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Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

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Tra Vimercate e Verona.

Cosa stia succedendo in questi giorni a proposito dei due appuntamenti di sabato 17 e sabato 24 fa ben sperare, come dire che le menti in grado di produrre di certo non mancano. Anticipo qua un paio di punti come a volere tracciare per chi non potrà esserci quello che vorrò dire tra Vimercate e Verona sperando che la mancanza estrema di esempi o il fatto che stia come faccio sempre scrivendo gli interventi teorici di getto non dispiaccia troppo. La prima questione da definire è ovviamente quella della morte dei blog che tante reazioni ha suscitato: che susciti questioni qualcosa che parte dai blog di certo non mi dispiace, perché in questi anni a mio avviso si è assistito ad un aumento troppo importante di (cito Federico Zuliani a sua volta citato da Bertasa) somme di monologhi approvati dai cori che ha finito per fare andare anche i lit-blog verso quei recinti chiusi che spesso hanno preso la critica militante su carta. L’esempio della Chiara Daino è esemplificativo di come le lettere italiane non siano in grado di fare e di ricevere critiche e anche il blog non riesce a smarcarsi da un modo troppo privato di intendere le cose. C’è stato un momento in cui le riviste cartacee pensavano che la rete e i blog sarebbero da sole state capaci di fare quel lavoro sporco che fino alla fine degli anni Novanta era solo delle riviste militanti (riprendo l’ultimo editoriale di Versodove): è banale che questo non sia accaduto, il blog è "morto" per questo, per la dimensione che palesemente non è stata in grado di assumere. Gli esempi si sprecano, dal ritorno forte al cartaceo di Versodove piuttosto che di Atelier, ad antologizzazioni cartacee di percorsi fatti sul blog (si veda Orgiazzi e Liberinversi) ma anche le esperienze editoriali di Chiara De Luca (Kolibris) o Gianfranco Fabbri (L’arcolaio). Credo che tutte queste azioni siano avvenute "naturalmente" e "naturalmente" si sia compreso che il blog non è la panacea di tutti i mali (e questo l’ho sempre detto) ma una fase, una parte, non il tutto, ma al massimo una parte: è morta l’idea totalizzante del blog nella diffusione della Poesia contemporanea. Perché qualcuno non può ancora utilizzare il blog per fare il proprio quotidiano lavoro ? Nessuno lo pensa, o almeno io non lo penso, ma credo sia giusto pensare anche ad un’evoluzione, a cambiamenti, a nuove proposte. Alcune cose non mi sono piaciute dei discorsi di questi giorni: il primo è questa idea che chichessia lavori per avere visibilità e attenzione da chi vogliate. Uno lavora perché vuole lavorare, perché sente l’esigenza di raccontare non per forza se stesso ma quello che per lui vale la pena raccontare (e se c’è una cosa che lavorare ti fa è la possibilità di accedere a tanti altri validi che lavorano o hanno lavorato per la Poesia e questo almeno dal mio punto di vista è una grande possibilità di crescita, non in popolarità, ma in qualità del proprio lavoro). Le grandi case editrici hanno da tempo deciso di prendere altre strade rispetto a quanto accadeva ad esempio negli anni Sessanta, di pubblicare poca poesia e spesso autori consolidati. Dove sta lo smarrimento in questo senso ? Il problema che ci si poneva tempo fa era ben diverso "se un pastore dell’Altosila è uno splendido poeta, il sistema attuale è in grado di farlo conoscere a più gente possibile ?", questo è diverso da dire "lo facciamo pubblicare da Mondadori/Feltrinelli". Iemma e compagnia, citati e apprezzati anche dalle riviste militanti più importanti hanno pubblicato per una casa editrice on-demand che è qualcosa di sicuramente rivoluzionario per cui non credo che si debba mirare ad arrivare per forza là. Diversi libri di Poesia di "nuovi autori" (non per forza ventenni) arrivano a volumi di vendita e considerazione simili se non superiori a quelli di autori della Bianca o altro (citiamo Franzin per esempio). Quando si lavora per la diffusione della poesia (che non sia solo la propria) quello che va fatto è raccontare quella che si crede essere buona poesia a quante più persone possibili e possibilmente senza fare della cosa moneta di scambio. I blog da soli non bastano più a fare questo, ci dobbiamo inventare anche altre cose e dobbiamo mettere insieme tutte le teste, anche delle nuove generazioni. Quando sento ricordarmi la storia delle ca. due generazioni rimaste schiacciate e in ombra che ora devono ovviamente raccogliere quello che per decenni è stato loro impedito a me viene solo una cosa in mente: piuttosto che mettere altra gente a raccogliere da quel campo, allarghiamo il terreno, bonifichiamo, strappiamo terre alla palude e su quella iniziamo a seminare. L’invito che faccio è quello e capisco che il problema soprattutto nelle ultime generazioni esiste, non possiamo accontentarci dei blog, dobbiamo fare di fb e quant’altro un luogo migliore in cui raccontare la poesia e dobbiamo potere trovare anche altri mezzi. Credo che non possiamo dimenticarci dei piccoli librai, e che la forza di queste persone possa essere proprio nel loro territorio, e se riusciremo a coinvolgere tanti piccoli librai saremo allora in grado di uscire anche dalle problematiche distributive che hanno soprattutto le piccole librerie. Per farlo bisogna creare un rapporto di fiducia con i librai che potranno a loro volta trasmettere ai lettori. Dobbiamo sviluppare il mezzo radio proprio perché oggi grazie a banda larga ed mp3 la parola poetica ma anche il ragionamento attorno alla poesia possono davvero aprirsi a larghe fette di popolazioni. la possibilità di andare incontro alla gente che fino a qualche anno fa avevano i blog a mio avviso è oggi di radio e podcast. Bisogna andare a sviluppare i festival luogo per luogo, casa per casa, microterritorio per microterritorio, ma non tra addetti ai lavori, bisogna tirare fuori di casa la gente, obbligarla a parlare, interagire. La poesia antropologicamente è nell’uomo, per il resto è tempo sottratto al fare. Tutti devono fare, anche i blog possono ancora fare, ma è giusto accorgersi che il sistema non è perfetto e ogni tanto muovere qualche critica. Le critiche fanno bene, non ci si trova sempre di fronte a un complotto. State bene.

Written by matteofantuzzi

16 aprile 2010 at 14:25

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