorbito la poesia del novecento sino ad Ungaretti e Saba, sentendo per la prima volta ad un reading, poniamo, qualche poesia del “ galateo in bosco “ di Zanzotto o Camillo Pennati, difficilmente troverà gradevoli le loro composizioni, difficilmente “ si emozionerà “, o per lo meno le troverà meno interessanti di qualsiasi composizione che riprendesse stilemi e tematiche di Saba o di Gozzano. Se non si parte da questa banalissima constatazione non si può comprendere come un pubblico qualsiasi possa spesso preferire certa pseudopoesia alla poesia,ed è questo il punto focale. Ma tutto ciò cos’ha a che fare con la bontà o meno dell’opera proposta ? Poco o nulla, mi sembra. Il caso Van Gogh, tanto per fare un esempio nella pittura arcinoto a tutti, si spiega così e non certo supponendo che tutti i suoi contemporanei fossero ignoranti e cattivi e sempre così si spiega perché voci grandissime possano uscire in un secolo ed aver poco ( o nullo) riscontro di pubblico. Diversa questione ancora è la cosiddetta “ logica dell’evento “, caratteristica dei nostri giorni, che ha le sue leggi e che chiunque si occupi in qualche misura di comunicazione ben conosce ( qualche settimana fa ne parlava approfonditamente ad un programma televisivo persino un famoso deejay di MTV ). Per capirle, insieme ad altri concetti di base sulle vie che può prendere la comunicazione oggigiorno, consiglio agli interessati un bel saggio del Mulino: L’età della propaganda, di Pratkanis e Aronson. Ciò detto, come te ho sempre creduto che la poesia debba arrivare a chi desidera ascoltarla, credo nella validità dei nuovi media a questo fine ( non per nulla, in passato, ho contribuito a creare l’ulisse e tuttora, tempo permettendo, collaboro con dissidenze ) e concordo con Canzian per l’atteggiamento da seguire: bisogna essere umili ed in una situazione fluida, in fieri, difficilmente definibile come quella attuale, cercare di seguire la traccia dei contemporanei alla ricerca di quel delicato equilibrio ( il nostro Graal ) e costruire quelle interazioni di cui parlava la Molesini. Mi permetto di concludere questo lungo intervento ricordando i versi di un grandissimo poeta, John Keats, il quale ebbe in vita poco riscontro di pubblico, che si chiedeva in questi versi qualcosa di simile a ciò che ci chiediamo in questa sede e riesce a dare le migliori risposte:

    Where’s the Poet ? Show him! Show him,
    Muses nine, that I may Know him!
    ‘Tis the man who with a man
    Is an equal, be he king,
    Or poorest of the beggar- clan,
    Or any other wondrous thing
    A man may be ‘twixt ape and Plato.
    ‘Tis the man who with a bird,
    Wren or eagle, find his way to
    All its instincts. He hath heard
    The lion’s roaring, and can tell
    What his horny throat expresseth,
    And to him the tiger’s yell
    Comes articulate and presseth
    On his ear like mother-toungue.

    Un saluto.
    Carlo Dentali

    anonimo

    19 agosto 2008 at 13:53

  171. mi confermate che il commento #163 è di canzian ? (e firmatevi mi raccomando, anche perchè siete tutti molto equilibrati e la cosa è importante e degna di nota) in effetti il commento #167 è fuori dalla discussione, che non significa non sia interessante e non possa poi in altro tempo/luogo essere analizzato, ma lateralmente ne stanno uscendo molti. l’unico dubbio carlo che ho è che alla fine possa risultare che qualcuno consideri ancora l’ermetismo come non plus ultra (mi riferisco all’esasperazione del commento sulla doppia stesura poetica a seconda del fruitore, che considero comunque esemplificativa) mentre è chiaro che dobbiamo tendere a un equilibrio così come equilibrati dovremmo essere nella proposta di noi stessi nei reading, perché anche quello è un punto fondamentale, evitare insomma di chiamare gente per “giustificare” la nostra poesia. ma queste condizioni di equilibrio, queste condizioni di territorialità e di ricerca che stanno fortemente emergendo credo siano la base da cui tutti si possa partire. e poi c’è la questione delle fonti, problema laterale ma non così tanto, per i tanti “pezzi” che perdiamo per strada, e a volte in maniera davvero sfortunata per noi stessi e per la fruizione della poesia.

    matteofantuzzi

    19 agosto 2008 at 19:26

  172. No Matteo, il 163 non è mio. Non mi pare d’aver mai dimenticato di firmarmi.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    19 agosto 2008 at 22:09

  173. eppure ti assicuro che l’url che mi viene dato nella gestione del blog corrisponde a precedenti a tua firma come il #137 o il #138… avrà fatto casino splinder. “a senso” dovrebbe essere di christian sinicco dato che parla di cose triestine, o di qualche altro del gruppo friuli venezia giulia. se potete risolvere l’arcano vi ringrazio, fermo restando che la discussione è di certo cosa più importante.

    matteofantuzzi

    20 agosto 2008 at 08:32

  174. Credo che Dentali stia fornendo un alibi ai contemporanei: la serie “Perciò una persona qualsiasi di un ipotetico pubblico, che abbia assorbito la poesia del novecento sino ad Ungaretti e Saba, sentendo per la prima volta ad un reading, poniamo, qualche poesia del “ galateo in bosco “ di Zanzotto o Camillo Pennati, difficilmente troverà gradevoli le loro composizioni, difficilmente “ si emozionerà “, o per lo meno le troverà meno interessanti di qualsiasi composizione che riprendesse stilemi e tematiche di Saba o di Gozzano. Se non si parte da questa banalissima constatazione non si può comprendere come un pubblico qualsiasi possa spesso preferire certa pseudopoesia alla poesia,ed è questo il punto focale” non è del tutto vera come non è del tutto falsa – è vera per alcuni soggetti, che si fissano su un certo stile, ma in assenza di una statistica su questo aspetto della ricezione del “pubblico”, mi pare assurdo fondare una strategia comunicativa. Il 163 era mio, che sicuramente è ai margini della discussione, se si continua a millantare di poter conoscere in anticipo le reazioni di letteori, ascoltatori, fruitori di vario genere della poesia, cercando di difendere così il proprio orticello.

    Christian

    anonimo

    20 agosto 2008 at 09:50

  175. Mancavo da troppo tempo, ho passato l’ultima ora a godermi questa interessantissima discussione, alla quale peraltro non ho argomenti “alti” da apportare.
    Personalmente andrò nei prossimi giorni a fare un pellegrinaggio alla casa di Marino Moretti a Cesenatico, e nella piccola valigia porterò con me tre libri: l’ultimo di Lorenzo Carlucci (Grazie, Lorenzo, per lo splendido lavoro sulla figura di Giuda), un testo non recente di Maria Pia Quintavalla letto a suo tempo con troppa superficialità (Estanea canzone, grazie Maria Pia per le emozioni che trasmetti) e un’antologica di Ho Kun (purtroppo non capisco il coreano, ma grazie a Ho per avermi saputo emozionare mentre leggeva le sue poesie in lingua originale).
    Auguro a tutti di fare cose analoghe. Un abbraccio a tutti, la poesia è viva, malgrado i reiterati tentativi di pulizia etnica i suioi danni.

    bertop

    20 agosto 2008 at 10:24

  176. Per quanto riguarda il 163 mi apre ci siamo chiariti. Comunque Matteo avevo avuto problemi con l’inserimento. L’ho dovuto fare due volte. Non so. Altra cosa è che sono anche io friulano, di Pordenone. Infatti Christian l’anno scorso ti ho sentito leggere qui a una manifestazione del Villalta. Tra l’altro con certo piacere. Va beh.

    A prescindere da questo pongo, o mi pongo, una domanda: ma stiamo parlando ormai solamente dei reading o della poesia e della sua divulgazione?

    Perchè a parte il discorso su maestri stroncature o quant’altro, sta venendo fuori che lo strumento espressivo della poesia è la sua performance pubblica. Certo questo è molto attuale, ma non stiamo dimenticando il libro stampato? Cioè, come divulgare il libro stampato qualora si tratti di un vero libro di poesia?

    Alessandro Canzian

    anonimo

    20 agosto 2008 at 10:25

  177. Alessandro, ti ringrazio del complimento. Io comunque le cose che penso, non faccio fatica a dirle, anche se possono risultare troppo dirette, e molte volte spiacevoli, ma almeno mi sento sincero, e spero tu possa capire.

    Siccome non siamo nell’800, dove il sistema artistico era ancora più elitario, sia nelle sue esclusioni che promozioni, è giusto osservare i problemi correlati a tutte le “attività” concernenti la poesia, oggi. La questione dell’editoria non è marginale, come l’aspetto libro.
    C’è, però, qualche problemino critico da risolvere, vedo… e finché non si lavora sul versante progettuale (come esplicitato dai miei rilievi), penso non si possa risolvere nulla. La domanda “Allora chi fa cosa e da cosa parte?” è ancora valida.
    Buone vacanze a te, e a tutti i dialoganti,
    Christian

    anonimo

    20 agosto 2008 at 11:00

  178. Mi sono accorto di un orribile refuso: il poeta coreano è, ovviamente, Ko Un (per cui: grazie Ko…).
    Ci sono altri errori di stampa, ma si capisce lo stesso.

    bertop

    20 agosto 2008 at 11:19

  179. Puo’ darsi che le mie poesie paiano a qualcuno “noiose”. Questione di gusti.

    D’altro canto, la poesia non deve essere di necessita’ divertente, non essendo un film di Vanzina (che non a caso, non avendo preoccupazioni estetiche o culturali, raggiunge facilmente un pubblico vastissimo).

    Ad ogni modo, non credo che un’atroce sofferenza umana, interiore, esistenziale, come quella che ha animato il mio canto, possa riuscire “noiosa” (indipendentemente dalla forma in cui e’ espressa), se non, per l’appunto, agli occhi allucinati o svagati del pubblico insensibile, distratto e cinico che la realta’ mediatica richiama, e contribuisce a plasmare. Il che conferma, indirettamente, le mie convinzioni.

    Ma, parlando di cose serie (anche se sembrano noiose: ma “res severa verum gaudium”), e’ ora di smetterla con il persistente mito romantico della “popolarita’” e dell'”oralita’” della poesia delle origini.

    Dante non puo’ essere considerato un esempio di «oralità» – o, almeno, di oralità primaria e genuina.

    Lo stesso poeta, nell’incipit del secondo canto del Paradiso, mostra di avere precisa consapevolezza della concorrenza, e insieme della distinzione, fra oralità e scrittura, struttura superficiale e struttura profonda, filo esteriore del racconto in versi e profonda significazione morale e teologica annidata «sotto il velame»: coloro che, «in piccioletta barca», hanno seguito, spinti dal «desiderio d’ascoltare», il vascello del poeta, dovranno cedere il posto a quei pochi che si sono per tempo cibati del «pan de li angeli» (metafora del sapere già familiare al lettore del “Convivio”), e che sapranno cogliere l’autentico valore di un arduo epos filosofico.

    «In ciascuna scienza la scrittura è stella piena di luce, la quale quella scienza dimostra», si legge nel Convivio. La «donna gentile» è, più che la filosofia, la scrittura filosofica. Il poeta è, testualmente, uno scriba Dei che il «lettore», curvo «sovra ‘l suo banco» (Par., X, 22), deve pazientemente ed assiduamente seguire.

    Interessante il richiamo a Jacopo da Lentini (poeta, peraltro, il cui “trobar clus” e’, almeno nei sonetti, quanto di piu’ ostico, chiuso, arduo, “noioso” si possa immaginare).

    Proprio nell’era in cui la lirica volgare si avviava, in Italia, ad assurgere a poesia d’arte, egli sembra avvertire il rischio di volatilita’, irrevocabilita’, dispersione che l’oralita’ pura comporta, e affidarsi alla sacralita’, protesa verso il futuro, della parola scritta.

    E non de’ dire ciò ch’egli ave in core
    che la parola non pò ritornare:
    da tutta gente tenut’è migliore
    chi à misura ne lo so parlare.

    Questa e’, appunto, la misura, il “fren de l’arte”, il limite, il “kriterion”, che l’indiscriminata e contaminata oralita’ di ritorno rischia di compromettere.

    Matteo Veronesi

    anonimo

    21 agosto 2008 at 18:10

  180. Ancora sul problema della “tradizione” e dei “classici”.

    (…)

    spazi d’infinito
    erodere i motori come vento
    del deserto tra rovine di civiltà
    già al collasso e vapori mortali
    salire il tempio della dea
    per ricadere come pioggia d’atomi

    (…)

    Questo, caro Christian, noioso o meno, mi sembra Marinetti allo stato puro, addirittura il Marinetti pre-futurista, baudelairiano, della “Conquete des etoiles”. Il fascino innegabilwe di q

    anonimo

    21 agosto 2008 at 18:30

  181. Proprio mentre citavo Marinetti, la tecnologia e’ stata piu’ rapida del pensiero……

    (…)

    spazi d’infinito
    erodere i motori come vento
    del deserto tra rovine di civiltà
    già al collasso e vapori mortali
    salire il tempio della dea
    per ricadere come pioggia d’atomi

    (…)

    Questo, caro Christian, mi sembra Marinetti allo stato puro, addirittura quello baudelairiano, pre-futurista, della “Conquete des etoiles”.

    Da cio’ il fascino innegabile di questi versi (che beninteso, devo ammetterlo, mi piacciono).

    Questo per dire che nemmeno la sperimentazione, nemmeno l’azzardo e l’avventura possono fare a meno della tradizione, delle radici, degli antecedenti, del sostrato.

    Se non e’ il poeta che cerca la tradizione, e’ lei che lo insegue, lo trova, lo fagocita. Bisogna solo esserne consapevoli.

    Matteo Veronesi

    anonimo

    21 agosto 2008 at 18:35

  182. Matteo, ognuno vive stati di sofferenza. Non mi sembra corretto porre questo come bontà della poesia o meno, che sia tua, mia, etc. I tuo versi, se vuoi chiamare in causa Baudelaire, non sono “natura dove viventi pilastri a volte parole confuse mandano fuori” e il motivo è strettamente legato alla ricezione. La parola manca di spazio, non lo crea, non lo esplode, non lo divarica, “effigiato” rimane lì, si pone, è in posizione, ma non scatta, non è furibondo, non percorre l’opera, non crea una tensione, non effonde la melodia… Baudelaire, parlando di Delaicroix, afferma che per accertarsi se un quadro sia melodioso o no bisognerebbe guardarlo da molto lontano, da non riconoscere soggetto e linee. L’atto stesso del guardare è esecuzione dell’opera; ciò accade anche nei reading, dove semplicemente l’ascolto si sostuisce alla vista, dove non si coglierà tutto del testo, ma se la poesia c’è quella si coglie, il suo significato rimarrà già nei ricordi, reinterpretando Baudelaire.

    Oltre i parallellismi, un modo di fare categorico, idealista, che parla di tradizione, invocando modelli (?) cui la poesia italiana dovrebbe rispondere, sia un fatto di credenza. Tu puoi crederci, io sono libero di non farlo; non per questo penso che una cosa vada a negare altro, o creo antinomie campate in aria tra tradizione e performance. Che senso ha? Guarda in giro: c’è uno sviluppo di credenze su quello che debba essere l’arte, ne sei tu pure l’attore, o Dentali sulle sipatie del pubblico. Qualche volta, se vi sentite critici, vi domanderete se ciò che scrivete a qualche relazione con dei fatti accertabili? Anche perché la critica è un mondo dove si può dire di tutto e di più, oggi più che mai facendo i citazionisti, addirittura dicendo che opere mediocri siano i fatti dell’anno.

    Sono d’accordo che la poesia degli autori precedenti sia d’influenza, e influenzare non significa determinare, altrimenti non avrebbe senso la formazione di un’opera, se le sue caratteristiche fossero già.

    In assenza dell’elaborazione di una teoria tua, che non sia citazionista, poiché è facile piegare le citazioni ai propri schemi – come vedi ti ho fornito un’altra visione dell’estetica di Baudelaire, l’ho interpretata a mio modo, e quale sarà ora la verità del pensiero di quel poeta, o la tradizione che ne esce?

    Ribadisco e rimarco, in assenza di una critica che minimamente, per le sue possibilità, estragga dalla contemporanea vitalità, ovvero anche osservandosi nella fruizione (che sia ascolto, lettura o visione; a prop., lo anticipa Baudelaire?) della poesia, dell’arte, attraverso (e attraversando) i modelli vari, le esperienze diverse, non si va da nessuna parte, soprattutto non si fa critica, ma si fa il compitino.

    Christian

    anonimo

    22 agosto 2008 at 10:40

  183. Sono una lettrice di poesia. Sono, per così dire, la casalinga di Voghera e innanzitutto saluto tutti gli autori qui convenuti. Concordo pienamente con molti degli interventi qui esposti, particolarmente su quegli elementi da ritenersi fondamentali, che riguardano la qualità della scrittura e la sponsorizzazione dell’evento poetico. Inoltre mi associo a chi denuncia l’assenza di una critica militante, salvo alcuni nomi, come ad esempio quello di Giorgio Linguaglossa. Gli altri, unti dal sacro fuoco della critica della poesia, sostenuta dai Mondadori, compilano invece annuari, decidendo se Tal dei Tali è poeta oppure no…? Ma come ben sapete, è storia vecchia!? L’universo della poesia in Italia è preda dei servi e dei ruffiani, di chi fa il verso al potentato di turno. Niente di nuovo sotto il sole!!! (Mi hanno riferito invece che in altri paesi europei hanno il giusto rispetto per gli artisti… sarà forse anche questa una questione italiana…? Farà parte probabilmente del colore locale…!? Non saprei. Ma, cercherò allora di sintetizzare al meglio il mio pensiero di lettrice. A mio modesto parere, tutte le varie difficoltà già ampiamente esposte, permangono ed aderiscono (purtroppo) perfettamente a quella che è la tendenza, l’andamento, il target sociale e culturale. Al di fuori di quei 2999 aficionados, che hanno avuto un’educazione scolastica che ha saputo loro infondere passione per la poesia e di altri ancora che vi ci sono avvicinati per inclinazione, il resto è barbarie ed ignoranza: la poesia è presa per i fondelli e il poeta è spesso considerato come uno zimbello. Viene rappresentato sempre, come un elemento esterno alla realtà e perciò che viene spesso stereotipato, per poterlo individuare, colpire ed annientare al momento convenuto. Il poeta e la poesia sono scomodi, quindi cari amici cospiratori, occorre che facciate più baccano. E fare, dire, scrivere cose-poesie meravigliose e sorprendenti. Una volta la forza del popolo appoggiò seppur discontinuamente, i movimenti artistici del ‘900! Omero era venerato come un dio! Potrete recarvi ad assistere all’ennesima, barbosa riunione consiliare dei Sapienti o scendere per la strada per gridare a voce alta di poesia.

    Emergenza-Federcasalinghe (Voghera)

    anonimo

    22 agosto 2008 at 15:37

  184. carissimi,
    ho letto con interesse la vostra discussione. purtroppo l’ho fatto tutto d’un fiato, quindi potrebbe essermi sfuggito qualche passaggio.
    concordo con matteo sul fatto che gli editori dovrebbero pubblicare meno e più di qualià, peraltro conterrebbero anche i costi fissi. ovviamente il discorso economico non regge qualora ci si ritrovi con i soliti editori che chiedono una compartecipazione alle spese, fatto che promuove la mini pubblicazione di tanti libri diversi, piuttosto che di pochi titoli.
    concordo anche con christian sulla necessità che vi siano dei lettori ‘opinion leader’, che segnalino, ovviamente contando sulla loro buona fede, le opere meritevoli di essere lette.
    non nutro moltissima fiducia nelle nuove tecnologie come potenziali divulgatrici della cultura. internet è troppo democratico e non è pensabile poter leggere tutto quello che contiene, per poi soffermarsi su quello che merita. ci vorrebbero giornate di 48 ore interamente dedicate a questo: l’eccesso d’informazione porta ad una dispersione dell’informazione.
    credo che il nodo fondamentale, giustamente sollevato da qualcuno, sia quello di porsi degli obiettivi, di lavorare, magari in gruppi artistici o in correnti poetiche, con obiettivi programmatici precisi. vedo troppe volte singoli poeti che lavorano per sè, gelosi di qualunque loro prodotto.
    mi chiedo: perchè nell’arte pittorica questo non accade? perchè c’è sempre mercato in quel settore? non che m’illudo che i pittori navighino nell’oro, ma la buona arte viene riconosciuta quasi sempre. e pagata anche.
    i pittori, o perlomeno coloro che vogliono crescere, hanno una buona abitudine: sono anche dei grandi collezionisti. noi no. io compro la leardini e comprerò fantuzzi, poi andrò alla ricerca di quello che c’è d’interessante in giro (mi perdonino gli altri, ma ci vuole un po’ di tempo per vedere in giro, soprattutto negli scarni scaffali di poesia che propongono sempre lo stesso). leggo e compro e poi rileggo. e possiedo il libro, che è l’atto più piacevole che ci sia.
    questa bella abitudine dei pittori fa sì che ci sia anche uno scambio continuo di esperienze tra i vari artisti. magari poi si organizzano mostra collettive o cose del genere o si ritrovano tra loro.
    e noi? forse stiamo un po’ troppo ognuno nel suo angolino a scrivere e poi aspettare. e così nessuno cresce, o perlomeno cresciamo solo nel limite della nostra prospettiva.
    sarebbe opportuno coordinare le diverse iniziative, far dialogare i festival e i reading con dei progetti comuni di qualità.
    ecco, quello che ha fato matteo con questo blog è nella direzione giusta: parliamoci.
    50 anni fa circa un gruppo di pittori si è riunito nel gruppo forma1. oggi sono ancora i punti di riferimento della pittura contemporanea italiana. perchè? perchè il loro orizzonte programmatico andava oltre il territorio di ognuno, c’era un progetto comune, una linea di pensiero, dove poi ognuno ha sviluppato la propria interpretazione, a volte anche in maniera molto diversa, ma con una visione comune. in poesia cosa c’è? piccoli circoli chiusi che si autoincensano, magari sorti sul carisma del leader. e non basta internet per questo, come diceva qualcuno ci vuole un incontro vero, anche solo 1 volta all’anno. parliamoci, poi le correnti, i potenziali gruppi, i sodalizi verranno fuori spontanei.
    da lì partiamo per dare organicità e programmi al movimento poetico.
    non credo che questo basti, ma credo che possa essere un buon punto di partenza.
    e poi guardiamo gli artisti di altre discipline e vediamo se c’è qualcosa di buono che si può fare sia con loro, sia prendendo spunto da loro.
    simone zanin

    anonimo

    23 agosto 2008 at 13:20

  185. “50 anni fa circa un gruppo di pittori si è riunito nel gruppo forma1. oggi sono ancora i punti di riferimento della pittura contemporanea italiana. perchè? perchè il loro orizzonte programmatico andava oltre il territorio di ognuno, c’era un progetto comune, una linea di pensiero, dove poi ognuno ha sviluppato la propria interpretazione, a volte anche in maniera molto diversa, ma con una visione comune. in poesia cosa c’è? piccoli circoli chiusi che si autoincensano, magari sorti sul carisma del leader. e non basta internet per questo, come diceva qualcuno ci vuole un incontro vero, anche solo 1 volta all’anno. parliamoci, poi le correnti, i potenziali gruppi, i sodalizi verranno fuori spontanei. ”

    Ciao Simone, felici di trovarti qui. Ho copiaincollato quello stralcio dal tuo commento perché mi pare fondamentale nella discussione.

    In effetti oggi soffriamo una pluralità frammentata che in qualche modo giustifica tutto. Manca la linea programmatica, l’idea comune. Sia essa il grande autore o la grande idea.

    Ma la domanda che qui mi viene da porre è la seguente: è ancora possibile questa linea programmatica comune?

    anonimo

    23 agosto 2008 at 13:34

  186. Scusate, il 185 è mio

    Alessandro Canzian

    anonimo

    23 agosto 2008 at 15:23

  187. ciao alessandro,
    il piacere di ritrovarti è anche mio.
    Per la tua domanda:
    mi sembra che oggi nessuno stia realmente sperimentando. a dire mi sembra che i tentativi siano alla fine “annaspamenti” casuali.
    prendiamo lo slam: deve maturare, credo, deve trovare l’equilibrio tra performance e qualità del testo. spesso si privilegia la prima, oppure si scade nel cabaret, o nella recitazione pura. lì si può lavorare molto. così come nella poesia-oggetto. forse non come qualcuno l’ha intesa nei precedenti post, ma penso ai libri d’artista, alle poesie da esporre, alle installazioni… lì c’è molto da fare. lì si possono trovare obiettivi.
    oggi è difficile in qualunque campo l’arte, perchè abbiamo eredità e storia enormi alle spalle, fatto che fa sempre pensare “e adesso? cosa altro si può fare? cosa c’è di nuovo da dire?”.
    continuando il parallelo con la pittura, dopo l’invenzione della fotografia i pittori si sono chiesti “e adesso?”… e sono nati gli impressionisti. e dopo, tutta l’arte contemporanea.
    noi dovremmo chiederci la stessa cosa “e adesso?”. io credo che ci sia molto da fare ancora, compreso guardare anche all’estero, ogni tanto…
    credo che ci siano strutture strofiche, linguaggi e combinazioni (perchè non è mica obbligatorio tenere lo stesso registro sempre) ancora inesplorate nelle loro potenzialità. ma dobbiamo mettere insieme le idee e trovare gli obiettivi. credo che ci sia da fare un lavoro troppo grande per poterlo affrontare da soli.
    simone zanin

    lb1977

    23 agosto 2008 at 17:46

  188. E se “far conoscere la buona Poesia?” fosse inutile o, quantomeno, non necessario? Con questa affermazione non voglio essere fraintesa: ciò che voglio non è sminuire la poesia o la sua importanza, anzi. Forse non ho abbastanza esperienza in questo campo, o più generalmente della vita, ma la poesia è a mio parere una delle arti che si conformano di più alla struttura delle anime, a prescindere dalla sua difficoltà di comprensione. Ma credo anche che non serva diffonderla in innumerevoli maniere diverse con la speranza che qualcuno la afferri, o che lei stessa catturi qualcuno. La poesia è un’arte, ma è anche parte di noi, e ce la portiamo dentro dalla nascita: è inevitabile che prima o poi ci chiami a sè. Commercializzarla è solo un modo per volgarizzarla, e i numeri non ci servono a farla apparire più prestigiosa. Basta ascoltare, e la sua magia si presenterà con insistenza, fino a diventare indispensabile.

    pollyem

    23 agosto 2008 at 19:04

  189. e la fatina e le casette di marzapane dove sono?
    sz

    lb1977

    23 agosto 2008 at 19:50

  190. firmatevi !!! (nome e cognome)
    partiamo dalla fine: la teoria è giusta, purtroppo negli ultimi 20/30 anni la pratica s’è rivelata fallimentare, ma vale anche per i poeti stessi come diceva zanin. anche i buoni poeti sono vittime dell’incapacità dell’attuale sistema di farsi conoscere. ma non parlo dei 20/30enni parlo dei mostri sacri della nostra poesia. qua bene o male tutti si ha stima di pagliarani, quanto pagliarani è “girato” tra la gente. direi poco o nulla. ma questo alla fine vale anche per milo de angelis che ha una stima anche fuori dai soliti circuiti sicuramente eccezionale. il problema non sono le “vendite” ma la conoscenza. fare conoscere la buona poesia. il resto è accessorio, almeno per me. poi sappiamo che l’editoria è anche stampatori disgraziati a pagamento, mercimoni vari e via discorrendo. ma questi sono particolari: rimaniamo sulla diffusione della poesia. simone, anche tra i giovani i gruppi ci sono, senza andare tanto in là c’è christian sinicco con il gruppo degli ammutinati a trieste, c’è davide nota con la gru ad ascoli, c’è tiziano fratus con torinopoesia, c’è il gruppo di bulfaro che produce il festival di monza e brianza. ci sono teorie che oggi spesso vengono veicolate proprio attraverso il festival, ognuno porta le proprie esperienze e sicuramente si inizia a cercare il dialogo ma… ce ne vuole senz’altro di più, ad esempio se guardo il commento della casalinga (sicura di fare la casalinga ?) di voghera. i “mondadori” sono una problematica malposta. non si può continuare ad aspettare che cada dal cielo qualche cosa che agli atti non ha “necessità“. ognuno, da mondadori al citato linguaglossa all’ultimo degli sfigati che scrive in un blog propone qualcosa, se la proposta è valida democraticamente questa va avanti, se no chiunque si becca pernacchie. alla fine è il testo a sancire la validità di una proposta. certo dalle grandi case editrici e dalle grandi riviste ci si aspettano sempre grandi proposte. ma l’importante è vigilare perchè questo accada: il dialogo auspicato cara casalinga (firmati, nome e cognome) lo si fa sotto casa di ognuno di noi, chiama i poeti a voghera, offri loro un piatto caldo e crea il dialogo, non si può costantemente restare in silenzio e aspettare che l’omertà ripaghi la propria fedeltà, non si può gettare il sasso del malcostume poetico e ritirare la mano mandando avanti gli altri. l’Italia è questa, in poesia e non. e bisogna modificarne la rotta.

    matteofantuzzi

    24 agosto 2008 at 07:23

  191. perfettamente d’accordo, caro matteo, nella tua ultima osservazione: non dobbiamo aspettare che siano gli altri a fare. sicuramente le case editrici e gli enti hanno un potere finanziario e comunicativo maggiore della maggior parte dei gruppi poetici. ma non può essere un alibi.
    siamo noi in prima linea, noi che abbiamo (e che dobbiamo avere) obiettivi diversi da quelli meramente economici di certi editori.
    cogli bene nel segno puntualizzando la differenza concettuale tra far conoscere la poesia e vendere poesia: il primo è un obiettivo strategico, il secondo un obiettivo collaterale e una conseguenza.
    e non parlo al di fuori della realtà: a tutti fa piacere vendere e magari arriva qualche n-euro, ma è proprio una questione di marketing a più lungo termine. se vendo 500 copie senza essermi fatto conoscere da più che quelle 500 persone, potrò contare solo sulla potenzialità di 500/1000 persone. se mi faccio conoscere, magari vendo 50 copie, ma posso contare su una potenzialità molto maggiore. soprattutto se è il movimento poetico che si è fatto conoscere. è un lavoro in prospettiva. con gli anni e la costanza si affermerà l’idea che quel gruppo ha prodotto opere di livello, oppure che quel festival presenta autori degni di nota, e pian piano i nomi girano. il discorso torna sempre sulla qualità.
    credo che il pubblico non si sia allontanato dalla poesia per l’incomprensibilità delle avanguardie. in musica c’è tanta gente che ascolta allevi o anzovino (che sicuramente hanno una raffinatezza tecnica e artistica maggiore di dj francesco) o in pittura molti apprezzano l’arte contemporanea, anche se ai più incomprensibile. il discorso è forse che la sperimentazione fine a sè stessa fa perdere l’appeal alla poesia, che deve rimanere, come tutti gli ‘oggetti’ d’arte, prima di tutto una cosa bella (con tutti i possibili significati attribuibili a ‘bello’).
    se è brutta bisogna avere il coraggio di dirlo. con tutto il rispetto sia per il lavoro che per i sentimenti dell’autore, non è un giudizio su di lui, ma sulla sua poesia.
    simone zanin

    anonimo

    24 agosto 2008 at 09:03

  192. La nota sul “bello” credo dovrebbe essere approfondita un poco.

    Più che una mancanza di bellezza oserei indicare la mancanza di senso nelle opere. Di senso vero e duraturo. Gli sperimentalismi sostanzialmente sono vestiti che si provano su una donna (il testo) insignificante. Con questo non voglio dire che potremmo prendere la donna anche nuda (senza una forma adeguata). Dico soltanto che se la donna sotto il vestito ha un suo significato, una sua pregnanza, un suo insegnamento, arriverei a dire una sua verità, allora la donna (il testo) ha già una bellezza intrinseca anche quando è nuda (priva di una forma particolare). E il vestito che andiamo a metterci sopra non fa che aggiungere ulteriormente alla donna (al testo).

    Oggi invece finalizziamo il testo, la poesia, alla forma, dimenticando il suo significato ultimo. Una poesia diventa cioè degna di attenzione nel momento in cui propone una forma differente, più sperimentale ancora sia essa nella direzione di una rottura sia essa nella direzione della tradizione.

    E’ come il sesso senza l’amore. Non ha significato. Il sesso è lo strumento dell’amore. Così come la forma è lo strumento del significato. Bisogna prima costruire l’amore e poi il sesso. Così come bisogna costruire prima un significato e poi la forma.

    E su questo credo, a differenza di altri, che la rete sia uno strumento ormai indispensabile. Perché dà modo di creare veri e propri laboratori di idee pur dispersi in un mare di dilettantismi. Perché dà modo di costruire idee nonostante il vittimismo della critica. E dalle idee verrà la forma e allora potremo parlare di bello o non bello.

    Quindi, e qua temo che mi sto ripetendo ormai all’infinito, ribadisco che ci vuole il confronto privo di autocelebrazionismi a livello di significati. Fosse anche il solo discutere su cos’è la poesia contemporanea e quali indirizzi futuribili ha.

    Da qui il resto.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    24 agosto 2008 at 18:41

  193. Matteo, scrivo solo per una precisazione. Gli Ammutinati non sono un gruppo, credo non lo siamo mai stati, e questo ci ha permesso pure di non sciogliere mai il sodalizio. Nella pratica operativa, cioè nell’associazione e nella sua attività, digeriamo (o almeno tentiamo di farlo) le nostre differenze – ovvero io non credo di essere mai stato all’inizio d’accordo su una posizione estetica con i miei coetanei, parlo di Nacci, Danieli, Palme, Zorat, Afri, Pillan, Spessot, Claut… Nel tempo, quasi dieci anni di attività a Trieste, forse prevale il senso della conoscenza profonda del lavoro di ognuno (ovvero del come essi formano), e le differenze e le battaglie intra nos (pare assurdo percepirci come un gruppo coeso dal punto di vista estetico) hanno aperto il mio sguardo su quelle che sono le posizioni degli altri, quelle ben motivate, anche perché bisogna saper sostenere la propria “poetica”. Nonostante corrano distanze abissali d’approccio, credo che l’esperienza di gruppo come l’abbiamo vissuta noi, cercando di fare sempre meglio dell’altro, in una competizione stimolante, ma anche cercando di aiutarci, nonché organizzando delle cose che potessero essere davvero condivise, questo ci ha unito come amici piuttosto che come poeti, anche se ci ha permesso di elaborare una quantità maggiore di informazioni… Se ci vedi, uno di fronte all’altro, ad un tavolo, discutere di poesia, beh, osservi in pratica una rissa. Mi faceva notare però Anna Castellari di Caffè Babel, che in poesia non ha visto un ambiente così vivace e che non ci sono gruppi simili ( auspico, che nascano, se proprio non ci sono ) in altre parti d’Italia. Forse la nostra forza è stata proprio quella di non considerarci un gruppo, aspetto che ci permette di essere più liberi, non programmatici, ma progettuali, e credo che sia una differenza che ho ben espresso qui http://lellovoce.altervista.org/article.php3?id_article=36

    Ciao Christian

    anonimo

    24 agosto 2008 at 18:43

  194. A me non dispiacciono gli interventi delle fatine o chi per loro. Una cosa che emerge per bene dalla discussione è la volontà di realizzazione, l’entrata nel “bel” mondo, una sorta di volontà di potenza e riuscita che mandi il poeta (e quindi parebbe la poesia) nel girone delle cose che si affermano.

    Ma la riuscita vera non ha mai i parametri del mondo visto da fuori. E’ costruzione interna, innanzitutto, e capacità di crescita. Sentire che c’è qualcosa di solido in quello che si fa. Allora, scrivere. Sto leggendo Stendhal ed è una pacchia. Mi fa andare dove vuole. Entro, esco, fluttuo e mi rapprendo, guidata da una grande raffigurazione.

    Non è più possibile scrivere così, certo. Le avanguardie recepite HANNO senso, spostano il mondo e le cose. Ma la necessità di una raffigurazione di questi è sempre presente, guida Fontana che fa il buco sulla tela e guida Pound che dice poesia come “linguaggio carico di significato al massimo grado”.

    molesini

    25 agosto 2008 at 01:36

  195. In replica a certe basse insinuazioni: sono ben altri a difendere il loro orticello. Francamente trovo uno spirito nietzschiano in certi interventi che mi sconcerta: premessa fondamentale di ogni discussione è ( o almeno dovrebbe essere ) il rispetto per ciascun partecipante, e per le differenti posizioni che emergono, rispetto che qualcuno non ha ( e non solo verso me, ma anche verso altri partecipanti ) e che io mi sforzo sempre di avere. Poi l’ingenua idea del poeta “legislatore del mondo“ che le folle accorrono ad acclamare, questa sì davvero elitaria, mi auguravo facesse ormai parte solo del vetusto retaggio dei secoli passati ( la realtà d’oggi è invece ben fotografata nell’intervento della casalinga di Voghera, altro che voli pindarici..) e che l’esigenza di approcciarsi all’ odierno ed ai fenomeni sociali con mezzi ( e conoscenze ) atti a comprenderli fosse un bisogno capillare della cosiddetta “comunità letteraria”. Vedo che non per tutti è così e pazienza, me ne farò una ragione, ma il punto è che c’è chi crede, ecce iterum Crispinus, che non le argomentazioni proposte ma insinuazioni e contumelie ad personam debbano occupare buona parte di una discussione…per me non è così e trovo sinceramente intollerabile venir tirato in ballo di continuo ( sempre a sproposito ) in certi commenti quando io non faccio altrettanto e preferisco leggere i molti interventi validi ed interloquire, come ho sinora fatto, con i partecipanti con cui mi interessa dibattere, nel reciproco rispetto. Perciò, lo ribadisco ancora, spero risulti chiaro che non ho né voglia né tempo di entrare in polemiche e polemichette, diatribe et similia: non mi divertono, le trovo solo inopportune e fastidiose per non dire peggio, e considero chiusa qui la questione. Meglio pensare alla discussione, che continua ad essere ricca di spunti.

    Carlo Dentali

    anonimo

    25 agosto 2008 at 12:23

  196. Ho letto l’Afribo; se si riuscisse ad accordarci quantomeno sul formato di una “scheda di lettura”, simile alle sue e attente al testo piu’ che al paratesto, il progresso di comprensione comunitaria sarebbe evidente. Un passo alla volta, ricominciando dai fondamenti: prosodia, semi, dialogo con i referenti gia’ passati in tradizione, piccolo excursus intertestuale sullo stesso autore e sui suoi affini coevi. Non e’ detto che tale modo di fare critica -scolastico ma solido- debba per forza annoiare la casalinga; fruizione e diffusione vengono dopo la ricezione e l’intepretazione, cosi’ come non serve una cattedra in filologia per fare riferimento ai fatti specifici del testo. Condividendo i modi, i risultati sarebbero comparabili anche quando poeti parlano di poeti. La Babele lamentata anche in questo colonnino deriva dai fatti organizzativi che prendono il sopravvento sui fatti testuali, come dice Molesini giusto qui sopra. —GiusCo—

    ps. a Dentali, che fa riferimento a nuove frontiere del sapere come ausilio ai fatti testuali, chiederei riferimenti specifici a metodi gia’ condivisi e applicabili alla critica letteraria. Neuroscienze, modelli psicosociali e altre maniere fluide (perche’ non ancora consolidate) di lettura dei testi letterari sono sicuramente interessanti, ma ancora molto disomogenee, quindi portatrici di confusione piu’ che di chiarificazione in un discorso normativo come quello che servirebbe per stabilire discorsi fondanti comuni.

    anonimo

    25 agosto 2008 at 15:14

  197. Mi riferivo ad una questione ben diversa da alcuni spunti ( non posso che concordare: rischiosi ) che avevo provato ad immettere nella discussione nel primo intervento ( poi accolti da qualcuno con favore da altri criticati aspramente come è giusto che sia ) ma discussioni come questa credo servano anche a questo. Il punto è però che se si parla di “pubblico della poesia”, di far conoscere la buona poesia, di reading e di quant’altro, che sono i mezzi atti a ciò , non si può ignorare come funzionino comunicazione/ricezione e fruizione di un’informazione/ messaggio nell’epoca che stiamo vivendo, se no si corre il rischio di essere bruscamente riportati alla realtà dalla casalinga di Voghera, che, in soldoni, ha ben detto ciò che io ho provato a spiegare nel mio post. Ovviamente la mia replica si riferiva però ad altre questioni su cui evito di ritornare avendo già detto tutto quanto era opportuno dire.
    Un saluto.
    Carlo Dentali

    anonimo

    25 agosto 2008 at 16:01

  198. Dentali, hai ragione, non si tratta di difendere l’orticello nel tuo caso, ma semmai il seminato, con delle motivazioni. Christian

    anonimo

    25 agosto 2008 at 16:33

  199. Massimo Barbaro

    Futuro della poesia?
    In forma di ciottoli>/i>

    1.
    La poesia non ha futuro. Ha, se lo ha, un presente. Instabile. Incerto. Indeterminato.
    Ha un passato, certo. Ed è materia degli storici.

    2.
    Poesia è anche uno sputo su un vetro, ho pubblicamente sostenuto in passato, in difesa di una poetessa dilettante (una professoressa…). Qual è il futuro dello sputo? E il passato? E il presente dello sputo?
    A proposito di sputo: avete mai fatto caso a qualcuno che parla, controluce? Il
    Lógos non è separabile dallo sputo.

    3.
    Quindi parlare poco.
    E che ne è del dire?

    4.
    Approaching silence. Il passato del silenzio, il silenzio che si volge indietro come a salutare qualcosa che si allontana dalla vista. Parole quasi sussurrate e impercettibili, indefinibili.
    Il coraggio dell’addio alla carta. Carta bagnata come una volta i fazzoletti alle stazioni.
    Approaching silence, è difficile pensare a una voce inter-rotta. A una voce rotta dal silenzio. Il silenzio non interrompe. Nessun segno di clivaggio tra la parola e il silenzio.
    Quelle poche parole interessano (inter-esse…), quelle parole accennate, che si dicono e un istante dopo ci si pente di aver proferito. Margini del dire, estremi dell’ascoltare.
    C’è una terra di nessuno tra la parola e il silenzio, tra il dire e il tacere. In quella terra, chi parla? Chi ascolta?

    5.
    Non c’è niente da dire.
    Non c’è da dire niente.

    6.
    L’odore dell’erba già secca, bagnata e asciugata in fretta dopo un temporale estivo. Memoria del passato ormai slegata dagli episodi reali. E, subito, l’odore anticipato dell’autunno, il caldo e i colori più asciutti.
    Come deve essere importante – ma di un’importanza che ancora non capisco – il succedersi delle stagioni! Forse la stessa importanza attribuitagli dai libri di lettura delle scuole elementari di una volta.
    Lasciamo ai poeti questa simbologia del tempo che scorre, dell’eterno ritorno, dello sbocciare, crescere e morire in attesa della nuova rinascita.

    7.
    Tempo lineare o tempo circolare? Tempo è essere?

    8.
    I poeti, già. E perché i poeti?
    Ma se il linguaggio è la casa dell’essere, noi, dove stiamo di casa?

    9.
    Il futuro, d’altra parte, non esiste. E tutti noi, non ne abbiamo.

    Agosto 2008

    error405

    25 agosto 2008 at 17:09

  200. poesia non è uno sputo su un vetro! forse uno sputo su un vetro è un’idea, un contorno, un concetto. ma certo non poesia conclusa in sè! il dadaismo non si addice alla poesia, la sminuisce. per lo meno se inserito senza intelligenza.
    e la poesia ha futuro. anche la pittura non aveva futuro dopo la fotografia, vero?
    forse il problema è che c’è troppo da dire senza che lo si riesca a dire in una maniera in cui è stato già detto. questo è il limite.
    ah, come hai ragione dentali quando dici che non si può non conoscere le dinamiche della comunicazione oggi senza prendersi qualche cantonata!
    tuttavia forse non dobbiamo farci imbrigliare troppo da queste conoscenze (che si abbinano un po’ troppo spesso al marketing bruto).
    vorrei che parlassimo un po’ più apertamente dei territori da esplorare, questa discussione può sopperire egregiamente all’incontro che auspicavo più sopra, quindi confrontiamoci concretamente.
    riconosco la mia ignoranza storico-letteraria dovuta ai miei studi non- letterari. dove ancora non siamo andati?
    cosa c’è da esplorare ancora? poi ognuno lo potrà fare con la sua interpretazione. ma proviamo a porre delle basi di partenza.
    io penserei, forse per affinità al mio stile di scrittura, alla quadridimensionalità, a dire ad una rottura della continuità cronologica e logica, ad una sorta di salto a frammenti, dove soggetti e tempi diversi si sovrappongono e si rimescolano dando una nuova percezione del progredire del pensiero. voi che ne pensate? c’è ancora da sperimentare in questo senso o è tempo buttato?
    simone zanin

    lb1977

    25 agosto 2008 at 23:53

  201. …forse il problema è che c’è troppo da dire senza che lo si riesca a dire in una maniera in cui non sia stato già detto.

    scusate l’errore
    sz

    lb1977

    25 agosto 2008 at 23:55

  202. Sono davvero costernata con il Fantuzzi per non essermi firmata, ignorando di posporre il vero nome all’intervento, proprio il mio poi, uno fra i tanti, che non può di certo avere un’importanza e non essendo avvezza, pur senza dubbio internettamente navigata, a interloquire nei blog e similari, che mio malgrado, ho distrattamente trascurato l’esatta netiquette, che come dire… ci serve alla bisogna. E allora, non me ne vogliate se continuo sulla falsariga di questa mia monotona casalinghitudine… questa saudade di un nord profondo ed immaginario, quest’esistenzialismo spicciolo che non dà requie e né resto, perché il prezzo è alto e che consiste nella buona riuscita della propria opera, probabilmente (la mia) quella detta… da “quattro soldi”!!! (Chi può dirlo…!?) … se la vita mi ha temprata col fuoco della parola e non c’è verso di smetterla di scrivere! Condizione che può sembrare come una sorta di dipendenza. Ed è chiaro… che questo ci accomuna. Rammento a questo proposito una massima del fratello Verlaine che diceva così: “il poeta non scrive per il suo piacere, né per quello degli altri, scrive perché se non scrivesse soffocherebbe”. Scusate il bla bla bla… ma introiettato questo pensiero, tanto di più non ci potrebbe occorrere. E ancora: mi dolgo per la negazione, che ha esposto il nostro amico sul dadaismo, che invito pacatamente a ritrattare, considerando quali furono i tempi e il notevole apporto dato a tutte le arti e alle spinte socioculturali e politiche che ne seguirono. Prendo inoltre le doverose distanze da orti e orticelli, semine ed inseminazioni affatto artificiali e altresì mi associo a quanto scritto da Cornacchia e cioè per essere precisi a “La Babele lamentata anche in questo colonnino deriva dai fatti organizzativi che prendono il sopravvento sui fatti testuali”, che meglio ha esposto quello che invece ho detto esageratamente forse con dire un po’provocatorio.
    Bene, ora è tempo che io vada…le mie amiche mi aspettano per lo sciorinamento dei panni… peccato che preferiscano la D’Eusanio (ad esempio… senza fare nomi) a Magrelli!
    Vabbè… sdrammatizziamo… un sincero abbraccio solidale a tutti i poeti
    La casalinga di cui sopra

    anonimo

    26 agosto 2008 at 17:56

  203. non amo particolarmente i dada, tuttavia, se leggi bene, mi sono corretto quasi subito precisando “per lo meno se inserito senza intelligenza.”. quindi non ritratto. è una tentazione ed anche un rischio indulgere in fesserie e giustificarle con il dadaismo. cosa che troppo spesso ho visto fare. scusate, a quel punto preferisco la pseudo-poesia! per lo meno c’è un tentativo tecnico, per quanto mal riuscito o imitatore di poesia già conosciuta. e forse anche patetico. ma nato da intenzioni genuine, non da cialtroneria bella e buona!
    simone zanin

    lb1977

    26 agosto 2008 at 22:05

  204. Io amo la poesia, ho anche pubblicato, per mia fortuna, una piccola raccolta su concepts di arpanet (vedo che manca dai vostri links, aggiungetelo!). Sul mio blog c’è qualche saggio della mia scrittura, adoro scrivere sia in prosa che in versi. E’ un gesto come tanti per dire che siamo vivi, grazie a Dio. Spero di sentirvi o leggervi presto, un grazie speciale a Matteo Fantuzzi per ‘guarda questo cielo scuro’ apparso nella sezione monitor time out di Glamour! E’ bellissima, ed è un modo nuovo per pubblicare e rendere visualizzabile la poesia a chi di poesia magari sa poco, o ha poco da parte per comprare libri costosi in biblioteca. A presto, Raffaella Cantillo.

    anonimo

    26 agosto 2008 at 22:09

  205. ti faccio però notare simone che nell’arte contemporanea il critico e il curatore sono persone fondamentali proprio per comprendere l’opera, sono dei veri propri mediatori tra pubblico e opera. se il sistema andasse in quella direzione a me non dispiacerebbe affatto. credo che siano stati più lungimiranti, in fondo oggi chi va a vedere la transavanguardia sa cosa sta dietro. in poesia non so se si possa dire la stessa cosa. ed è un peccato perchè ribadisco che chi esce dalla critica artistica spesso è orientato al contemporaneo e al militante e purtroppo chi esce da studi di critica letteraria spesso se le gira attorno a leopardi e pascoli (con tutto il -grandissimo- rispetto).
    alessandro, a me pare (e per fortuna) che i testi che sono emersi siano andati ben al di là della forma e al massimo ma al massimo questa sia emersa come potenziamento della sostanza dei libri. poi che ci sia qualcuno che dica sempre “tutto fa schifo tranne me e i miei amici”… beh ieri sera mi godevo la contestazione alla mostra del cinema di venezia del ’68 e direi che la storia davvero sa proporsi e riproporsi 🙂
    grazie christian per la precisazione e sono molto vicino alla posizione di anna castellari.
    casalinga lassa fà… nessuno ha importanza. e ri-lassa fà se preferiscono la d’eusanio a magrelli è perchè nessuno ha fatto loro mai leggere ora serata retinae, invita magrelli a sciorinare i panni da te (nonstante sia “tra i mondadori” vedrai che viene) e le tue amiche non vedranno rai2 nemmeno più per caso. per il bene della poesia e della federcasalinghe (sempre che tu ne faccia parte).
    ringrazio raffaella e chi in queste giorni mi sta scrivendo privatamente. come ho già detto a qualche amico anche se avrei parecchie novità delle cose “personali” non accenno nemmeno fino alla fine del convegno e cioè metà settembre. comunque: grazie.

    matteofantuzzi

    27 agosto 2008 at 08:41

  206. caro matteo,
    forse sono stato frainteso, ma sono d’accordo con te sui curatori e sui critici. e aggiungerei anche i lettori opinon leader, come definiti da christian. sicuramente sono loro che ‘guidano’ il pubblico.
    anche perchè non capisco perchè in altre arti il pubblico accetti di buon grado di essere guidato, percependo di andare verso un livello superiore di apprezzamento dell’opera, mentre in poesia il pubblico si risenta se qualcuno detta linee guida o approfondisce le opere, indirizzando i lettori. quasi fosse naturale capirne di poesia e tutti siano buoni giudici.
    io stesso, poeta, a causa anche della mia formazione non-letteraria, ho necessità di ricorrere alla critica per tanti poeti, limitandosi il mio giudizio a quanto posso aver appreso da autodidatta.
    penso che tutti dovrebbero avere un po’ di umiltà in più.
    matteo scrivi: “credo che siano stati più lungimiranti, in fondo oggi chi va a vedere la transavanguardia sa cosa sta dietro. in poesia non so se si possa dire la stessa cosa. ed è un peccato perchè ribadisco che chi esce dalla critica artistica spesso è orientato al contemporaneo e al militante e purtroppo chi esce da studi di critica letteraria spesso se le gira attorno a leopardi e pascoli (con tutto il -grandissimo- rispetto). “.
    ecco, il punto di quello che volevo far emergere con i miei rimandi alle arti visive è proprio questo!
    matteo, credo che alessandro abbia comunque (tristemente) ragione. non che non vi siano testi validi (e ce ne sono tanti), ma che si plauda l’avanguardia stilisticamente virtuosa ma vuota, in nome di chissà quale sperimentalismo, mi sembra davvero dannoso per tutti.
    a presto

    simone zanin

    lb1977

    27 agosto 2008 at 09:50

  207. Caro Matteo,
    certo che critico e curatore sono e restano figure fondamentali, e non solo per la comprensione dell’opera. Anzi, non guasterebbe che anche l’artista, pure il sedicente tale, non fosse poi del tutto digiuno dei rudimenti della teoria e della critica. Altrimenti, il rischio è quello di far assurgere al rango di critica il linguaggio da caserma, perché, anche senza l’ausilio del controluce, è evidente che così si va diritti verso la logomachia, nella quale, di lògos, anche con la minuscola, ve n’è ben poco…
    Con buona pace dell’invettiva, genere che non sarebbe dispiaciuto certo ai dadaisti, e che pure ha una sua dignità (tutto ha una dignità).
    Ma ti figuri? Il dadaismo – ma chi, cosa, autorizza a parlare di dadaismo? – è consentito, purché sia «con intelligenza». Come uno che, alle serate di Tzara e compagni, le avesse trovate “di cattivo gusto”, “poco educate”, eccetera. Un dadaismo alla D’Ausanio, appunto.
    La sperimentazione va bene, ma se è originalità a tutti i costi, ricerca sterile del “non già detto” (lo sai bene, dopo Parmenide è stato già detto tutto), allora si che diventa marketing. Né armeggiare con le dinamiche della comunicazione, ammesso di saperlo fare, aiuta poi tanto, se non si fanno i conti con la teoria della comunicazione (e lo sai, sono, non da ora, con Perniola, contro la comunicazione). Sempre ammesso, ma non concesso, che la comunicazione c’entri qualcosa con la poetica. Ciò basterebbe a indurre un minimo di riflessività (gentilezza? ma, Matteo, in che secolo vivi?). Che indurrebbe chiunque dotato di esperienza (ma, prima o poi, ognuno se la fa) a distinguere

    Poesia è anche uno sputo su un vetro

    da

    Poesia è uno sputo su un vetro.

    Non si tratta, ovviamente, di una questione di avanguardia (e comunque, ah, quanto ce ne sarebbe bisogno), quanto di guardare avanti. Al presente, appunto.
    Altro che dadaismo, Matteo, ci stiamo infilando diritti nelle parole in libertà. E invece del futuro della poesia, ecco s’avanza il (neo-post?)futurismo.
    Le casalinghe, dai retta, hanno sempre ragione. Anche quelle non di Voghera.
    Ne potremo discutere tra qualche anno (magari, in un convegno, con tanto di presidente, relatori invitati, e pubblico in sala o online, magari distinguibili tra loro). Sempre che tra qualche anno si possa sempre discutere. Ancora.

    Cordialissimi sputi, e abbracci (antipatriottici)

    Massimo Barbaro

    error405

    27 agosto 2008 at 11:21

  208. Un’idea così… a stralcio.

    Sarebbe carino che invece di organizzare eventi di lettura si organizzassero eventi di scrittura, di riscrittura a partire da un testo comune, di studio.

    Un qualcosa che non coinvolgesse solamente chi scrive (a qualunque livello) ma anche chi legge.

    Come quelle collettive di pittura in cui gli autori dipingono lì davanti.

    Non verranno fuori grandi opere, ma grandi esperienze magari sì.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    27 agosto 2008 at 16:30

  209. Lascio qualche riflessione su un paio degli spunti che hanno fatto capolino negli ultimi commenti.

    La necessità di sperimentare è comune a tutte le epoche, in quanto sempre si tende a ricercare il linguaggio del “contemporaneo”, è naturale e comprensibile. Il Novecento, in questo, ci ha lasciato una lezione immane, che proprio per la sua misura ancora fatichiamo a maneggiare e a superare. Ma credo anche che una sperimentazione, o una “avanguardia” per usare un termine che vi si sovrappone (anche se non è sempre vero il contrario), giungano al proprio compimento nel momento in cui escono dall’iper-letterarietà che, per forza di cose, le contraddistingue. Per fare un esempio fra i tanti, ho letto più volentieri un Sanguineti post-Gruppo 63 o un Palazzeschi post-futurista, che non i suddetti nelle loro fasi più smaccatamente (scusate la ripetizione) sperimentali.
    E questo perché sta forse nel corso delle cose che i metalinguaggi abbiano, per così dire, una specie di missione a termine. Giunto il quale, non si butta via questa esperienza, ma, se questa ha avuto un peso e un significato importante, diventerà un punto fermo da attraversare, davanti al quale bisognerà prendere una posizione. Che essa sia positiva o negativa, essa prevederà comunque un confronto, ignorarla non si può.

    Sul discorso della critica: si è già detto spesso che le colpe della scarsa propensione alla poesia da parte del pubblico è dovuta a tantissime cause, non ultime le colpe dei poeti stessi, o in generale di ciò che gira attorno alla poesia. Esiste anche una mistificazione, un sorta di luogo comune duro a morire, che dà luogo a una schizofrenia di difficile soluzione. Il lettore appassionato, ma sostanzialmente illetterato (nel senso dell’istruzione scolastico-accademica, intendo), come ce ne sono tanti, non accetta di buon grado una mediazione critica, anche se questa non vuole imporsi come legge, ma come guida, chiave di lettura, in quanto ritiene di essere perfettamente in grado di comprendere il testo letterario, poiché in possesso dell’unico strumento che serva, cioè il “saper leggere”. E d’altro canto ritiene inutile, “intellettuale” ciò che non rispetta questo suo bisogno di immediatezza, e, spesso, la poesia sta in questo insieme, più per luogo comune che per vera esperienza di lettura.
    E questo discorso lo potremmo estendere anche ad altri campi più “popolari”, vedi la musica rock (vi siete mai chiesti come mai in Italia non esiste una critica musicale sulla musica pop e rock, al contrario dei paesi anglo-sassoni, dove pure l’alfabetizzazione sulla materia è più alta?) o il cinema (e qui mi viene in mente una scena di sfogo di non ricordo quale film di Nanni Moretti).
    Purtroppo il perseverare di una latitanza della critica (in tutti i campi, e anche se ottime teste pensanti non mancano, semplicemente non hanno uno spazio visibile e autorevole) sta producendo danni molto ingenti, dai quali, temo, servirà un lavoro di durata pluri-generazionale, se mai si riuscirà a trovare il bandolo della matassa e a capire da dove si può cominciare.

    Marco Bini

    anonimo

    27 agosto 2008 at 17:47

  210. invito caldamente a leggere il post appena apparso su LiberInVersi, che credo sia perfettamente a tema con quanto da noi qui discusso.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    27 agosto 2008 at 21:03

  211. LiberInVersi non riapre e continua la fermata

    Contrariamente a quanto annunciato il 3 agosto scorso, a seguito di un confronto di redazione si è deciso di non riaprire LiberInVersi. Le ragioni che sottendono questa decisione, che peraltro ci si augura dovrebbe avere effetti solo temporanei, sono di natura operativa e contingente. Al di là delle difficoltà gestionali pratiche di questo particolare periodo di tempo, come già discusso anche in uscite precedenti, durante il confronto è risultato chiaro come le riflessioni sulle scritture (in rete e non), proiettino per tutti l’attraversamento di una fase che nella valutazione dei redattori richiede un ripensamento dei modi e dei tempi dell’approccio alla scrittura e all’espressione poetica. Tutti sono stati unanimi nell’affermare che possibili facili entusiasmi inziali e fisiologici si possano in qualche modo essere spenti e che, onde evitare l’estremizzazione delle derive verso «l’hobbismo della scrittura» e l’inutile ripetizione dei contenuti, si renda opportuna una pausa di riflessione. Oltre a consentire il passaggio ad una fase di più semplice gestione e un possibile ripensamento della formula, la fermata di LiberInVersi è anche un momento di silenzio che bene si adatta, nella visione della redazione, all’attuale percezione di stanca associata al fenomeno delle scritture in rete. Con l’auspicio quindi di riprendere le attività nel prossimo mese di Novembre, segnaliamo che dopo tre anni di continuo lavoro (se così si può definire) LiberInVersi si ferma a tempo per ora indeterminato. La speranza è che la redazione si ritrovi unita al termine del periodo per prosegure magari in forma diversa il lavoro cominciato tre anni fa.

    Massimo Orgiazzi
    ripreso da liberinversi.splinder.com

    anonimo

    27 agosto 2008 at 21:34

  212. Vorrei segnalare un’iniziativa che si terrà a Castelfranco Emilia questa domenica 31 agosto. Si tratta di un primo tentativo di presentare insieme, tramite letture e riflessioni, le principali associazioni, gruppi o individui che in qualche maniera promuovono iniziative di poesia sul territorio dell’Emilia Romagna. L’ideale sarebbe arrivare in futuro anche ad una minima forma di coordinamento regionale per le iniziative della poesia, ciascuno mantenendo la sua identità. Speriamo anche in un’affluenza dalle altre regioni. Se v’interessa l’esperimento ne avrete notizia su http://www.rivistaonline.altervista.org

    Ringrazio Matteo per lo spazio, buon proseguimento

    Guido Mattia Gallerani

    anonimo

    27 agosto 2008 at 22:06

  213. caro massimo,
    innanzitutto ti chiedo scusa per la mancanza di ‘gentilezza’ nella mia risposta, sicuramente un po’ brusca, al tuo post precedente.
    lascio ad altri la critica, peccherei d’arroganza, davo solo il mio parere. probabilmente di parte.
    intravedevo nel tuo scritto un po’ troppo pessimismo o nichilismo riguardo la poesia. per quanto riguarda la seconda parte, quella relativa al silenzio, non posso che essere d’accordo e forse me lo dovrei ricordare più spesso. solo un rimprovero, caro massimo, ti prego di non rivolgerti a me indirettamente, non ho alcun problema alle critiche dirette, è quello che ci fa crescere.
    finite queste doverose spiegazioni, scusate se un po’ personali e non funzionali al discorso, mi sento di sottolineare e sottoscrivere l’idea di alessandro.
    interessante, anche perchè è utile tornare sul terreno delle proposte concrete che possano rispondere alla domanda posta all’inizio sul come far conoscere la poesia.
    simone zanin

    lb1977

    27 agosto 2008 at 23:44

  214. Concordo con la proposta di Guido Mattia Gallerani.
    Penso che la chiusura di Liberinversi sia sintomatica del tramonto di una certa stagione per i blog. Vedremo che pieghe prenderanno nuove iniziative o nuove energie se ce ne saranno. Ritorno al cartaceo (mai morto per altro)? Singergie carta-rete?
    Vedremo, se la poesia ha ancora da produrre nuova linfa oppure stanche discussioni autoreferrenziali…

    Un caro saluto

    Luca Ariano

    anonimo

    28 agosto 2008 at 08:36

  215. io sinceramente non sarei così drastico, credo che quanto accaduto a liberinversi riguardi liberinversi e i collaboratori di liberinvesi. non vada più in la. conosco bene siti in rete (mica solo blog) che continuano ad andare benone, anzi spesso sono in crescita di attenzione. è chiaro che una certa stagione era destinata a svanire, ma questo lo si dice da una vita, mi ricordo una serata a macerata alla rassegna di davoli almeno almeno di 3 anni fa. e poi quando c’è stata la stagione dei convegni nel 2007 io di “de profundis” ne ho fatti un sacco: ma è anche il senso di ‘sto convegno, potranno da un lato tenere determinate forme di divulgazione della poesia in rete, ma non possiamo sederci sugli allori. e dall’altra anche e proprio col contributo di chi altrove non ha avuto risultati perfetti credo possa esserci proprio la spinta di andare avanti, di proporre altro. se qualcuno ha creduto nella “democrazia populista” della rete, dove va bene tutto e il contrario di tutto, quel qualcuno s’è sbagliato. la necessità di “decidere”, di compiere decisioni al di là di qualche sbadilata di vaffanculo che questo comporta è uno dei nodi che va al di là degli strumenti utilizzati ma che è una regola che tutti si devono dare, in rete, nel cartaceo, nell’etere o nel silenzio della propria cameretta.

    matteofantuzzi

    28 agosto 2008 at 09:39

  216. “là” con l’accento, ovviamente.

    matteofantuzzi

    28 agosto 2008 at 09:39

  217. Pare anche a me come dice Matteo.

    Tra l’altro non hanno chiuso, ma hanno intelligentemente preso un periodo di pausa per un’autoanalisi di cui tanti avrebbero bisogno. Loro hanno avuto il coraggio di fermarsi. Questo non vuol dire che i blog siano in crisi. Non vuole dire che Liberinversi chiude. Non vuol dire nulla all’infuori dell’intelligenza di un gruppo di persone che si chiede cosa sta facendo e se lo sta facendo veramente bene.

    Dico: quest’ultima domanda è la base di ogni scrittura, poetica e non, critica e non, e via dicendo.

    Tanto di cappello quindi a Liberinversi, da parte mia.

    Una nota che invece voglio fare, a lato, è sul blog del Corriere della Sera a cura di Ottavio Rossani.

    http://poesia.corriere.it/

    Avete notato quanti commenti ci sono?

    Quando va benissimo quanti se ne contano? 5?

    Questo direi che è indicativo. Anche a fronte del numero di commenti che vediamo qui.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    28 agosto 2008 at 10:24

  218. Caro Simone,
    il nichilismo (filosoficamente: antifondazionismo e antisostanzialismo) è proprio il cuore della questione e l’ambito di quanto intendevo condividere. Con i miei toni provocatori, forse. E trovo normale, anzi, ottimo, che qualcuno si risenta. Altrimenti, davvero la poesia sarebbe irrimediabilmente morta.
    È che comincio a essere un po’ stanco del personalismo e dell’autoreferenzialità del dibattito tra poeti. E mi era sembrato…
    Bisogna invece, come dice benissimo Alessandro nel commento #1 (che leggo e rileggo, trovandolo la perfetta sintesi di tutto il “Convegno”), essere capaci di incidere sulla cultura; spesso questo è possibile se si è a nostra volta capaci di lasciarci incidere (dalla cultura, ma non solo), senza chiusure difensive, arroccamenti, guerre “preventive”…
    Si, il silenzio. Che non è tacitare qualcun altro, ma tacitarsi, aprirsi all’ascolto. Percorrere quella terra di nessuno tra voce e silenzio, prima di (decidersi a) scomparire. Perché Rimbaud è un grande? Perché, a un certo punto, ha capito quando era il momento di smettere (la cui piena praticabilità e possibilità rimane comunque tutt’altro discorso…).
    Dalle vallate del nulla, si sentono ancora voci…
    Ottima cosa anche la proposta di Canzian, proprio perché la scrittura è, sopra ogni altra cosa, pratica. Non è il risultato che conta, ma il gesto, e, guarda caso, i risultati si vedono proprio quando il gesto è libero dall’intento del risultato (ecco perché anche uno sputo… ma vabbe’, forse hai ragione tu, lasciamo perdere, qualche poeta troppo sensibile potrebbe non gradire, non capire…). Bisognerebbe istituire delle Scuole, dei Laboratori di poesia, meglio se non direttive, partire dal basso, entrare in una logica di poesia collettiva, nella quale il processo della scrittura torni ad essere, se mai lo è stata, l’unica cosa che davvero conta. Anche a costo della scomparsa dell’autore come soggetto che ha da dire.
    (Sul parlare a suocera perché nuora…, touché; ma era proprio per non scendere sul personale… Sull’essere diretti, ovviamente, concordo…).

    Cordialmente,

    Massimo Barbaro

    error405

    28 agosto 2008 at 15:34

  219. in realtà avrei pensato, fino a qualche settimana fa, che il discorso sui blog fosse proprio quello.
    tuttavia mi sono piacevolmente reso conto che, come sottolinea anche alessandro, matteo abbia scatenato un interessante dibattito. sicuramente di ottimo livello!
    quindi direi di andare al di là del successo o meno di altri blog e di pensare ad alimentare questa bellissima prova di serietà d’intenti e di spessore d’interventi che ha impostato questo blog.
    testimonianza anche della stima, anche la mia che gode il buon matteo nell’ambiente.
    simone zanin

    lb1977

    28 agosto 2008 at 15:43

  220. caro massimo,
    lungi da me il personalismo e l’autoreferenzialità! veramente sarei l’ultimo a poterla rincorrere, rispetto ai molti che ne sanno più di me qua dentro. te l’assicuro.
    grazie del chiarimento, veramente di cuore. io sono qui per imparare dagli altri, come credo che anche gli altri possano imparare qualcosa da qualche riflessione che propongo, se non altro che alcune sciocchezze possono essere accantonate, ma almeno se n’è parlato. una specie di brain storming (forse parole in libertà, ma per non perderne nessuna che possa portare qualcosa alla discussione, almeno).
    il resto si elimina, in base alla vostra critica e sensibilità.
    simone zanin

    lb1977

    28 agosto 2008 at 15:51

  221. Alcuni dati statistici portano a riconsiderare sempre le opinioni sull crisi dei blog. Il mese di agosto è signiicativo per AbsolutePoetry, 26.000 utenze singole se non erro, che per essere agoto è un miracolo. Liberinversi è un ottimo strumento: so che li posso trovare il testo di una persona (ci fosse maggiore cura sulle selezioni, richiedere che si tratti di selezioni da opere complesse, da libri…e forse la trasformazione in qualcosa anche di multimediale; lo dico perché io ho proposto una antologia a Massimo, e non sono così convinto di aver fatto bene nel senso che forse meriterebbe sempre partire da un’opera, e non da una serie di testi molto diversi estrapolati da opere, etc). Credo che l’operato della redazione sia stato ottimo: tutti i poeti sono alla pari, il commento è lasciato al “pubblico”, così alle volte prevale il vogliamoci bene, ma non credo siano i commenti solidali a far male alla poesia, piuttosto l’assenza di altri strumenti più critici; Liberinversi non può che essere uno strumento per l’espressività e la socialità diffusa, ma mi rendo anche conto di ciò che si intende per hobby della poesia, ovvero si pubblica qualcosa per qualche motivazione. Forse Massimo dovrebbe fare come alla biennale, ogni anno cambiare “giuria”, forse diminuire i post (uno alla settimana), sarebbe anche molto interessare comparare le scelte della “redazione”, anno dopo anno. Lo dico perché siamo tutti sottoposti all’esaurimento nervoso del blogger, cioè si fa si fa si fa, e poi non si ha più voglia di fare un piffero a tempo indeterminato.
    Se devo dare un consiglio a Massimo, è quello di scegliere ogni anno un “presidente” e una “giuria”, e se posso permettermi, anche due o tre critici (meglio se proprio distanti dall’area blog), che alla fine dell’anno facciano il punto sulla bonta o meno delle proposte, indicando quali a loro giudizio quelle più interessanti. Ovviamente poi giurati e presidente avrebbero la possibilità di contrabbattere ai “critici” e così via… E’ una cosa che troverei interessante come meccanismo, se volete anche perché permetterebbe di riassumere quella che è stata l’attività annuale di un blog, con una fisionomia ben delineata. Qualcosa del genere proposi su gammm http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article830 e credo che l’articolo che vi linko sia emblematico: lavorare anche sui feedback dell’ambiente, sulla ricezione per capire cosa sia effettivamente passato, in bene e in male, del lavoro…è una proposta. Un saluto a Massimo, che è davvero un grande!
    Christian

    anonimo

    28 agosto 2008 at 16:17

  222. CLAP CLAP CLAP x l’ultimo intervento di Massimo Barbaro
    [“bisognerebbe intuire… anche a costo…”]
    … aggiungo ai cordialissimi sputi,
    varie ed eventuali secrezioni personali (seguirà un elenco a parte)
    espettorazioni cerebrali, precoci eiaculazioni… insomma altre metafore…
    “divogherazioni” (nel caso in cui qualcuno se le fosse distrattamente dimenticate…!)

    anonimo

    28 agosto 2008 at 19:06

  223. errata corrgige: “se le avesse..”, ovviamente.

    anonimo

    28 agosto 2008 at 19:15

  224. l’azione non segue il pensiero. o viceversa?
    corrige

    anonimo

    28 agosto 2008 at 19:19

  225. Caro Christian,
    non credo che approntando una giuria con una sorta di valutazione finale, a mo’ di progetti europei su fondi comunitari o peggio quasi da quiz televisivo, sia di qualche utilità.
    O meglio, non vogliamo, noi di liberinversi, creare degli specchietti per allodole solo per far aumentare i commenti, come un lievito istantaneo buttato su una torta pronta da infornare già 3 giorni prima.
    Ci siamo resi conto che i blog che si occupano di poesia sono tanti e tra noi stessi della redazione ce ne sono 3-4 che ne hanno uno personale. Molti propongono ugualmente selezioni di poesia.
    LiberInVersi ha seguito un percorso, forse ha una pessima impaginazione, non è accattivante, è molto “asettico” nella presentazione. E non credo sia un problema di ritocco estetico o di riequilibrio di redazione.
    E’ che alla fine si porta a compimento un percorso. Ci siamo sempre detti che la qualità non è infinita e quando giungiamo a pubblicare oltre 100 poeti più o meno giovani e molti esordienti (certo, ci sono stati anche i Pusterla, i Buffoni e tanti “super-nomi” che hanno contribuito talvolta con inediti) è difficile trovare un livello sempre alto.
    PErciò, forse, giunti ad un certo punto, il discorso mappatura lasciava il tempo che trovava. Sulla critica, abbiamo preferito che i lettori costruissero la propria opinione senza mediazione, dinanzi al testo.
    Per certi versi è un bene, per altri potrebbe non esserlo.
    Ad ogni modo nel caso di una ripresa (probabile) saranno delle misure concrete a dettare un indirizzo, non un restyling o un lavoro di maquillage.
    Quello che dici circa il feedback è molto importante e lo condivido. Sarebbe da valutare anche il discorso circa un’opera miltimediale o cose così. Quanto alle selezioni, ti stupirai, ma il 50% di ciò che è pubblicato su liberinversi viene estratto da sillogi complete. Forse bisognerebbe lavorare ancora di più su questo, come suggerisci tu. VEdremo da quale parte andare.

    Grazie comunque per i suggerimenti.

    E comunque, come qualcuno ha scritto (mi pare Luca Ariano), è emblematico che LiberInVersi sia quantomeno autosospeso.

    Per questo, forse, non siamo in grado di arricchire la discussione che Matteo ha avviato un mese fa. Possiamo solo essere un esempio di un percorso, spero utile/significativo, di un blog di poesia. Un percorso che ora è giunta ad “una” fine (ma badate bene, “una” e non “la”).

    Siamo stati una meteora? Abbiamo svolto un buon lavoro? Chi può dirlo. Intanto siamo un esempio, ora, di un blog di successo che si ferma e medita.

    grazie per lo spazio

    vocativo

    28 agosto 2008 at 21:02

  226. Ciao Luigi, ho messo il link ad un mio articolo dell’anno scorso per chiarire le mie motivazioni, lungi dall’essere uno specchietto per le allodole solo per far aumentare commenti, visto che a commentare sarà sempre una minoranza di individui. Mi rendo conto che c’è una sorta di atteggiamento di meditazione sul lavoro svolto, che a mio parere è straordinario…non voglio apparire anti-redazionale, ma credo nel rimescolamento delle carte: può apparire come una sorta di “gioco”, il presidente, la scelta della giuria, la critica della giuria (che comunque dovrebbe stilare un documento che dia delle indicazioni critiche), la critica sulle scelte della giuria; ma anche il mio discorso “giocoso” (a prop., viva Von Neumann!) è dettato da motivazioni che potrai riscontrare nel breve articolo su ap.

    Però, chissà, se non lo si fa su Liberinversi, sto gioco, quasi quasi mi diverto a proporlo io a qualcuno… Chi potrebbe fare il presidente della giuria? (domanda aperta a tutti)
    Christian

    anonimo

    28 agosto 2008 at 23:39

  227. restano, i tuoi suggerimenti, degli spunti su cui meditare. E di questo ti ringraziamo.

    vocativo

    29 agosto 2008 at 08:15

  228. … mi piace il commento al
    # 8…
    io penso che un po’ di silenzio non guasti, forse abbiam bisogno di quello, e un po’ tutto il discutere su come fare e cosa fare, il perché e percome della poesia ci serve anche a colmare gli spazi vuoti, esorcizzare l’ansia del foglio bianco… però è da lì che parte la poesia, e quello che serve prima di tutto è buona poesia. e l’umiltà di condividerla coi mezzi che hai. forze, tempo e spazio permettendo, quando la incontri.
    per il resto si fa tanto… festival, reading, letture, recensioni…
    la poesia in sé non deve cambiare… il trend della poesia popolare, che parla il linguaggio d’ogni giorno, ecc ecc, è un’illusione… il lettore non è né scemo né analfabeta, chi è interessato alla poesia la legge in ogni sua forma, altrimenti legge “Chi”. quel che deve cambiare è l’atteggiamento di molti poeti, che pensano di occuparsi di poesia, mentre la perdono di vista… forse bisognerebbe ridurre le aspettative rispetto a tutto quanto è accessorio… importante penso sia incontrarsi, leggersi, e sapere che ogni lettore raggiunto in più è un impegno e una scommessa, poi talvolta ce ne sono trecento, talaltra tre, ma sono tre in più…

    quando preparavo la maratona, ci si spaccava la schiena per due lire… e ti veniva il dubbio che non fosse meglio darsi al calcio, dove magari ti capita pure di fare “due reclames per gli shampoo”, per dirla con fantuzzi. però a me piace correre, anche se la gente preferisce guardare dei tizi che arrancano in tondo dietro a un pallone 🙂

    Chiara De Luca

    anonimo

    29 agosto 2008 at 09:03

  229. Ma cos’è tutta questa smania di discutere, dire, fare…
    Si parla di portare la poesia in piazza ai 4 milioni di persone-potenziali lettori e poi si continua a parlare e a discutere autoreferenzialmente su un bolg di poesia per “addetti ai lavori” (come ogni blog di poesia del resto) che con questa gente non ha nulla a che fare. Io credo che ci sia quest’ansia di fare troppo, che si faccia troppo. Il mondo della poesia è terribilmente dispersivo, frammentato. Come si potrebbe portarlo fuori in queste condizioni? Inoltre si parla di poesia per/verso il popolo-lettore e poi ci si continua a pensarsi e a presentarsi con la grande boria del poeta “laureato”. I poeti non sono disposti, nonostante ciò che si dicano tra loro, a collaborare veramente, ad aprire le porte agli altri scrittori e al lettore. Sembra paradossale, e per me lo è, ma in questo mondo, che davvero non potrebbe portare a niente se non alla comunicazione e alla condivisione (forse le due cose più alte dell’uomo), l’individualismo e l’arrivismo abbondano, crescono come i funghi in autunno. E tutto ciò, scusate l’onestà, mi disgusta. Io credo che bisognerebbe calmarsi, fermarsi, magari stare zitti. Chiedersi le ragioni delle cose, magari gli obbiettivi. Analizzarsi un pochino la coscienza. Anche Sanguineti e i “novissimi” discutevano continuamente di poesia, era la loro vita, erano grandi teorici. Pensavano di stare facendo bene alla poesia e invece, se essa ora è così distante dalla gente, ne hanno grande colpa. Credo che bisognerebbe fare MENOe bene, meglio. Fare e smettere di parlare delle stesse cose, trite e ritrite, che ormai si leggono da anni nei blog. I blog sono in declino, ha ragione Luca Ariano, basta vedere i numeri! i visitatori sono sempre meno e sempre gli stessi! Questo è la vita naturale di uno strumento utile, che ha bruciato le tappe perché è stato caricato di valori e funzioni che non gli spettavano. Il blog non è mai stata una cosa che poteva vivere da sola, ha sempre avuto bisogno di essere appoggiato da altro. Doveva essere lo specchio degli strumenti di fruizione e diffusione e invece se ne è voluto fare uno strumento stesso. Credo che bisognerebbe calmarsi ora, pensare un attimo in silenzio. E poi ripartire, con atteggiamento nuovo, obbiettivi nuovo. Non credo sia un bel periodo per la poesia questo (e non parlo della qualità, che è alta, ma della vita della fregiel creature che è la poesia), come del resto per tutto il mondo.
    Scusate la schiettezza e l’aggressività, non è un attacco diretto per nessuno, solo pensieri sciolti simili a ciò che penso.
    Saluto con affetto matteo e gli altri.
    Scusati per eventuali refusi

    salvatore della capa

    anonimo

    29 agosto 2008 at 10:46

  230. io non vorrei (ribadisco) che liberinversi diventasse la “pietra dello scandalo”, sinicco mi pare abbia portato dalla sua esperienza tutt’altri dati. credo che siano spazi in rete che sono in fase di stanca, e altri che viaggiano costanti, aprano nuove opportunità ecc. ma non è “colpa” di liberinversi, che a un certo punto tra parentesi ha asciugato le proprie idee con quell’antologia che ha fatto tanto casino. ma il problema non è questo.

    se una persona vuole stare in silenzio ci stia, chi la obbliga? ce ne sono tante in silenzio, da anni. ma non perché non abbiano nulla da dire, anzi. in questo bel paese ci sono strutture e sovrastrutture: peccato. io credo che si perdano molte opportunità di fare analisi e poi dal cielo “cadano”alla fine operazioni editoriali di cui si comprende poco il senso (anche quando il senso ce l’hanno). invece si potrebbe arrivare a qualcosa di “partecipato” che non significa populista, significa di compreso. che uno non sia considerato il migliore solo perché si presume “figlio di”, “amante di”, “appartenente a”: ognuno di noi quando legge un bel libro, che sia pubblicato da mondadori o ne l’arcolaio ne è felice. perché ? perché qualcuno un giorno gli ha consegnato la poesia. ora il sistema è frammentato. ma in fondo lo è sempre stato. lottare contro i mulini a vento mi pare difficile, forse sarebbe più semplice che ognuno di noi tirasse su le maniche e iniziasse a lavorare nel proprio territorio. sbattendo la testa contro le proprie (tante, chiaramente anche mie) sconfitte. che non è facile, perché ti devi scontrare con mille problemi, amministrativi ecc.
    ma nessuno è obbligato, mentre qualcuno spende il proprio tempo con festival e compagnia mi auspico che altri sudino per fare critica pura e critica militante. e chiaramente buona poesia. ognuno deve fare quello che si sente, che ha piacere di fare. come meglio crede.

    chi ha bisogno di silenzio deve poterselo permettere, non ci deve essere alcuna motivazione per non prendersi il silenzio di cui, se lo si ha, si ha bisogno. e altrettanto chi ha voglia di trovarsi per discutere anche attorno a cose labili lo deve potere fare. di certo bisogna prendere decisioni. sto guardando in queste ultime ore le uscite editoriali francesi, loro fanno uscire quasi tutti i libri in settembre, è una tradizione. bene, le uscite sono in netto calo, le case editrici però molte di più. e l’attenzione cresce, perché ognuno scommette su poco e bene. sembrano quasi concetti stupidi, eppure alla fine sono nodi precisi. ognuno di noi deve decidere. anche il silenzio, anche di non scrivere. responsabilmente. anche questo è fare. con diritto e con rispetto.

    ma chi vuole fare altrove altrettanto deve poterlo fare, anche se nel nostro belpaese chi fa spesso i vaffanculo se li becca. chi decide i vaffanculo se li becca. tanti presunti amici se ne vanno. tante schiene piegate abbandonano la platea. e anche in questo liberinversi è un buon esempio.

    mi consola ricordare che tra 100 anni saremo tutti morti. e mi consola sapere che qualche buona opera invece sarà rimasta.

    matteofantuzzi

    29 agosto 2008 at 11:33

  231. quello scelto da LiberInversi è un silenzio produttivo, Matteo, continuiamo a lavorare e tra noi si discute per ripartire. bisogna anche avere il coraggio di stare un po’ fuori dalla platea, dove tanti tra i discorsi fatti qui sono spesso così prossimi al silenzio, almeno per me… poi magari questo è il modo giusto per attirare il lettore “non addetto ai lavori” alla poesia, tutto può essere…

    Chiara

    anonimo

    29 agosto 2008 at 11:52

  232. credo che chiara parli di qualcosa di cui ho parlato prima anch’io. e mi piace ciò che dice.
    Credo invece che matteo tu non abbia colto davvero ciò che intendevo..
    un abbraccio
    salvatore della capa

    anonimo

    29 agosto 2008 at 12:11

  233. Io una idea l’avrei, maturata dalle letture di tutti i post e dall’esperienza maturata (e che verrà) qui in Svizzera.

    Lo spunto arriva dal sito http://WWW.CULTURACTIF.CH curato in maniera MAGISTRALE praticamente da 3 persone: Francesco Biamonte, Yari Bernasconi e Pierre Lepori. Ovviamente ci sono altre teste dietro, ma principalemente sono loro 3 che portano avanti da anni e anni un sito che in versione on-line arriva a 250.000 visite mese (addetti ai lavori e non) e che offre anche un Annuario, 1 volta l’anno, con un riassunto del panorama letterario elvetico.
    Di base il sito è un database della produzione letteraria svizzera ma, quello che mi interessa è questo:

    1 uscita mensile on-line che comprende:
    – newsletter mandata a tutti gli “abbonati” (ovvero gli indirizzi mail contenuti nel database) col riassunto di quanto offerto nel mese.

    – 6 presentazione di libri editi (che può essere: una BREVE lettura critica e intervista all’autore che si spiega – un BREVE sunto del contenuto libro + intervista all’autore che si spiega – )

    – 1 invitato del mese (scrittore di prosa, poeta, giornalista, operatore di cultura) che si spiega in una intervista.

    – 1 sezione inediti: uno scrittore di prosa o un poeta offre uno stralcio di inediti.

    Ogni articolo è assolutamente super partes.
    Le recensioni possono anche essere di autori emergenti, basta che il libro valga qualcosa.
    NON vengono fatte interviste-recensioni per amicizia.
    NON vengono fatte marchette.
    NON vengono pubblicati propri testi per autocelebrarsi.
    Se un testo dei curatori del sito viene proposto in lettura, è perché davvero merita attenzione (un esempio: l’ultimo libro edito da Casagrande e scritto da Pierre Lepori sul Teatro nella Svizzera italiana).

    Ora immaginiamo qualcosa di simile in Italia:
    – si crea una testa che andrà registrata in tribunale. Un nome? CULTATTIVA (e ci gemelliamo con quello Svizzero, avendo entrambi rimandi reciproci)
    – L’impianto del sito web si può tranquillamente far realizzare da chi ha creato quello svizzero.
    – Si chiedono i fondi e si scassa il cazzo fino all’esaurimento finchè lo Stato non caccia il grano Le testate giornalistiche in Italia possono fruire di sovvenzioni statali. Usufruiamone, seriamente e con costrutto, con un progetto possente e non alla “volemose bbene” con qualcosa di arrangiato.
    – Si può anche tentare un autofinanziamento.
    – Costituzione di un organo direttivo unico (qui si litigherà sul chi è chi e perché, facendo fallire il progetto, ovviamente) che vedrà:
    – 1 rappresentante per ogni regione d’Italia più un direttivo per ogni rappresentante di regione a piacere. Sarà quest’ultimo a decidere. Gli articoli vengono offerti a firma di tutto il gruppo, con eventualmente la specifica che tale intervista è fatta da tizio o caio)
    – In caso di autofinanziamento, ogni rappresentante di regione provvederà a versare la quota per l’apertura del sito, cercando altresì di avere finanziamenti da parte della regione di appartenenza ( in fin dei conti si promuove anche la cultura della propria regione)
    – Ogni regione offre 1 recensione di libro x mese. 1 autore con testi inediti DI QUALITA’.
    Per entrambe le scelte sarà direttamente responsabile. Se offre merda, saranno secchiate di merda che gli verranno ritornate perché ci si gioca nome e credibilità.
    – Entrambe le offerte saranno sia di Autori noti che di emergenti. Se viene recensito il libro di un Autore noto, gli inediti saranno di un emergente e viceversa.
    – Se non si ha materiale da pubblicare ci si astiene. Non si riempiono le pagine per presenzialismo.
    – Non è necessario che i rappresentatnti di regione lavorino solo sul proprio territorio. Possono interessarsi dell’operato di altre regioni.
    – Si può anche ipotizzare che gli scritti critici (1 al mese) siano a firma di Grandi Autori. Scasseremo quindi le palle perché la critica si svegli e sul serio, lavorando sul prodotto e non per tornaconto personale o per sostenere il proprio editore.
    – Forte rapporto con la stampa: il rappresentate di regione provvederà a tenere i rapporti con la stampa locale della propria regione. Scassare il cazzo. Scassare il cazzo a manetta. Esiste un organo di informazione culturale e va fatto marciare. Si martellano i giornalisti finchè non si ottiene spazio nella pagina cultura, nell’inserto culturale, nel trafiletto in fondo e invisibile: basta avere lo spazio. E la cronaca locale, alla fine, lo spazio lo molla, anche perché un trafiletto bello e pronto e da noi offerto risparmi lavoro al giornalista fancazzista che copia e incolla. Sempre che quanto viene offerto sia di qualità. Ci devono citare, riprendere, va bene anche se ci copiano gratis: basta che lo facciano.
    – 1 volta all’anno, si lavorerà anche per pubblicare 1 annuario con un sunto della produzione dell’anno preso in questione. Praticamente come fa L’ALMANACCO DELLO SPECCHIO ma fatto in maniera tale da essere serio e non una smaccata e vergognosa marchetta (e qui vi invito a leggere su CULTURACTIF quanto è il progetto VICEVERSA). – Per inciso; L’almanacco, per come è concepito e diretto è una vergognosa marchetta. che fa male alla poesia Se Mondadori gradisce avere un organo d’informazione e pubblicizzazione delle proprie edizioni, che crei un Pamphlet gratuito, non qualcosa che pretende di essere una rivista on un annuario. – il commento di cui sopra mi costerà caro ma che qualcuno parli chiaro e pubblicamente è anche ora.
    – L’edizione dell’annuario CULTURATTIVA sarà edito da un editore serio e che abbia distribuzione. Non le edizioni fatte in casa col ciclostile, non l’editore che non ha neanche un sito web proprio. Base di partenza sono 1000 copie tirate. Nel caso si procede alla ristampa.
    – Ogni anno il rappresentante di regione provvederà a uno scritto BREVE che riassume la tendenza della propria regione, che offra un BREVE stalcio di inediti di un autore grosso della propria regione ed altrettanti di un emergente valido. Anche qui: onestà morale e nessuna marchetta, favoritismo, do ut des.
    – Chi si occupa di festival deve essere coinvolto. Che ogni benedetto festival di questo paese ospiti una presentazione della rivista in cui si spiega ciò che stiamo facendo. Chi ha contatti li usi. Chi non li ha li cerchi.
    – Tempo di lavoro: almeno 3 anni perché la cosa decolli e si faccia conoscere. Il primo anno in perdita, il secondo probabilmente in pari, il terzo forse in ascesa. Dal 5 in poi, se c’è una linea chiara di lavoro e una continuità seria, la testata sarà definitivamente esistente.
    – Se tutti credono nello stesso progetto con onestà, ci può anche riuscire a portare avanti qualcosa, questa benedetta poesia per cui viviamo. Se creiamo un mastodonte, nell’occhio di qualcuno si finirà, no?
    РTutto quanto espresso sopra ̬ soggetto sia a cambiamento che a miglioria.

    Cosa ne pensate?

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    29 agosto 2008 at 14:04

  234. in testa articolo volevo scrivere
    CULTURATTIVA

    FA

    anonimo

    29 agosto 2008 at 14:07

  235. L’idea è interessante, ma nel contesto italiano oserei definirla utopica.

    Veramente in Italia si può creare un qualcosa che prescinda da:

    1) protagonismo
    2) autocelebrazionismo
    3) clientelismo
    4) inquinamenti politici

    ???

    Alessandro Canzian

    anonimo

    29 agosto 2008 at 16:36

  236. Io sono dell’idea Alessandro che credere che qualcosa sia possibile, di buono, in Italia, è certamente più produttivo e stimolante che pensare l’opposto. Credo anche che come esseri umani, proprio oggi, dobbiamo ricominciare, come lo faranno quelli che verranno, ricominciare sempre a volere un mondo migliore – non credo che la poesia possa esistere senza questo proposito di utopia.
    L’affermazione di Salvatore sulle statistiche dei blog sono errate, con questo non credo non ci siano problemi da risolvere, come abbiamo ampiamente dibattuto al blogmeeting a Monfalcone e in altre occasioni un anno fa e più (i cambiamenti e i progetti non si fanno dall’oggi al domani, ma bisogna tenere a mente ciò che di positivo è emerso nei dibattiti, nelle manifestazioni, nelle occasioni di incontro).

    Christian

    ps: Matteo, perché l’antologia di liberinversi ha fatto “casino”? Forse mi sono person delle polemiche, in tal caso dammi dei link:-)

    anonimo

    29 agosto 2008 at 22:40

  237. caro alessandro,
    va bene, potresti anche avere ragione, ma perchè essere così pessimisti?
    qui stiamo (state) facendo qualcosa di eccellente a livello di discussione sul futuro della poesia. il numero di post è emblematico.
    e poi cosa hanno di più gli svizzeri rispetto a noi italici? l’orologio a cucù? (scusate l’ironia, ma era dovuta! tutto il rispetto alla svizzera. probabilmente ci capiscono più di noi).
    se vogliamo un futuro positivo per la poesia, dobbiamo metterci la nostra onestà intellettuale a garanzia della buona riuscita dell’operazione. credo che almeno potremmo provarci.
    forse un po’ di sana democrazia in questo potremmo anche mettercela!
    il problema è che rispetto alla svizzera siamo tanti di più. forse delle sezioni regionali autonome (o provinciali?) potrebbero agire indipendentemente le une dalle altre, poi il tempo darà ragione a quelle che avranno lavorato più onestamente.
    così si dirà “gli autori proposti dal veneto (esempio a caso) sono davvero validi” oppure “il friuli (altro esempio a caso) propone sempre gli stessi”… i commenti ne decreteranno il successo.
    simone zanin

    lb1977

    30 agosto 2008 at 02:57

  238. ovviamente intendo in particolare per la parte web, le regioni (anche macroregioni) autonome.
    s.z.

    lb1977

    30 agosto 2008 at 08:20

  239. Si, ammetto d’essere affetto da un pessimismo cronico che mi pone molto spesso dalla parte del torto, o più semplicemente che la mia visione è molto più limitata rispetto a quella di Christian e molto meno fiduciosa di quella di Simone. Però direi che una cosa sono i blog, una cosa è il progetto proposto da Fabiano. Con il quale condivido la visione dell'”Almanacco dello specchio” e pure, forse difettosamente, la generalizzo.

    Certo gli eventi regionali, provinciali, spesso hanno un impatto qualitativo notevole e sono interessanti. Ma un progetto come quello di Fabiano richiede un’onestà intellettuale che mi viene, forse per mia mancanza, difficile da credere nell’essere umano.

    Sarà che sono troppo pessimista io, e che in questo discorso, come in tanti altri, non ho abbastanza argomenti ed esperienza per credere in qualcosa.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    30 agosto 2008 at 10:26

  240. ma senza onesta’ intellettuale come e’ possibile allora scrivere poesia?
    sono sicuro, certo, che ci sono persone-autori capaci di onesta’ totale e senza questo presupposto, decade praticamente tutto il discorso qui avanzato.
    senza onesta’, parliamoci chiaro, che discorso regge? Di cosa vogliamo allora parlare?
    senza onesta’ cio che rimane e’ aria fritta.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    30 agosto 2008 at 12:18

  241. Ora estremizzo un poco…non saltatemi addosso..

    ma in fondo gran parte della poesia odierna non è aria fritta?

    A parte i Poeti dello Specchio, leggiamo Nuovi Argomenti.

    Un pò di perplessità forse forse è lecita.

    Alessandro Canzian

    anonimo

    30 agosto 2008 at 12:26

  242. E’ appunto per non doversi piu fermare a NA e Lo Specchio che lancio questa idea/progetto. Vogliamo scardinare i cancelli che non ci portano da nessuna parte?
    Avanti con le tenaglie.
    Allora ecco alcuni nomi lanciati random, totale brainstorming….

    Emilia e Romagna:
    Matteo Fantuzzi

    Toscana:
    Francesca Matteoni

    Veneto:
    Stefano Guglielmin

    Lombardia:
    Sebastiano Aglieco

    Piemonte:
    Massimo Orgiazzi

    Marche:
    Massimo Gezzi
    (o Davide Nota)

    Friuli:
    Vincenzo Della Mea
    o Christian Sinicco

    Liguria:
    Massimo Sannelli

    Umbria:
    Enrico Cerquiglini

    Lazio:
    Giorgio Linguaglossa

    Campania:
    Luigi Metropoli
    o Ciro Vitiello

    Puglia:
    Michelangelo Zizzi
    o Ilaria Secli

    Basilicata

    Sicilia

    Sardegna

    Molise

    Abruzzo

    Calabria:
    Alfredo Panetta

    butto il sasso e non nascondo la mano.
    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    30 agosto 2008 at 15:43

  243. era ora…
    è così che vi voglio.
    io faccio la tessera n° uno per il lazio e sto in coda…
    che insieme alla testa servono sempre le mani

    vaan60

    30 agosto 2008 at 15:46

  244. Bella lista bei nomi (poche donne ma quelle coprono le isole , saltano fuori) Fabiano.

    Ma: l’occasione Liberinversi, credo forse il solo blog collettivo conosciuto che abbia portato avanti un progetto così ambizioso e, a mio vedere, in buona parte riuscito, non facciamocela sfuggire.

    La possibilità di una dimensione critica che utilizzi questo nuovo mezzo-rete deve imparare dalle discrepanze e dalle crisi, e forse anche dalla temuta inflazione che il mezzo sembra produrre. A me sembra ad esempio che, tra le altre cose, si sia verificata nell’ambito redazionale di LV una sorta di “divergenza di vedute” rispetto alla considerazione di qualità dei testi proposti.

    Un ambito discusso, e con passione, mi pareva essere la “questione metrica”. Dov’è la musica nuova di quella che potrebbe essere la nuova poesia? Esiste? Ci sono orecchie adatte per lei, assomiglia come molta letteratura al nuovo “parlato”? Usa lingue nuove e ignorate, e usa i dilaletti?

    Era solo un accenno. Mi chiedo da dove nasca la critica se non da un confronto forte su cose che ci importano molto.

    molesini

    31 agosto 2008 at 00:36

  245. Caro Fabiano, tra me e Della Mea (notevole per i molti contributi che ha dato riguardo l’analisi dell’attuale sfera internet), credo ci sia una radicale distanza sulle scelte, di conseguenza meglio che scegli lui, così io posso polemizzare semmai:-)
    Christian

    anonimo

    31 agosto 2008 at 01:50

  246. Fabiano, ti rispondo con più calma rispetto l’invito…prima non potevo. Il modello che espliciti è decisamente, peraltro non servirebbe ci fossero tante questioni se le attuali riviste fungessero da vero collettore delle esperienze di poesia. E penso anch’io ci voglia una nuova rivista, attrattiva e seria. Inoltre è corretto pensare di affrontare l’aspetto redazione regione per regione. Tuttavia per far funzionare una redazione ci vogliono delle figure indispensabili, che dettano i ritmi e che si fanno carico dell’organizzazione e della linea: il dir. responsabile, il dir. editoriale e il caporedattore, prevedendo anche responsabili per area tematiche precise di discussione, che si possono scegliere da questioni critiche rilevanti. Credo forse che questo punto sia di fondamentale importanza.

    anonimo

    31 agosto 2008 at 05:44

  247. perfettamente in accordo, una organizzazione che preveda figure che tengano insieme e saldino i punti “periferici” (perifferici per modo di dire, saranno assolutamente centralim saranno tanti centri che cooperano) è necessaria, indispensabilem pur rispettando la libertà di azione di quei punti di osservazione regionale.

    Per totale par condicio, si puo persino ipotizzare, pur cosciente dei tempi lunghissimi che verrebbero a crearsi, di “eleggere” le cariche direttive (che brutta parola) che giustamente sottolinei, all’interno dei rappresentanti regionali già in forza.
    L’alternanza vedrebbe cosi -oltre ad una coerenza data dall’operare assieme- anche piu punti di vista che non sono mai una pecca bensi unn’arricchimento, non una staticità fossile ma una evoluzione.
    E uno scambio continuo.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    31 agosto 2008 at 07:37

  248. ora faccio un poco l’avvocato del diavolo, anche perché con fabiano che è 1 amico al di là della poesia posso permetterlo.
    il primo problema è chi “scassa il cazzo fino all’esaurimento finchè lo Stato non caccia il grano Le testate giornalistiche in Italia possono fruire di sovvenzioni statali.” per lo più tranne poche testate solo quelle politiche usufruiscono di sovvenzioni, e usufruire di sovvenzioni in Italia sappiamo bene cosa può significare… mica siamo svizzeri 😉
    comunque le riviste di poesia non credo possano farlo, per legge, e addirittura diverse sono andate in braghe di tela quando è venuta fuori la storia dell’aumento delle spese postali per la spedizione dei libri. comunque: chi si becca la terribile parte burocratica e amministrativa ?
    la questione regionale. perchè bisogna dare scadenze specifiche ? lungi da me dire che tutti i buoni poeti sono a milano. ma anche così si rischia l’omologazione a mio avviso, per forza il piemonte “pesa” quanto il “molise” che pesa quanto la “toscana” ?
    e infine la domanda più stronza. ma scusate alla fine della fiera quello che viene fuori e che ci vuole un’altra rivista ? ma di riviste ce ne sono già 1 quintale. non siamo in grado di utilizzare altri strumenti ? e poi mi ricordo il dibattito su absolutepoetry dove si doveva fare la rivista, e poi alla fine s’è fatta la rivista ?
    ma torniamo alla domanda di base: perché la gente che non compra le riviste dovrebbe comprare “questa” rivista che rivista rimane ? a me guarda il plot piacerebbe anche, ma piuttosto vorrei che fosse una cosa radiofonica, o televisiva, anche tante piccole radio locali. anche solo in rete, o in mp3 o che cazzo ne so. ma 1 altra rivista, che ne stanno per uscire ancora adesso… insomma se nuovi argomenti fa 1000 copie a trimestre, cosa ci facciamo con ‘sti numeri ? a quel punto teniamoci i blog che almeno aprano anche ai “non soliti”.

    lo so che so’ stronzo, ma voglio ragionare su ogni questione, anche la più spinosa. christian guardati il post di liberinversi in cui si annunciavano i nomi della loro antologia. c’è chi si è preso del talebano.

    matteofantuzzi

    31 agosto 2008 at 08:32

  249. Matteo, la rivista si può anche fare, ma non in tempi rapidi: i motivi sono strettamente organizzativi ed io non mi prendo alcun impegno finché non c’è una delega totale su tutti gli aspetti che riguardano l’organizzazione. Non sarei uscito con un articolo senza una proposta dietro, che deve essere discussa approfonditamente con un editore, in tutte le sue parti, anche quelle economiche. Riguardo gli articoli su ap, mi piaceva sondare il terreno, cercando di capire quanta era la voglia e quanti collaborerebbero, nonché aspetti problematici e ideologici correlati. Sui progetti mi servo sempre dei feedback, e credo di essere molto bravo a farlo, o molto stupido per chi pensa sia solo un gioco. Lo è, anche, ma non solo. Riguardo i fondi: parlo per la mia regione che è a statuto speciale: c’è una legge sull’editoria, per cui le riviste iscritte presso un tribunale possono avere accesso ai fondi regionali. Il contributo minimo è di 2500 euro a vedere le tabelle. Per accedere al finanziamento bisogna essere iscritti e uscire regolarmente da almeno un anno. Non so cosa accada nelle altre regioni. Ritengo però abbastanza improbabile che il meccanismo di Fabiano funzioni. Io per collaborare con una persona devo stimarla, conoscerla profondamente nell’attività, e fidarmi di quello che afferma una volta presi degli impegni. Quando parlavo di redazione, parlavo di una cosa ben definita e che dirige non democraticamente (è chiaro che gli articoli non si censurano, ma io quando volevo fare un’intervista per Fucine chiedevo al mio direttore editoriale se poteva interessare, ed ero caporedattore, non so se mi spiego), altrimenti tutte le collaborazioni non fanno altro che creare un marasma senza capo né coda. La questione delle scelte su base regionale è un giusto proposito, ma è una ricerca che la redazione (ovvero un gruppo ristretto di responsabili per ogni area tematica) si propone di fare, stimolando canali molteplici, e facendo lavorare i collaboratori su alcuni temi specifici. Anche i collaboratori possono proporre, in questo c’è massima libertà, ma la libertà deve poter aspettare anche il rifiuto. Dove tu vedi libertà o democraticità Fabiano, io vedo invece lavoro, e tornando al discorso che facevo con Matteo, il lavoro necessita cash per i responsabili, anche se minimo, e ci sono aspetti molto seri da valutare (non sono le mille copie di Nuovi Argomenti a spaventarmi, mi spaventa non avere dei collaboratori qualificati in grado di attivare canali di abbonamento sul territorio, aspetto non marginale sul feedback degli articoli su ap dell’anno scorso).
    I progetti non si realizzano dall’oggi al domani; i progetti devono stare in piedi, e bisogna comprendere come far collaborare le persone, e questo non è immediato. Non fidarti della velocità di internet che ti porta a non pensare con calma, un passo alla volta, alle cose da fare (ovvero dove tu vedi una discussione che ha scatenato critiche nei miei confronti – molti ancora stanno apponendo la firma però su quel post -, io vedo indicazioni). Internet è uno strumento, molto potente: ogni tanto bisognerebbe che ce ne rendessimo conto, e che le persone predisponessero la loro attività studiando molto bene le possibilità di ricezione e di gestione delle informazioni. Io lo utilizzo così, vedi il questionario sul blogmeeting, che di per sé fornisce già numerose informazioni che ognuno dovrebbe elaborare, per migliorare la sua proposta. E così via…
    Christian

    anonimo

    31 agosto 2008 at 11:09

  250. ragazzi, vi dico subito che in Campania se non si è amici degli amici i soldi non li prendi nemmeno se ti prostituisci.
    tanto per informare

    vocativo

    anonimo

    31 agosto 2008 at 14:21

  251. @ Matteo:
    non sarebbe una rivista, ma un portale web che sfocia 1 volta l’anno in un Annuario stampato.
    Il punto è fare un portale di informazione massima.
    Se Nuovi Argomenti si pubblicizzasse come deve e fosse disponibile in tutte le librerie, magari venderebbe di più. Se adottasse la formula web (pur’anche a pagamento, come per chi legge il Corriere della Sera o La Nazione o L’Eco del Tirreno on-line) raggiungerebbe ben più di quelle 1000 persone che acquistano la copia.

    Ovviamente ci sono regioni con un numero di poeti più cospicuo di altre, ma il lavoro non fermerebbe al solo “regionalismo”. Nella sezione inediti si posso postare i poeti della propria regione, nella sezione editi (è un esempio) un sunto di un libro + intervista all’autore, un libro che si è particolarmente distinto e può essere sia di un autore “di casa propria” che d’altrove.
    Come accade su CulturActif, viene solo presentato il libro. Nessuna nota critica quindi, se non quanto esprime l’autore in intervista. Al massimo si può inserire il testo di una recensione apparsa su altre testate (basta che siano autorevoli) ma questo ultimo punto è facoltativo.

    Per quanto concerne spazi radiofonici, tv, web-tv o mp3.

    – I PRIMI DUE li vedo decisamente un punto di arrivo ottimale, ma realizzo difficoltà serie. Studiabile un format, ma ho l’idea che gli spazi siano oltre che strapieni anche gerarchizzati e sottoposti a scelte politiche di chi ci lavora. Ci sarebbe da battere le radio locali certamente, ma anche qui siamo al frazionamento. E chi ascolta radio 3iii di Mendrisio (per dire) stà a Mendrisio e zona non a Piacenza, non a Cesena. Indi il messaggio è cosi localizzato da restare un fenomeno locale.
    РWEB-TV Рvedere http://www.booksweb.tv ̬ ipotizzabile un format (serio e depositato) da proporgli.
    – MP3 – c’era il portale ENNE (stupendo !) che ha chiuso. In diversi portali sono disponibili Mp3 di letture, conferenze, spesso con audio appena passabile se non risibile. Vagliabile ma cercando di capire come fare (bene) e chi è colui che ne usufruisce.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    31 agosto 2008 at 14:24

  252. @ Vocativo:
    come probabilmente in ogni dove d’Italia…

    @ Christian
    Concordo.
    SE anche il portale venisse partorito e portato in vita, ci vorrebbe moltissimo tempo anche solo per dargli una forma concreta, un dispendio di tempo immane.
    Però è fattibile (solo 1 creò tutto in 6 giorni e poi si riposò) e cosi vale anche per la scelta di un possbile editore che si faccia carico dell’Annuario.
    Una programmazione coesa e seria può però arrivare a risolvere questi problemi, come pure preventivare dallo START di andare in rete dopo 12 – 24 mesi con qualcosa che sia e non qualcosa da aggiustare strada facendo con un colpo al cerchio ed uno alla botte.

    Sulla questione della collaborazione sorgono – ovviamente e giustamente – questioni spinose.
    Ovvio che ognuno abbia una propria linea, una propria testa/pensiero e un proprio modus operandi.
    Ovvio quindi che la moderazione degli impulsi vada regolamentata da una redazione effettiva come ben sottolinei, Christian, e come é prassi in ogni testata seria.
    Ma anche qui, ci si può lavorare.

    Ovvio infine che la mole di lavoro sarà possente se si desidera mantenere una linea, una serietà.
    Il punto qui è cercare delle idee, le discussioni sono tese a questo, e senza la capacità di mettersi in gioco E RESTARCI (dentro un progetto, dico) allora non si va da nessuna parte. Allora continuiamo a fare cosine mordi e fuggi.

    Mettere in vita un portale su internet non prevede per me la bellezza leggera prevista dalla volatilità della rete, ma certamente un uso corretto del mezzo internet (che come dici, è un mezzo potente).
    Un punto pro è decisamente l’abbattimento dei costi rispetto ad una rivista, ed al contempo è un punto contro: dove reperire i fondi?
    Ragionando a lungo termine, anche con fondazioni o privati, è possibile che una soluzione la si trovi. La certezz ala si avrà solo quando sulla lista avremo tutte le casistiche depennate ed una fila di NO GRAZIE lunga come le Pagine Gialle. Solo allora si potrà dire che non è fattibile.

    Ma sulla possibilità di usare seriamente la rete per creare un molosso che diventi un riferimento e convogli l’attenzione, io ci rifletto, mi ci danno. E per me resta uno dei canali attuali di maggiore fruibilità e penetrazione.

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    31 agosto 2008 at 14:42

  253. ciao a tutti,
    riprendo la discussione direttamente dalla questione (non da poco 😉 posta da matteo. nei commenti precedenti ci sono talmente tanti spunti che non saprei proprio come inserirmi. dunque riparto dalla “diffusione della buona poesia” e riparto per dire che l’impressione che ho è che ci siano alcuni fraintendimenti. o, meglio, che si cerchi di applicare ad una realtà nuova dei parametri precedenti.
    la realtà nuova, a quanto mi sembra, è un contesto in cui i fenomeni più vivi, per quel che riguarda la produzione letteraria, sono la massiva produzione di contenuti in rete e lo sviluppo, altrettando impressionante, di comunità on line. il discorso sarebbe lunghissimo (e in verità non penso di poterlo fare nella sua interezza 😉 ma mi sembra che la “diffusione di buona poesia” richieda, da una parte, una struttura di circolazione di tipo generalista, ovvero un pubblico più o meno omogeneo ed un’industria culturale che lo segmenti con le sue proproste e, dall’altra parte, un canone definito in cui sia chiaro non solo cosa è “buono” ma anche cosa sia “poesia” (o letteratura, in genere). diciamo che questa diffusione richiede uno scenario di tipo “moderno”, con un’industria culturale, i mediatori, gli autori, il pubblico e così via.
    ora, il contesto che illustravo mi sembra operare contro la presenza di questi elementi.
    la produzione massiva di per sé fa saltare la nozione di canone. per prima cosa perché il canone si basa sulla rarefazione mentre la produzione a cui assistiamo nasce proprio dall’indebolimento di vari meccanismi di rarefazione. in secondo luogo, e da un punto di vista pratico, per così dire, anche solo per indicare le linee generali di questo canone bisognerebbe avere una visione generale della produzione in corso che non mi sembra, stando ai numeri, possibile. ancora, perché questa proliferazione si basa su una specie di autocrazia della proposta, che si legittima semplicemente perché è stata fatta e non perché è riconosciuta nel canone (i grandi portali di contenuti – youtube, per esempio – non funzionano su base redazionale, ma ogni contenuto è accettato perché è stato inserito).
    inoltre, questa produzione mi sembra non distinguere in modo netto tra scrittura letteraria ed altri tipi di scritture (quanti sono i blog di che mischiano confessioni private, narrazioni, scrittura lirica, informazione, commento politico, etc.?) – senza per altro mettere una distinzione chiara nemmeno tra la produzione verbale e quella iconica o musicale, per dire. per di più, non riesce a distinguere in modo netto neppure i ruoli di autore, fruitore, mediatore. infine, in questa produzione ci sono continue sovrapposizioni linguistiche e di aree culturali, dato che lo spazio della rete è transnazionale e di default, per così dire, fuori dai canoni nazionali.
    le comunità, poi, (per esempio quella dei commenatori di un blog 😉 si costruiscono sì attorno a quelli che potremmo definire dei “canoni tribali”, comunitari appunto, ma questi non hanno – strutturalmente – la possibilità di diventare egemoni al di fuori della comunità stessa e, quindi, non possono diventare dei veri canoni. a ben guardare, infatti, prevedono necessariamente uno spazio di contiguità (più o meno permeabile) con altri “epos comunitari”. inoltre le comunità on line sono essenzialmente schizofreniche, nel senso che i loro appartenti continuano a passare da una comunità all’altra o fanno parte di più comunità contemporaneamente. infine, queste stesse comunità sono l’opposto del pubblico, generalista o segmentato che sia, a cui far giungere un prodotto letterario più o meno condiviso, essendo piuttosto una specie di mercato fatto solo di “nicchie”.

    gherardo bortolotti

    anonimo

    31 agosto 2008 at 14:49

  254. L’analisi di Gherardo è corretta, e in effetti il sistema che internet genera a livello di comunicazione (e comunità) è attualmente questo. Mi ponevo in un’ottica progettuale perché è l’unico modo per generare sì contenuti, e per vederli realizzati anche in altri contesti non esplicitamente quelli inerenti al web. E’ proprio questo passaggio che è complicato, essendo un passaggio economico (vedi la pubblicazione di un libro, come può essere quello di critica di Aglieco, che parte dalla sua esperienza riversata sul blog; oppure la mia inchiesta per il blogmeeting su ap che poi si è realizzata in un dibattito; oppure qualsiasi evento che nasce operativamente in questo ambito e sfocia in un altro). Per tale ragione chi si fissa solo su un ambito, pensando che solo in questo la poesia interagisca con un fruitore, sbaglia di grosso.
    Riguardo la critica, come hai sottolineato, il problema è come riorganizzare il suo intervento nel marasma. Sono convinto -forse mi sbaglierò – che sia una questione di metodo con cui l’informazione viene ricevuta, elaborata, trasmessa, nel senso che questi tre passaggi dovrebbero essere meditati e influenzare la metodologia del critico. Faccio il mio esempio: mi interessa il rapporto tra poesia-immagine-immaginario-immaginazione (come mi interessano altri argomenti) e scelgo di affrontarlo allestendo metabolgia.wordpress.com; inizio a raccogliere materiale su un tema che è vasto, in modo molto libero (chi vuole può collaborare, basta che mi spedisce il contributo, poi io vaglio etc); ospitati una ventina di interventi, chiederò a Tonino (viste le sue qualità nel sezionare i discorsi) di operare una selezione di parti che lui considera interessanti. In questo lavoro mi ci metterò anch’io, quindi appronterò un questionario, e lo spedirò ad altrettante persone, come sempre in un’ottica trasversale; accoglierò nuovamente le risposte; infine riediterò tutto scrivendo una prefazione, chiedendo ad altre persone di commentare il materiale, e darò vita a una lettera elettronica, o qualcosa di altro da studiare. Credo che così facendo si faccia una buona informazione, ottimizzando le risorse, creando piano tutto il contesto collaborativo, che necessita molta fiducia tra tutte le parti, che non significa pensarla allo stesso modo, ma cercare dei mezzi per far riflettere, e riflettere.
    Siamo ancora agli albori di una tale operatività, e non ci si è organizzati in senso operativo, se non in piccolissimi gruppi solidali, però io credo in un’apertura di questo genere (che abbia delle motivazioni e costruisca qualcosa) e so che i gruppi non hanno alcuna possibilità di imporre una propria ideologia, o uno sfondo ideologico fondato su categorie definite, come in passato: il giorno stesso di una proposta simile, per un motivo o per un altro si verrebbe bombardati, non potendo nemmeno rispondere alle critiche se volete solo per la “strategia” (se volete modalità) scelta (non è detto che sia una scelta dietro, mancando ancora la consapevolezza dei propri mezzi).
    Quindi il canone, oggi, è sinonimo di buona operatività, di buona organizzazione.
    Christian

    anonimo

    1 settembre 2008 at 00:12

  255. Direi che gli interventi di Gherardo e di Christian possano completarsi a vicenda, uno descrivendo l’aspetto teorico dell’esplosione del canone, l’altro prospettando una modalità di ricomposizione.
    Sul primo intervento vorrei solo contraddire l’idea che il riconoscimento ‘tribale’ non possa imporsi al di fuori del suo cerchio. Sono invece d’accordo con Christian che siamo solo all’inizio di una nuova operatività. In questo contesto possiamo intravedere la possibilità di nuovi spazi, che anche se nati da un’insieme eterogeneo e disgregato di forze (es. i network di blog) possano domani stabilizzarsi in una forma riconoscibile, univoca, edificabile, all’interno della quale possano riemergere ruoli canonici: autori, lettori, critici.

    anonimo

    2 settembre 2008 at 11:57

  256. lo so che adesso la discussione verte su punti più importanti
    ma, giusto per riprendere la linea che sostenevo a suo tempo sulla poesia oggetto, da affiancare poi, a quanto scaturirà da questa discussione, date un’occhiatina a questa iniziativa…sulla visibilità della poesia

    http://lebellebandiere.splinder.com/

    …gli adesivi da mettere sui muri…

    un saluto .tonino

    vaan60

    3 settembre 2008 at 10:43

  257. mmm… capisco il punto sia di filippo che di christian e potrei anche concordare sul fatto che un procedimento del tipo proposto da christian sia uno di quelli da usare per tentare letture adeguate alla situazione. tuttavia, vorrei ricordare che il canone si basa essenzialmente sulla rarefazione e sui suoi meccanismi (legittimità dell’autore, criteri formali, circuiti specifici, etc.). invece la novità della situazione in cui ci troviamo è proprio la “messa in folle” di questi meccanismi. per la sua struttura, il medium “rete” elimina qualunque meccanismo di rarefazione e, anzi, ha bisogno di continua produzione di contenuti da parte dei suoi stessi utenti.
    sono d’accordo sul fatto che siamo solo all’inizio e non è possibile sapere come andrà a finire. però questo aspetto credo proprio che continuerà ad avere un peso significativo – anche al di là della rete, dato che la rete stessa non si trova in un mondo separato ma anzi è sempre più pervasiva.

    gherardo

    anonimo

    3 settembre 2008 at 11:21

  258. Credo siano due modi di vedere più che possibili, sia il tuo che il mio, Gherardo, proprio perché entrambi co-esistono. Per me comunque un autore, non può fare finta di niente, e prendersi delle responsabilità in merito all’ambiente, ma questo vale per me. C’è in ogni caso, indipendentemente dai ruoli che ci si attribuisce, una presa di responsabilità e un tentativo, non poi diverso da altri tentativi più o meno complessi (la stessa ricerca di gammm è un progetto; ma i comportamenti di altri blogger, che ho già citato, mimetizzano il mio discorso, forse con meno strumenti operativi, ma con una rispettabilissima impronta qualitativa). Non devi però sottovalutare l’aspetto vetrina, e secondo me bisognerebbe ragionare spesso in merito: http://www.fucine.com/archivio/fm00/ziberna.htm : esistono dei criteri che stabiliscono la bontà o meno di un progetto, e (se ben pensi) molti di noi si comportano proprio da copyrighter puntando ad un target specifico di utenti, molte volte, o addetti solidali (come detto prima): non è spesso un buon commercio, però è un meccanismo della differenziazione, anche degli ambiti (e dei blog, e degli autori, etc). Ci sono però altri effetti sociali, non trascurabili: tutto è alla luce del sole, parlo dell’attività di un singolo blogger, e le attribuzioni di bontà o meno del lavoro sono spontanee.
    Infine la differenziazione non costituisce di per sé un criterio di moltiplicazione dell’informazione, sia da un punto quantitativo che qualitativo: per moltiplicare l’informazione ci sono due aspetti da considerare: 1. i perché dell’operazione, le motivazioni che spingono a produrre informazione rispetto ad un tema, quindi la visione e parte della gestione progettuale, quella legata alla sua teoresi, che non può che valutare anche la questione della società (o dell’ambito, o del ramo) in cui si opera; 2. gli aspetti di gestione puramente tecnologici, che per ora necessitano di un po’ di cash e alcune nozioni tecniche.
    Riguardo l’effetto “vetrina”, integro semplicemente in questi discorsi le parole di Ziberna, che scriveva nel 1999 e che di conseguenza non poteva (all’epoca) osservare il fenomeno come lo stiamo osservando noi.
    Riguardo il punto 2, come dicevo, siamo in grado di gestire contenuti con elevata quantità di informazione (video, ad esempio), e saremo sempre più in grado di farlo. Per ciò che concerne il punto 1, internet è in espansione graduale in questo periodo, soprattutto riguardo le utenze “home”: è molto più facile ri-organizzarsi (ovviamente ci vogliono dei tempi per poter dispiegare un’organizzazione utile).
    Christian

    anonimo

    3 settembre 2008 at 12:37

  259. all’inizio del commento son saltate delle lettere “…, deve prendersi delle responsabilità in merito…” Ciao Christian

    anonimo

    3 settembre 2008 at 12:40

  260. booksweb.tv è un ottimo sito, credo un punto di partenza decisamente interessante come mezzo anche se come format dovrebbe essere adattato perchè ad oggi più che altro si vede che lavora sulla narrativa. enne per me è stato un delitto che si sia chiuso. anche io quello che potevo ho fatto. ma dalle cose non ottimali si può sempre imparare e molto.
    a me l’analisi di gherardo piace molto. ma considero davvero da evitare il concetto di “comunità blog”, o meglio di comunità chiusa, che sociologicamente continua a tirarsi dietro le stesse problematiche dei microcircoli cartacei, ma con molta meno qualità. determinati altri media credo davvero allargando la fruizione possibile potrebbero generare quel meccanismo di sobrietà e ricerca delle capacità di cui oggi così tanto sentiamo il bisogno.

    più di attaccare gli stickers sui muri 🙂

    matteofantuzzi

    3 settembre 2008 at 20:09

  261. .e chi dice il contrario 🙂

    vaan60

    3 settembre 2008 at 20:46

  262. ma al post nr.. 261 a livello di proposte in concreto dove siamo, ora?

    Fabiano Alborghetti

    anonimo

    6 settembre 2008 at 16:42

  263. Sonno della ragione
    Nell’inesorabile riflessione
    i soliti sentimenti affogano.
    Chi pone fine a questo mito senza tempo?
    E’ frutto solo di un’errata interpretazione.

    Ed è sempre quell’alternarsi
    di invidie, rancori, sbagli continui.
    Chi pone fine a questo mito senza tempo?
    Quell’ignota natura di vuoto si allarga.

    Una sempre più remota distanza
    nell’effettiva realtà quotidiana.
    Chi pone fine a questo mito senza tempo?
    Il dolore scalpita in una muta profondità.

    Abbandonando ciò che si può trovare
    quello che si cerca da sempre, quell’ignoto di sempre.
    Chi pone fine a questo mito senza tempo?
    Quanto si è in grado di mentire.

    Qualche stella saprà dire cosa fare
    ma ingannerà nella sua triste caduta.
    Chi pone fine a questo mito senza tempo?
    Soltanto chimere nate dal sonno della ragione.

    La solita indifferenza scuote,
    rammentando che non è cambiato nulla.
    Chi pone fine a questo mito senza tempo?
    Ciò che si teme accade in una crudele realtà

    anonimo

    8 settembre 2008 at 10:46

  264. in risposta al commento #262
    riferito ai miei precedenti, a meno che fabiano, non intendesse qualche altro commento …

    per le cose concrete “realizzate”
    aveva accennato qualcosa, christian; #23
    …l’iniziativa sui cartelloni pubblicitari di Milano, durante gli anni 80, sembrava pubblicità invece erano poesie, e ne parlava proprio Antonio Porta in un libro sulla pubblicità…

    per quello che concerne la mia
    “zona”, valle dell’aniene per intenderci; riporto l’iniziativa dell’amministrazione comunale di cervara di roma, un borgo arroccato a 1053 metri ed affacciato a strapiombo sulla valle dell’aniene.
    per secoli rifugio ideale di pittori e poeti, ma soprattutto di scultori, che hanno approfittato della roccia su cui sorge il paese, per creare “il sogno della pietra” …una sorta di monte rushmore all’italiana. in più periodi, poi, fra il 1986 e il 1997, gruppi di artisti si sono dati appuntamento a cervara per lavorare assieme sui massi, mentre in parallelo poeti e pittori riempivano il paese di versi ed opere scrivendo e disegnando sulla pietra stessa o sui muri delle case.

    è più o meno così che io intendo
    la poesia oggetto…un parallelo stretto con le altre arti…e una costanza e presenza sul territorio,
    tutta ancora da realizzare purtroppo

    .per cui attivo, almeno nella mia cittadina, non c’è niente…anche se
    qualcosina si sta muovendo

    .toninovaan

    vaan60

    8 settembre 2008 at 17:58

  265. una proposta concreta potrebbe essere quella di creare dei
    comitati interprovinciali permanenti
    (basterebbe modificare lo statuto di qualche associazione inattiva…ma in cui siamo presenti
    come soci…io ad esempio ne ho una ferma oramai, da diversi anni )

    .creare appunto, come dicevo, questi comitati, con l’intento di rendere attivi …sotto forma di istallazioni in plexiglass…dei luoghi fissi dentro le città, localizzati con il consenso delle amministrazioni comunali, dove preso l’impegno
    aggiorniamo le poesie di mese in mese; per rendere il lavoro, diluito
    nel tempo ( cosicché possiamo operare in varie città) ma modificabile…quindi con la possibilità fondamentale, come dicevo, di aggiornare i testi

    .per dire …nella mia zona potremmo essere attivi (una volta presi i contatti con i comuni) a rieti, a latina, a tivoli

    ecco…rendere visibile la poesia anche in questo modo
    sarebbe giusto
    .ripeto…l’attimo, può avere la sua valenza, dato che la gente in generis è concentrata sull’effimero

    .etc. etc.

    vaan60

    8 settembre 2008 at 19:47

  266. anche qui ci vorrebbero
    almeno un paio d’anni per realizzare la cosa
    .però…perché non provare
    anche in questo campo, 🙂

    d’altronde mica tutti possono realizzarsi, su di un unico progetto,
    io in certi settori non saprei dove mettere le mani…
    ma mantenere un parallelo (inteso come contatto o linea comune da seguire) è auspicabile

    .un saluto a tutti .toninovaan

    vaan60

    8 settembre 2008 at 20:03

  267. Salve amici di penna, riapro le danze io, dopo questa breve fase di soltanto apparente esaurimento ispirativi.

    Se la poesia fosse funzione soltanto del quesito che ci sottopone il buon Fantuzzi (che saluto), cioè:
    “che fare per fare conoscere la buona Poesia?” (ma quale sarebbe poi, io dico?)
    bè forse la poesia stessa, passerebbe anche tempi migliori di quelli nostri attuali.
    Sarà che io amo l’espressione poetica, ma al tempo stesso mi arrovello in una miriade di dubbi e domande solo apparentemente banali, che mi costringono ad una convivenza imbarazzante e controversa.
    Credo che sino a quando la poesia non troverà la strada per chiarirsi con se stessa, inevitabilmente non riuscirà neppure a prescindere dai noti meccanismi auto lesivi. Il poeta, tutti sappiamo che cerca visibilità, ma purtroppo trova solo trappole e balzelli ancora più imponenti di quelli già piuttosto titanici che si erigono innanzi agli scrittori…figuriamoci, è tutto dire! Eppure si dice che l’arte poetica sia ancora viva e anzi pare stia ritrovando una seconda giovinezza, pur tuttavia, di fatto ,questa ancora non emerge?!

    Io (umilmente) spesso mi pongo, una dose piuttosto massiccia di quesiti:
    possibile che la poesia sia così diversa l’una dall’altra,
    che non esistano dettami precisi,
    che consenta un’assoluta libertà sia formale che nei contenuti ma non parimenti in termini di libertà editoriale,
    che sia praticamente impossibile determinarne oggettivamente
    la qualità del prodotto finito? (per rispondere a Matteo con altra domanda)
    E ancora:
    che non riesca a prescindere dalle antipatiche sfere di potere,
    che non decolli mai, se non in termini di tante piccole tracce nascoste,
    che la tendenza sia quella di trovare espressioni sempre più contorte
    e dalla difficile penetrazione popolare,
    oppure
    che debba disgregarsi in piccole caste che non si rapportano mai, per sciocco e sterile antagonismo,
    che continui a conoscere in internet poeti non noti, cui tocca piangersi addosso per le difficoltà nel pubblicare e/o costretti ad autofinanziarsi per “osare l’impossibile” (affermarsi autorevolmente),
    che legga poesie francamente assai puerili ed altre assolutamente incomprensibili per la folle ricerca di alternativo e d’avanguardia dei loro autori, determinando disorientamento sulla concreta evoluzione che contraddistingue la poesia di oggi?

    Voglio spezzare a tal proposito una lancia a favore del condivisibile, ossia di un prodotto fruibile, costruito seguendo gli archetipi della semplicità, pur non rinunciando ognuno dei singoli poeti, alla propria matrice estrosa. E’ per questo che l’altra sera, ho giocato a buttar giù in versi, la mia opinione, o se vogliamo la rivendicazione ad uno stile più sobrio, che sia meno criptico e maggiormente godibile, per tutti.

    Ai poeti Virtuosi

    Domani forse,
    sarà già troppo tardi per capirne il senso

    il gioco è quello astratto, fatto di parole astruse
    che presto esploderanno assieme ai dubbi in mano
    quando i suoni cerebrali taceranno
    per celebrare lo sgomento…

    sì d’accordo, produce stupore il meditato
    così che resto ammaliato pure io ogni qual volta leggo
    di piroette estrose del pensiero
    e acrobazie sinuose nella forma,
    ma poi che resta, se non un’inutile sequenza di sbadigli?

    Mentre il lessico cervellotico innalza intorno a sé barriere suicide
    la semplicità con cura, si spoglia di ogni cosa statuaria

    eppure domina sul più virtuoso piglio
    quello che impallidisce innanzi all’arte parallela
    al lineare, che non conosce esilio.

    Gli spigoli perfetti col tempo vengono smussati
    tanto che l’assurdo acuto risulti infine troppo goffo
    se lascia allo stile snello l’onore della pubblica ribalta
    col quel suo bel profilo fulgido e affilato
    assai più penetrante e più pulito
    di altro costruito sulla gloria

    da un qualsiasi “verso” esso lo si guardi
    ciò che non ha artificio comunque non traspare…
    sarà che non si nasconde dietro a un dito!

    Piero Saguatti

    anonimo

    10 settembre 2008 at 15:11

  268. Dopo una lunga latitanza sono contento che il convegno on line sia ancora attivo. Ho scorso, abbastanza velocemente temo, i vari commenti che ho trovato interessanti anche se ovviamente in gradazioni diverse..
    La buona poesia la si diffonde cercando di reprimere il nostro narcisimo e mettendoci in un atteggiamento d’ascolto nei confronti dei testi. La critica, ma io prefererei parlare di guida per la lettura, non dovrebbe stroncare od applaudire ma selezionare i testi che meritano e dargli spazio. Certamente e’ oggi impossibile ritornare ai discorsi sull’essenza della poesia, semplicemente perche’ essa e’ cio’ che ognuno vuole che sia ( mistero, morbo, infezione, spirito, scoreggia, ecc. ecc.) E’ qui secondo me il peccato originale. In Gran Bretagna la poesia e’ un po’ meno pretenziosa ed ingessata (anche se ci sono delle derive intimistiche mi preoccupano un poco). Non e’ raro per es. scrivere poesie su committenza. Recentemente un amico ha pubblicato una serie di componimenti per il British Film Institute. Bello ed immanente direi. Una concezione immanente della scrittura con la s rigorosamente minuscola. Poesia come linguaggio e non lignaggio o peggio linciaggio.. Un caro abbraccio a matteo
    luca paci

    anonimo

    11 settembre 2008 at 14:40

  269. fine dei commenti. il “libro” open source sarà pronto per fine mese. grazie a tutti. anche perchè gli insulti sono stati davvero pochi.

    poi speriamo bene…

    matteofantuzzi

    13 settembre 2008 at 10:30

  270.  
    Per Sinicco.

    La poesia non deve necessariamente "esplodere". Di bombe e bombaroli nel mondo ce ne sono fin troppi. Erano i futuristi che facevano la poesia da dinamitardi e da incendiari. Roba vecchia.

    "Idealistico" il richiamo alla tradizione? Sfogliati un manuale di filosofia. Non si tratta di idealismo, ma di coscienza storica. Idealistico, romantico nel senso più enfatico, semmai, è pensare all’atto creativo come individualità assoluta e dirompente, che come per magia dovrebbe trasmettersi dal performer al pubblico.

    "Effigiato" è ciò che ha forma, consistenza, coscienza, "fren de l’arte". Ciò che ne è privo si dissolve e disperde nel mare mediatico, senza poter nemmeno sperare (in quanto poesia, cioè discorso inevitabilmente per pochi) di riuscire a soverchiarne le onde indistinte.
     
    Baudelaire? "Je hais le mouvement qui déplace les lignes……"

    anonimo

    21 novembre 2009 at 13:31

  271. Ciao, io provengo da ambienti poetici tout-court nei quali noto  un avvilente esibizionismo e un culturismo della parola che credo distrugga l'umiltà e la forza della poesia. Per questo i miei studi oscillano fra la poesia e il cinema, fra le parole e le immagini, creandomi non pochi tormenti. 
    Credo che i poeti, al di là dei festival e dei centri (nicchie) culturali, debbano scendere dalla loro torre d'avorio e andare nelle scuole.
    Nel mio piccolo, facendo ripetizioni, cerco di stimolare la curiosità dei mie allievi ma è difficile. Non sono i ragazzi che non amano la Poesia ma i poeti che paiono non amare loro. In 13 di scuola non ho mai visto un poeta varcare la soglia dell'aula (al di là dell'invito del presidi vale la libera iniziativa).
    Ci sono auto-celebrazioni, festival, reading ma pochi iniziative che diffondano la poesia nella realtà concreta, sociale, dove, essendoci molti problemi, la "voce" di un poeta potrebbe salvare molti giovani.
    Nel mio piccolo con l'anno nuovo fonderò una cooperativa culturale con l'obiettivo di far entrare la poesia  (e  l'arte in generale) nelle scuole contattando magari qualche poeta.  Forse sarà un fallimento ma credo sia una delle attività più sane per tenere in vita la poesia e trasmetterla alle nuove generazioni.

    anonimo

    17 dicembre 2011 at 22:21


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