UniversoPoesia

Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

Archive for novembre 2007

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Kobarid, la mia opera prima, nei primi mesi del 2008.

Il tempo di salutarvi in questo avanti-indietro tra Bologna e Roma che mi farà latitare anche la prossima settimana: Kobarid è pronta e così il suo parto, verrà alla luce nei primi (probabilmente primissimi) mesi del 2008, l’editore sarà Raffaelli di Rimini. Se il tavolo di casa vostra traballa o non riuscite proprio a prendere sonno (o la stipsi vi rende la vita impossibile) credo che questa sia una soluzione da prendere davvero in considerazione. State bene.

Written by matteofantuzzi

24 novembre 2007 at 15:26

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Fuori dal tempo: purgatorio e inferno nella poesia di Eugenio Montale e Giorgio Caproni

Quando si pensa ai rapporti che sono intercorsi tra i grandi poeti del novecento, certo non si pensa a quelli che possono esserci tra due tra le figure maggiormente rappresentative di tale secolo. Stiamo parlando di Eugenio Montale e Giorgio Caproni. Effettivamente, lasciando da parte possibili scambi epistolari che con buone probabilità sono avvenuti, Montale non ha mai, in nessuno suo scritto critico, in nessun suo articolo, in nessuna pubblicazione, parlato di Caproni, mai lo ha nominato. Una testimonianza indiretta esiste però e sono le parole di Annalisa Cima, la donna che si prese cura del poeta ligure negli ultimi anni della sua vita, in occasione della presentazione di sei poesie inedite dell’autore, ormai defunto, a Lugano. La donna infatti dice che Montale, nell’ambito letterario e intellettuale italiano, salvava poche persone tra cui Caproni (insieme a Zanzotto, Solmi, Luzi, Svevo e Segre). Caproni, al contrario, parla fin dall’inizio della sua carriera del poeta ligure come di un autore che gli ha cambiato il modo di vedere il mondo, che è divenuto fin da subito fondamentale nel suo modo di affrontare la vita, a partire già dagli Ossi di seppia.
Seguendo quindi i saggi consigli di Luigi Surdich, ci si può avventurare in un’analisi comparata, mai facendo la spola tra i testi dei due poeti, ricercando riprese di stilemi o di versi, ma esaminandoli in sezioni separate. Molte conclusioni, prese di coscienza e visioni della vita risultano in comune, o meglio si può dire che Caproni le mutui da Montale. Si sta parlando delle riflessioni su Dio, dell’immagine del muro, dell’idea del gioco ossimorico degli opposti da cui sarebbe composto il reale. Quello che risulta molto interessante è l’utilizzo che entrambi fanno di dimensioni purgatoriali o infernali, da sostituire alla realtà, per determinati scopi. Allora per Montale si veda La casa dei doganieri ne Le occasioni, dove alla realtà si sostituisce un purgatorio vero e proprio, dove non vigono più nemmeno le regole fisiche (la bussola non segna il nord, la banderuola non segue un vento ma gira senza direzione). Questo è il luogo in cui la memoria fallisce profondamente nella sua stessa dimensione biologica, dove si comprende che un’esperienza non può essere comune, ma ognuno la vive nella sua solitudine. Il luogo da dove Montale scorge un varco che possa finalmente congiungerlo con Annetta e visto che la ragazza non è più, il poeta sta guardando un passaggio verso il regno degli inferi. Ma il varco si chiude e in questo purgatorio l’autore arriva all’ignoranza più estrema: egli non sa più neanche chi più è in vita e chi è scomparso.
Lungo la produzione montaliana interessanti sono, riguardo all’utilizzo di tale dimensione, poesie come Cigola la carrucola nel pozzo, alcuni mottetti, Voce giunta con le folaghe, Primavera hitleriana e alcuni xenia.
Per Caproni un componimento chiarificatore rimane Ad portam inferi, nella sezione Versi livornesi de Il seme del piangere. Qui la protagonista è Anna Picchi, madre dell’autore, già defunta da qualche anno. La donna è descritta in una stazione, mentre aspetta un treno che la porterà all’«ultima destinazione». Anche qui l’orologio fermo segnala una situazione fuori dal tempo e va a aggiungersi alla confusione della protagonista, che non riesce più a trovare segnali che la ricolleghino alla sua esistenza e alla sua quotidianità da viva. È qui che si accorge di essere morta, che ne prende coscienza, che capisce di trovarsi in una dimensione purgatoriale, di passaggio verso il regno dei defunti. Anche per Caproni gli esempi lungo la sua produzione sono molteplici, come le Stanze della funicolare, Congedo del viaggiatore cerimonioso, Il fischio, Il vetrone e altre.
Tra i vari utilizzi di queste immagini che i due poeti fanno, una in particolare spicca in comune, ovvero la modalità di creare dimensioni parallele a quella reale, nel momento in cui tentano di entrare a contatto con i loro cari scomparsi, assenti. Questo secondo due percorsi poetici e di vita diametralmente opposti. Montale, nella sua carriera, parte da un’impossibilità di contatto e comunicazione della donna assente, portatrice di salvezza, e arriva poi ad una identificazione della realtà con una sorta di limbo, nella cui quotidianità esiste, al di fuori di ogni livello di eccezionalità, il dialogo con i morti (parliamo in particolare di Mosca, ma anche dell’Annetta che torna spesso nell’ultima produzione montaliana). Al contrario Caproni dedica moltissime poesie ad Olga, la sua fidanzata morta giovane, ricostruisce la vita della sua madre scomparsa, per poi muovere pian piano verso un discorso sincopato, fino alla piena coscienza della totale solitudine dei vivi e dei morti, dell’isolamento e del silenzio in cui ognuno di loro si trova. Questo legato alla ricezione diversa che i due autori hanno riguardo alla loro condizione sulla terra. Montale assume infatti sempre più i caratteri del “sopravvissuto” alla vita e a tutta la sua asfissia e insensatezza; Caproni invece mette in atto un processo che porta i suoi luoghi e se stesso ad estraniarsi, a perdere identità, in parallelo a sempre più numerose dichiarazioni testamentarie, tanto da assumere nettamente la figura di “postumo”.
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Salvatore Della Capa

Written by matteofantuzzi

18 novembre 2007 at 15:12

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Da Saggi critici di F. De Sanctis: “Il critico è simile all’attore”
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Il critico è simile all’attore; entrambi non riproducono semplicemente il mondo poetico, ma lo integrano, empiono le lacune. Il dramma ti dà la parola, ma non il gesto, non il suono della voce, non la persona; indi la necessità dell’attore. Togliete alla poesia drammatica la rappresentazione e rimarrà necessariamente un genere monco ed imperfetto. Il simile è della critica. Si sono scritte delle dissertazioni per provare la sua inutilità. Eh! Mio Dio! La critica germoglia dal seno della poesia. Non ci è l’una senza l’altra. Cominciate dunque dal distruggere la poesia. Il libro del poeta è l’universo; il libro del critico è la poesia: è un lavoro sopra un altro lavoro. E come la poesia non è una semplice interpretazione, né una spiegazione filosofica dell’universo; così il critico non deve né semplicemente esporre la poesia, né solo filosofarvi sopra. Non questo, e non quello: cosa dunque? La più natural cosa di questo mondo: quel medesimo che fa il lettore. E cosa fa il lettore? Aprire il libro e leggere. E quando l’immagine comincia a mettersi in moto, quando vedete drizzarvi avanti tre o quattro creature poetiche, e la camera si trasforma in un giardino, in una grotta, e che so io, l’incantesimo è riuscito; voi siete ammaliati; voi vedete quello stesso mondo che brilla innanzi al poeta. E notate: ciò che voi vedete non è solo quello che è espresso nel libro, ma tante altre cose, parte legate con la visione, parte accidentali, mutabili, secondo lo stato d’animo nel quale vi trovate. Nel lettore dunque sono due fatti: l’impressione che gli viene dal libro e la contemplazione ingenua, irriflessa del mondo poetico. Mettete tutto questo su carta, e ne nascerà una descrizione del mondo immaginato dal poeta, mescolata d’impressioni, di osservazioni, di sentimenti, dove si mostrerà ancora la personalità del lettore. Oso dire che questa specie di critica gioverà più a formare l’educazione estetica di un popolo, che tutte le teorie. Se tre o quattro uomini di cuore avessero la felice ispirazione di fare delle letture a questo modo, desterebbero nell’anima rozza e aspra delle moltitudini un sentimento di dignità e di delicatezza che fruttificherebbe. I più de’ lettori, rimasti un pezzo a contemplare quel mondo, lasciano stare e non ne serbano che una immagine confusa. Innanzi al libro rimangono passivi, si abbandonano al frutto delle loro impressioni, indi si raffreddano e se ne distraggono. Supponiamo un lettore che abbia l’istinto della critica: non si starà a quelle prime impressioni; anzi, immergendosi nella visione, de’ pochi tratti del poeta comporrà tutto un mondo. Questa maniera di critica è da pochi. I pedanti si contentano di una semplice esposizione, e si ostinano nelle frasi, ne’ concetti, nelle allegorie, in questo o quel particolare, come uccelli di rapina in un cadavere. I filosofi la stimano al di sotto di sé, e mentre il corpo si muove, discutono gravemente sul principio e le leggi del moto; e, mentre leggono e gli uditori si asciugano gli occhi, essi pensano alla definizione di bello. I più si accostano a una poesia con idee preconcette; chi pensa alla morale, chi alla politica, chi alla religione, chi ad Aristotele, chi ad Hegel; prima di contemplare il mondo poetico lo hanno giudicato; gl’impongono le loro leggi in luogo di studiare quelle che il poeta gli ha date. La critica ha già fatto molto cammino quando ella è giunta a cogliere una concezione poetica ne’ suoi momenti essenziali. È un lavoro spontaneo nel poeta, spontaneo nel critico. Il poeta può ben prepararvisi con una lunga meditazione, di cui si veggono i vestigi nel disegno, nell’ordito, ne’ caratteri, e spesso nell’ultima mano; ma ciò che vi è di vivente nella sua concezione è opera di alcuni di que’ fuggitivi momenti, che talora non ritornano più: il critico può ben apparecchiarsi al suo ufficio con lunghi studii, de’ quali si veggono le tracce nelle osservazioni, distinzioni, paralleli, ecc.; ma quella sicurezza d’occhio con la quale sa in una poesia afferrare la parte sostanziale viva, la troverà solo nel calore di una impressione schietta e immediata. A questo lavoro spontaneo si aggiunge un lavoro riflesso. Riposato quel primo fervore, se il critico è dotato ancora di genio filosofico, avendo già innanzi a sé il mondo poetico nella sua verità e integrità, può domandargli:- Che cosa sei tu? Che cosa è colui che ti ha creato? -Che cosa sei tu?- Può allora determinare il suo significato, il valore del concetto che l’informa, considerarlo per rispetto al tempo e al luogo dov’è nato, assegnargli il suo luogo e il suo significato nella storia dell’umanità e nel cammino dell’arte, e contemplar le sue leggi nelle leggi generali della poesia. -Che cosa è colui che ti ha creato?- E mi determinerà l’estensione e la profondità del suo ingegno, le sue facoltà, le sue predilezioni, i suoi pregiudizi, le corde che risuonano nella sua anima, e quella che mancano o sono spezzate, l’influsso che su di lui ha avuto il suo tempo, la sua nazione, la critica, la filosofia, la religione, l’arte; ciò che in lui vi è di spontaneità e di riflessione, di originalità e di imitazione; e conosciuto l’uomo, può accompagnarlo nell’atto della concezione, e mostrare come sotto al suo sguardo amoroso si sia andato a poco a poco formando quel mondo che desta ammirazione. Critica perfetta è quella in cui questi momenti si conciliano in una sintesi armoniosa. Il critico ti deve presentare il mondo poetico rifatto e illuminato da lui con piena coscienza, di modo che la scienza vi perda la sua forma dottrinale, e sia come l’occhio che vede gli oggetti e non vede se stesso. La scienza come scienza è filosofia, non è critica.
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[F. De Sanctis, Saggi critici, vol II, Bari, Laterza, 1957,  pp.84 sgg.]

Written by matteofantuzzi

10 novembre 2007 at 09:12

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Nuovi assemblaggi possibili – la poesia nell’epoca del newmedia di Daniela Calisi
 
Categorie per l’analisi
 
Nella new media poetry il dinamismo di ciascun testo implica un’evoluzione contenutistica e concettuale strettamente legata alla singola esperienza di ogni lettore. La lettura non va considerata come la produzione di una serie di sincronie successive ma costituisce invece l’emersione, talvolta progressiva, talvolta sincronica, di una molteplicità di concetti fondanti un mondo semantico almeno in parte strettamente soggettivo. Utilizzando come parametro il rapporto tra l’interazione del lettore e la mutabilità del testo si possono distinguere tre caratteristiche:
Animazione
Riguarda il comportamento e l’apparizione del testo nel tempo: cambiamenti di visibilità, di posizione, di forma, dimensioni e colore. Si tratta di mutamenti nel modo in cui il testo viene percepito visivamente.
“Questo livello di percezione supera largamente la semplice identificazione della forma creata dalla successione del disegno di lettere ad una o due dimensioni. Nella sua interezza, la parola genera due sensi l’uno associato all’idea rappresentata dalla parola stessa, costituita a partire da una concatenazione di lettere, l’altra nasce dalla sua manifestazione visiva olistica (l’immagine tipografica)[…] Il disegno di lettere dalle specificità comportamentali, antropomorfiche, cinetiche o altro, testo che si fluidifica e cola, strutture tridimensionali mantenute da linee, piani e volumi di testo attraverso i quali il lettore può spostarsi … non sono che alcuni esempi dell’incidenza della tecnologia digitale sul disegno di una lettera, che altrimenti sarebbe improntato alla semplicità e all’umiltà […] Il lettore si confronta con componenti [testuali] che hanno un ruolo dimensionale, temporale, effimero e transitorio, non è più in presenza di una composizione fissa, ma di una successione di composizioni che non è neppure tenuta alla coerenza né è visivamente ben definita[…]”. [Bellantoni e Wollman, 1999]
L’animazione viene qui analizzata in particolare nel suo effetto sui tempi della lettura e in quei richiami più o meno impliciti e ricorsivi a i vari tropi letterari relativi al nascondimento e alla reticenza.
 
Interazione
 
Riguarda il rapporto tra testo e lettore. In particolare la reattività del testo a determinate azioni ma anche, in senso più ampio, i modi in cui il testo configura e consente questo rapporto. Questi modi sono strettamente influenzati sia dalla implementazione tecnica sia da precise scelte nel disegno dell’interfaccia che viene qui considerato sempre frutto dell’intervento dell’autore e quindi elemento facente parte a tutti gli effetti del testo.
 
Mutabilità
 
Riguarda la capacità del testo di mutare il proprio valore semantico e di esprimere “elementi di non linearità del linguaggio” [Segre, 1985]
“In altre parole si è usciti dalla cosiddetta linearità del linguaggio (per cui i fonemi, combinati in monemi, si succedono nel tempo della pronunzia o nello spazio della scrittura, senza mai sovrapporsi) e si sono costituiti discorsi alternativi, che congiungono gli elementi ricavati dal discorso. Questa operazione viene fatta mentalmente, e spesso inconsapevolmente, dall’ascoltatore, ma è molto più agevole per il lettore che può ritornare più volte su una stessa sezione di testo, e individuare sempre più elementi connessi, sempre più discorsi alternativi. Va notato che tutti questi discorsi sono di tipo asintattico, solo sintattico essendo il discorso portante. Ciò che si sforza di renderli sintattici è la nostra operazione connettiva, il nostro meta discorso”. [Segre, 1985]
Rileggendo queste affermazioni di Segre si può osservare che la mutabilità dei testi dinamici estrinseca e realizza un’operazione che nei testi statici è affidata esclusivamente all’attività mentale ed inconsapevole del lettore. La estrinsecazione grafica di “elementi connessi” é qui il valore fondante di ciò che Segre chiama, citando Hjemslev, la sostanza dell’espressione, così come la generazione di “discorsi alternativi” è la finalità principale sottesa da questa particolare forma stilistica. Se, sempre citando Segre:
“I valori fondamentali della parola stile sono due: 1 ) l’assieme dei tratti formali che caratterizzano (nel complesso o in un momento particolare) il modo di esprimersi di una persona, o il modo di scrivere di un autore, o il modo in cui è scritta una sua opera; 2) l’assieme dei tratti formali che caratterizzano un gruppo di opere, costituito su basi tipologiche o storiche”. [Segre,1985]
allora si può affermare che la continua sollecitazione che questi testi mettono in opera allo scopo di incapsulare in un unico testo molteplici discorsi alternativi o complementari ricopre qui un ruolo stilistico. I testi dotati di mutabilità pongono in questione le usuali tecniche di interpretazione poiché incrementano la potenzialità significativa di ogni parola. Si può dire che nella sua evoluzione grafica e interattiva il testo mutabile fornisca di per se stesso un idioletto proprio portando nell’ambito della connotazione quei significati che sarebbero reperibili solo a livello denotativo tramite il confronto di molti testi. Se nella sua analisi Segre può scrivere che “La parola, che è un fascio di significati (potenzialità) nel dizionario, ne assume uno, e uno solo (a parte i casi di ambiguità) una volta unita alle altre parole del testo”[Segre, 1985]
questi testi invece operano un ribaltamento di questa situazione: la parola, unita alle altre parole del testo da rapporti di animazione, trasformazione, mutazione, permutazione e scambio di morfemi, amplifica le proprie potenzialità ricostruendo un fascio di significati che non corrisponde a quello del dizionario ma piuttosto è espressione di un idioletto ricreato in cooperazione tra autore e lettore.
“Essendo sostanza dell’espressione la realizzazione fisica (fonica o grafica) dello stesso discorso ” [Segre,1985]
 
Scrivere il testo mutevole
 
Il principale requisito per un’opera di poesia dinamica è che il testo contenga in sé gli elementi per diventare mutevole. La dinamicità della poesia non dipende infatti dalla semplice possibilità tecnica che il testo possa cambiare nel tempo per dimensione, forma e posizione, ma dal fatto che tali cambiamenti siano portatori di ulteriore significato e vadano ad incrementare o modificare il messaggio.
La mutabilità del testo può realizzarsi a vari livelli: al livello della parola l’autore sarà estremamente aperto ad ogni possibile associazione tra parole simili che danno adito ad elaborazioni riconducibili alle figure retoriche di tipo fonetico o morfologica ma anche ai giochi enigmistici (scambio di vocale, zeppa ecc..). Ogni parola passibile di tali figure o giochi viene registrata e annotata e sarà successivamente implementata in modo dinamico. L’inserimento anche di una sola parola mutabile all’interno di un testo genera uno spostamento di significato e una revisione ricorsiva da parte del lettore. Al livello sintagmatico l’autore può giungere ad un testo mutevole grazie alla ricombinazione dei versi. La tecnica non è dissimile da quella del cut-up ma si arricchisce del fatto che ogni verso può essere variato dall’interazione del lettore secondo sequenze da lui determinate.
Rispetto alla stesura di testi statici, la produzione di testi mutevoli implica quindi un’ulteriore elaborazione che può verificarsi già durante la prima stesura del testo, oppure come revisione di un testo già scritto o ancora attraverso la ricombinazione dinamica tra versi di testi poetici differenti, o appartenenti a strofe diverse del medesimo testo, che vengono “ricuciti insieme” tramite aggiunte e variazioni.
Come si diceva i versi varianti possono essere di diversa provenienza. Essi possono venir reperiti dall’autore all’interno di un corpus di partenza che può consistere di un solo testo compiuto ma statico le cui parti vengono rimescolate dall’interazione del lettore oppure di più testi dai quali vengono selezionati solo alcuni versi che sono poi riassemblati dal meccanismo che implementa la poesia.È interessante notare che, in un contesto visivo in cui lo spazio del testo è unitario, le associazioni di versi di diversa provenienza sono sempre generatrici di significato emergente a prescindere dall’effettiva congruenza dell’associazione.
Nella stesura l’autore fa dunque un lavoro di amplificazione del testo ricercando ogni possibile associazione che possa suggerire quali saranno gli elementi di mutabilità: poiché ciascun elemento variabile darà adito ad una diversa configurazione è necessaria un’operazione di rilettura continua che verifichi la coesione durante tutto il processo di mutazione. Ciascuna fase di mutazione infatti non è un passo dallo stato iniziale verso una versione finale ma costituisce un elemento che va ad incrementare il testo: come le singole strofe in una poesia.L’autore compie quindi continue verifiche sulle qualità del proprio testo interagendo continuamente con esso e apportando volta per volta le necessarie variazioni per mantenere la coesione tra una variazione e l’altra.

Written by matteofantuzzi

3 novembre 2007 at 10:11

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