Archive for febbraio 2006
La posa del ribelle di Davide Nota.
La cultura italiana di sinistra è piena di stronzi. Gli eredi del conformismo anticonformista del ’68, dal gruppo DAMS alle pseudo-avanguardie poetiche, già da tempo ai vertici delle istituzioni universitarie ed editoriali, sono tra i pochi veri colpevoli del declino culturale degli ultimi venti anni di storia e letteratura italiana. Quale migliore destro per l’avversario bacchettone se non una sterile violenza da clan, una dissacrazione senza passione assunta a metodo, cioè ad istituzione? I servizi italiani lo avevano compreso già da tempo: destabilizzare ai fini di stabilizzare è la parola d’ordine gelliana che racchiude e spiega ogni violenza programmatica finalizzata (la consapevolezza del soggetto qui non conta) al mantenimento dell’ordine. Occorre ribadirlo: gli avanguardisti, politici e poetici, sono stati gli utili idioti della restaurazione nazionale. Fighetti della decadenza, professorini ben lieti di santificare il vizio di attendere il declino in una sorta di lussurioso cinismo, hanno permesso (senza neppure lo scrupolo di rendersene conto) la vittoria lineare della barbarie culturale berlusconiana da una parte, e la restaurazione parnassiana dall’altra.Ora ne curano, forti delle loro maggioranze redazionali, la conservazione. Controriforma completata, i nostri eroi della distruzione dello stato borghese possono serenamente sguazzare nel loro pantano di comodità accademiche e snobismi d’elìte. Sono come i nostri politici. Ora hanno anche gettato via la maschera della rivolta, con prevista facilità, mantenendo della propria giovinezza solo il vizio della derisione da salotto. Sono i nostri critici e professori nazionali. In tutto e per tutto aderenti all’epoca, ciò che chiamano scetticismo o sarcasmo non è altro che una subdola forma di obbedienza, imbellettata dalle buone letture. Si riempiono la bocca di parole sull’eversione o sulla follia, non sognandosi neppure minimamente di vivere sulla propria pelle un centesimo di quanto professano. A che pro, si chiedeva Cioran, teorizzare l’inesistenza della realtà e poi comportarsi come se la realtà esistesse? La vera rivolta non li interessa: ciò che bramano è la posa. Ciò si ripercuote nei libri che promuovono, calcolate operazioni da scandaluccio estivo, prima, stitiche ripetizioni seriali, ora. Come dei perfetti parlamentari essi sono soliti coprire la propria mediocrità speculando sulle disgrazie altrui. Il suicidio di un poeta è sempre un’ottima carta da giocare, durante un aperitivo.
POESIA E METAPOESIA di Antonio Fiori
(Appunti per la serata “Dintorni della Poesia”, Alghero, Biblioteca S.Michele, 4 giugno 2004)
Definizioni e citazioni
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Credo che, per chi scrive, la poesia nasca da un trauma, come terapia, e prosegua poi senza quasi possibilità di ritorno per tutta la vita, arrivando a combaciare, coincidere con la vita stessa, arricchendosi dunque, per ciascuno, di una pluralità di motivazioni e di significati. Sono rari infatti i casi di poeti che rinneghino la poesia o l’abbandonino: viene in mente sempre, a questo proposito, Rimbaud, ma quali ulteriori esempi possiamo addurre? “Poeta è un aggettivo”, dice Angelo Mundula in un suo verso, un predicato possibile, un modo d’essere che si adotta per sempre.
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La metapoesia
(oggetto e utilità della poesia autoreferente: luogo di autocoscienza per l’autore, possibilità di analisi dello stile e della poetica)
Si definisce metapoesia la poesia sulla poesia, la poesia autoreferente. E’ un’esperienza che molti poeti hanno fatto e credo di poter dire, almeno per quanto mi riguarda, che vi sia quasi una coazione a scrivere sulla propria poesia. La metapoesia è un’oasi in cui l’autore si guarda allo specchio, quasi dall’esterno, in cui può dar conto della sua poetica. Praticando la metapoesia egli è costretto, anche inconsapevolmente, a scoprirsi, ad uscire dalla botola del suggeritore, a togliere la maschera. Ed è per questo che la lettura delle poesie autoreferenti è di così grande interesse e utilità: ci abitano insieme il poeta e la sua poesia. A volte si tratta di semplici, ma preziosi, bigliettini da visita, altre volte di grandi manifesti umani e poetici.
Mario Luzi, da Nuovi Argomenti 55/56, 1962. Riproposto da Fernanda Salbitano su Zeta 74, sett. ’05
Angelo Rendo: "Io non sono intelligente, sono sensibile. La sensibilità avvolge l’intelligenza dal basso e se la mangia tutta, alla fine non la vede".
Giuseppe Cornacchia: “Più passa il tempo e più mi rendo conto (con orrore) di quale sia l’ identità di fondo del poeta. Numerose correnti di pensiero e accordi dialettici tra papabili tendono a dimostrare che è proprio quello il senso, esattamente quello il cammino da percorrere; ciò renderebbe dei poveri scemi poeti emeriti, con l’aggravante del fatto assolutamente privato quale è e rimane. Un’intima consapevolezza che gradatemente si abbina ad una progressiva faccia di tolla. A tale scarto della vita rimane il mestiere di affittacamere della propria dimora, dormendo egli stesso nel soggiorno per lucrare qualche soldo in più.”