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Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

Archive for agosto 2007

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PARCO POESIA 2007 – I poeti usano i muscoli dal 31 Agosto al 2 Settembre, Riccione – Villa Lodi Fè

Stefano Aldeni, Roberto Bacchetta, Mario Benedetti, Corrado Benigni, Alberto Bertoni, Marco Bin, Alessandro Broggi, Davide Brullo, Franco Buffoni, Nicola Bultrini, Maria Grazia Calandrone, Roberta Castoldi, Alessandro Catà , Andrea Cati, Alberto Cellotto, Tiziana Cera Rosco, Nicola Crocetti, Adriano D’aloia, Milo De Angelis, Mario Desiati, Matteo Di Meco, Matteo Fantuzzi, Erika Farina, Pietro Federico, Mauro Ferrari , Umberto Fiori, Valentino Fossati, Roberto Galaverni, Massimo Gezzi, Marco Giovenale,Elio Grasso, Valerio Grutt, Federico Italiano, Paolo Lagazzi, Isabella Leardini, Menotti Lerro, Franca Mancinelli, Annalisa Manstretta , Jacopo Masi, Daniele Mencarelli, Michela Monferrini, Giampiero Neri, Luciano Neri, Jean Baptiste Parà, Daniele Piccini, Umberto Piersanti Alessandro Puglia, Massimo Raffaeli, Daniela Raimondi, Alessandro Rivali, Davide Rondoni, Francesca Serragnoli, Sarah Tardino, Annalisa Teodorani, Giovanni Turra, Anna Vasta, Matteo Zattoni, Edoardo Zuccato.

www.parcopoesia.it e il progetto Poesia Offerta.

Written by matteofantuzzi

25 agosto 2007 at 09:28

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REPORTAGE: 25ème Marché de la Poésie di Guido Mattia Gallerani

Pochi tra i tanti 50000 visitatori circa, stretti tra quei quattro giorni che vanno da giovedì e domenica della terza settimana di giugno, entriamo con il nostro piccolo gruppo di italiani alla 25esima edizione del Marché de la Poésie. Sbucando dal metrò Saint-Sulpice, linea 4, che collega il Nord con il Sud della capitale, tra le direttrici più trafficate, Parigi ospita da un quarto di secolo, attorno alla fontana ed alla piazza omonima, circa 5OO stand di editori provenienti da tutta la costellazione francofona (vuol dire che si va dal Québec all’Africa al Belgio), fedele alla tradizione che vuole il Quartiere Latino fucina culturale della Francia, come negli anni ’60 lo era dell’Europa più o meno intera. Corteggiando quei bei tempi perduti, ogni anno un paese, con la sua poesia, fa le veci dell’ospite (questa volta è toccato al Portogallo), attirato in mezzo più che da un reale interessamento da un’operazione al sogno di neocolonialismo coatto e affannosamente in recupero, soprattutto rispetto ai colleghi d’oltremanica e d’oltreoceano. Noi abbiamo la fortuna d’essere accolti di pianta stabile alle Edizioni Éoliennes e dal suo ideatore, Xavier Dandoy, la cui gentilezza e generosità abbiamo ripagato con una campagna vendite tra gli spazi troppo piccoli di uno stand e l’altro e lungo i vialetti congestionati dalla cintura rettangolare della pizza (peculiarità tutta francese quella della logica dello spazio, anche al ristorante, forse per ovviare alla tristezza nordica con un sano ammassamento umano). C’è da dire subito che i francesi sono negati per vedere libri, e non si capisce come editori e soprattutto scrittori trovino ancora un ricavato di vendite: sicuramente, a differenza dell’Italia, parlando in polemica con editori e poeti, gli editori francesi lavorano il doppio dei nostri – i poeti la metà, e scarabocchiando di altro (critica, articoli) riescono a vivacchiare nel vagabondaggio quotidiano. Ricordiamo come là anche un piccolo articolo è pagato sempre qualcosina dalle riviste. Ed a differenza dell’Italia, rimane forte la percezione di un pubblico molto attivo nella ricerca tra gli scaffali, competente in generale sulla poesia, meno sugli autori (che sono ovviamente una parte ridicola in confronto al numero di poeti o di chi pubblica libri di poesie in Italia), ma tutti profondi conoscitori di quella decina di contemporanei ormai archiviati nel loro dizionario virtuale. Ben inteso quindi che la nostra vivace pubblicità, unita dalla fama di affaristi italiani, della quale appena resoci conto abbiamo abbondantemente approfittato (spese personali 30 euro circa, valore in copertina di libri portati a casa 100 euro), hanno alzato le vendite del nostro stand, nonostante i prezzi proibitivi dei curiosi gioiellini di questo editore, come per altri. Per dirla breve, dove in Italia un libro in A5 di 60 pagine ha una percezione presso il pubblico di 5 euro, in Francia è di 13. E niente svendite per il mercato, né sconti, né offerte (ben inteso sempre se non sei italiano, nell’unico posto a Parigi dove conviene esserlo). Né la sicurezza dell’acquisto. Con Serge Pey in giro non si può mai dire. Conosciuto in Italia grazie al poeta sardo, trapiantato a Bologna, Alberto Masala, specializzato in poesia vocale, soprattutto per le sue bizzarre performance, quest’anno al Marché ha sfiorato la tragedia. Bisogna premettere che la colpa non è stata degli organizzatori. Si tratta infatti di un personaggio imprevedibile anche per lo staff di burocrati ribelli che affondano i denti nella politica e nella poesia, in viva lotta con le grandi catene editoriali (basta dare un’occhiata alla loro rivista “Marché des Lettres” n.7 été 2007, dedicata appositamente all’evento: anche l’ex-presidente del CNL Jean-Sébastien Dupuit s’infoia per il grande spazio dedicato al recupero dei piccoli editori e alla costellazione degli eventi artistici attorno al Festival, dicendo: “Bureaucrate, et non poète, mais avec la conviction retrempée de savoir «pourquoi nous combattons»). Queste sono le parole di un politico? Sarebbe pensabile in Italia che dalla bocca ingorda di qualche improbabile centro culturale, molto meno importante ma altrettanto vanitoso dei colleghi francesi, o dalle parole di un qualche poeta auto-laureato sotto la gonna di mascherate chiese, uscisse una frase del genere? Ebbene Serge Pey, anticipando sul giornale suddetto una poesia enigmatica dal titolo “Résolution tactiques et stratégiques contre la dictature du nombre”, sul palco attacca i fogli su un filo che passa sopra le teste del pubblico, e mentre legge estrae un lanciafiamme fabbricato in casa e da fuoco al foglio, le cui ceneri mezzo incendiate cadono sul pubblico e sui loro ultimi acquisti: un pubblico che più che darsi alla fuga lo incita. Alla fine viene anche bruciato un intero mazzo di rose, contro il lirismo stucchevole che tutti conosciamo (azzardo io l’ipotesi, ma ci sono altre spiegazioni). Questi sogni di rivolta, che spesso finiscono soltanto all’ospedale, sono un retaggio di quanto successo l’anno scorso. Prima devo dare una piccola spiegazione di sociologia dell’intellettuale francese, o almeno provare a chiarirmela a me stesso. Dopo l’autunno francese rovente delle banlieues, dopo l’attacco degli studenti alla centrale della Sorbonne (tra parentesi fallimentare in Place de la Republique, che doveva essere il campo dello scontro finale: in due ore ci hanno tutti mandato a casa a suon di fumogeni e scudi e scariche degli idranti, memori della lezione di Charles de Gaulle dal tempio sessantottino, che disse “è ora di far finire la ricreazione” con disprezzo e ridicola senza pietà), dopo un anno di scontri, all’arrivo della primavera (con il Printemps des poétes, serie di letture celebri a Parigi, con poeti da tutto il mondo, organizzate grazie ai cospicui finanziamenti statali ereditati dalla politica socialista di Jack Lang, non certo da quella di Sarkosky) si sarebbe voluto cercare un clima più fresco e armonioso tramite la poesia. Ma è qui che l’intellettuale francese, a differenza dell’italiano, si ribella non perché è stato toccato direttamente nell’intimo, ma perché come un veterano che non ha perso l’abitudine ha bisogno del suo ciclo di rivolte quotidiane (secondo un calcolo statistico, i giovani francesi, per motivi diversi, insorgono ogni 20 anni circa: sapete quando andarci in vacanza). Di solito i poeti francesi non conoscono l’idea di una poesia civile, che così faticosamente siamo riusciti a inculcare in qualche grossa mente italiana, e preferiscono ritirarsi nell’ascetismo della parola e del linguaggio (tutti in fila dietro Mallarmé). Escludendo le opportune eccezioni (Ponge, i cantautori, ecc…). Ma in mezzo al loro spiritismo tagliato con gli allucinogeni (è incredibile quante siano le case editrici con una politica di pubblicazione legata ancora al surrealismo o post-surrealismo: ce n’era una che si chiama Le Grand Souffle, con evidente richiamo a Le Grand Jeu, e il suo fondatore si chiama o si fa chiamare Nataniel, che era il nome di Réne Daumal appunto dentro Le Grand Jeu, quando provocavano con diverse esperienze e assunzioni stati alterati della coscienza), in mezzo a questo spirito da Bohème trascinata oltre il suo tempo massimo, può succedere che pure poeti di questa corrente si gettino in valutazioni ed azioni politiche riguardanti la poesia ed il Marché. Pierre Bonnasse, un giovane autore apparso da poco sulla scena, legato visibilmente ad una corrente mistica, pubblicò proprio l’anno scorso, per la passata edizione del Marché, un articolo sul sito lelitteraire.com, dal titolo Le péril poétique. Oltre ad insistere sui soliti argomenti “magici” della parola, fa un salto anche verso il terrorismo religioso con fede ironica e tagliente: Faut-il saccager le marché [de la poésie] comme Jésus saccagea le marché du temple? O ancora in chiave di rivendicazione: Quand le budget pour la magie des mots sera-t-il plus élevé que celui de l’armée? La poésie est au service de la connaissance, pas de la finance. Chiudendo con toni positivi d’eco socialista, si può citare anche un altro poeta, direttore della collezione di Poesia presso Gallimard, tra le cui battute più famose c’è questa: opaque à tout populisme la poésie n’a pas à craindre d’être populaire, che è ripreso anche da Bonnasse, fin dentro ad una cornice storica che, sempre con ironia, affonda le radici nel loro glorioso medioevo: Et si Paris valait bien une messe, disons haute et fort que la Poésie vaut bien son Marché. Per esempio, per tornare al Marché di quest’anno, c’era anche uno spazio apposito per le Littératures Pirates, una sorta di retrobottega per gli autori/editori cosiddetti indipendenti (intorno al cerchio di teschi neri disegnati sulle cocche degli stand, con un manifesto terribilmente dantesco alla porta d’ingresso: sinceramente, decisamente troppo, sappiamo già che la salute dell’editoria non è quella dei politici, ma non facciamoci fare l’eutanasia della poesia, dopo quella della critica). Avrei visto bene, comunque, i nostri piccoli editori italiani fai-da-te, come Alessandro Ansuini, che certamente di fianco alle provocazioni gratuite avrebbe creato spazi di letture coatte per il pubblico, concerti per migliaia di persone al metro quadro, cornamuse per corteggiare il pubblico e quanto altro per la sua immaginazione che fa perdere i connotati di piccolo a quanto fa parte del mondo editoriale. Nella strana cornice francese niente di tutto questo. Rinuncio a dire cosa ci fosse dentro perché non ci ho capito un’acca nemmeno io, ma di certo era un misto di foglietti frettolosamente spillati e scelti non so con quale selezione. Per concludere, era presente anche una buona squadra della rappresentanza universitaria, con le loro riviste ed Atti di Convegni. Per quel che ci riguarda come italiani, cercando un po’ in giro, ho trovato solo qualche traduzione dal poeta Paolo Ruffilli da parte di un gruppo di editori belgi e una raccolta di poesie di Andrea Inglese, per un’edizione anch’essa belga che si chiama Le clou dans le fer. Per dire che continua l’ignoranza per la poesia e per tutto quanto riguardi al cultura dei loro vicini di casa, nonostante Inglese, da sempre attivo sul territorio parigino (vedi i volumi curati per Action Poétique sulla poesia contemporanea italiana), abbia dato in diverse occasioni la possibilità per il pubblico di entrare in confidenza con la nostra poesia. D’altronde, forse i francesi sono gli unici in Europa convinti di saper l’inglese ma sicuri che non serva, e che quando tutti i parlanti della regione romanza masticano un po’ di francese, o si fanno comprendere, s’impegnano per insegnarti l’inglese e per non comprendersi, così come per la poesia sanno che non serve, ma sanno anche di saperla offrire a chi la richiede, e siccome tutta la popolazione ne mastica un po’ si organizzano per darci una lezione su come si fa un Festival. Spero che i nostri politici impegnati proprio quest’estate a preparare i grandiosi avvenimenti d’autunno, a Mantova, a Modena (sia per quello della Filosofia, sia per quello della Poesia) possano portare pupazzi e Littizzetto a loro piacimento ed avere per una volta, per lo stesso numero di giorni, un affluenza pari a quella del Marché de la Poésie, dove al limite si beveva tutta sera in mezzo agli stand, confondendo il pubblico con gli editori, ma i facciotti da soldi non c’erano perché, quelli sì, davvero non accattivavano nessuno di chi veniva a passeggiare al Marché.

Written by matteofantuzzi

17 agosto 2007 at 10:05

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