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Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

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Che ne sanno i poeti ?
 
Spesso i poeti hanno l’aria di chi sa certe cose, magari non molte ma importanti. Spesso i lettori si affidano a loro come a fari d’esperienza o astucci di pensieri preziosi. Ma davvero la poesia possiede un ruolo o un compito conoscitivo? Che cosa sanno i poeti del mondo che rappresentano e della vita?
Fate questa prova. Leggete una poesia e chiedetevi che cosa vi insegni. Avete imparato qualcosa dai suoi versi? Se no, è una poesia da buttare. Se sì, che conoscenza vi ha trasmesso? Chiedetevi che genere di teatro ha dischiuso. Non di rado si parla della poesia come forma di conoscenza, ma di rado c’è chiarezza su che cosa si intenda; quindi non è facile capire quando ci sia un accordo o disaccordo. Chiediamocelo apertamente allora.
In che senso la poesia potrebbe costituire una forma di conoscenza? In che senso potrebbe assolvere a un compito conoscitivo? Da quali poeti si può apprendere qualcosa? Alcuni incarnano più di altri un’istanza conoscitiva? Le risposte sono varie. Si va dalle istanze realiste per cui la poesia contribuisce alla conoscenza di un periodo storico, alle istanze umaniste secondo cui permette la conoscenza di certe verità “umane”, alle istanze metafisiche secondo cui permette una speciale conoscenza di tipo spirituale. Ma ovviamente la conoscenza di uno spaccato storico non possiede gli stessi caratteri della conoscenza dei sentimenti umani o della conoscenza trascendentale o ancora spirituale. Dunque va chiarito che la domanda va posta innanzitutto in termini critici. Se lo è, in che senso la poesia è una forma di conoscenza? Se no, perché non lo è o non può esserlo? E che cosa ci sarebbe di importante nel riconoscerlo?
Per rispondere a questa selva di interrogativi abbiamo raccolto contributi di filosofi, critici, poeti. Li abbiamo selezionati secondo la loro qualità, la ricchezza di contenuti e la pertinenza rispetto al tema proposto. Infine li abbiamo divisi in quattro sezioni.
Nella prima, di taglio filosofico, è compiuta un’analisi severa della domanda posta. Prima di saltare alle risposte, è bene accanirsi sulla domanda. Lorenzo Carlucci distingue due funzioni conoscitive della poesia; Chiara Guarda si chiede se poesia e conoscenza abbiano una relazione ontologica; Marcello Frixione distingue gli aspetti semantici e pragmatici di un testo poetico; Alessandra Palmigiano intende la poesia e la relativa conoscenza come acquisizione di abilità; Giovanni Tuzet distingue varie forme di conoscenza chiedendosi a quale di esse possa contribuire la poesia.
Nella seconda sezione, il discorso si apre ad una prospettiva storica e ad una riflessione non disgiunta dalla tradizione e dal contesto in cui siamo collocati. Giuliano Ladolfi si interroga sulla poesia nell’età globalizzata, nel suo legame con la storia e con le situazioni in cui operano autori e pubblico, in un’opera comune e in un dialogo continuo fra varie discipline; Alberto Casadei, compiuto un excursus storico, si chiede se la chiave della poesia come conoscenza stia nei motivi interni della sua genesi; Mauro Ferrari si concentra invece sulla poesia nell’epoca della simultaneità e intende la conoscenza poetica come capacità di visione; Andrea Ponso si interroga infine sulla moderna separazione della poesia dall’esperienza e riflette sul simbolo e il rito come luoghi di conoscenza.
Nella terza sezione prevale il profilo critico su autori determinati. Andrea Masetti rilegge Sereni alla luce del suo progetto di recensione e interpretazione della realtà; Gianfranco Lauretano dispiega l’apice paradossale della conoscenza in Caproni, quale conoscenza dell’inconoscibile; Salvatore Ritrovato risale a Dante e rileva la modernità di quella figura assetata di conoscenza che è Ulisse.
Nella quarta sezione parlano i poeti in prima persona, nell’agone delle rispettive poetiche ed esperienze, facendo valere le ragioni delle proprie scelte, difficoltà, insoddisfazioni o speranze. Davide Nota e Matteo Fantuzzi fanno appello alla poesia come conoscenza di uno spaccato storico o di vicende umane che abbiano un senso non solo per chi scrive; Massimo Sannelli nega radicalmente che la poesia possa costituire una forma significativa di conoscenza, asserendo che quasi tutta la conoscenza che viene dalla lettura di un nuovo poeta si riduce al nome del poeta; per Paolo Febbraro la conoscenza poetica è legata alla piacevolezza degli incontri fra parole, ma anche alle verità umane che essa conduce; per Tiziano Fratus è preziosa la conoscenza microscopica della vita che la poesia ci dischiude, laddove per Stefano Guglielmin la poesia conosce una vertigine e pensa l’infondato, mentre per Paolo Fichera è la conoscenza di un nodo, della vivente contraddizione ma anche di un’acqua organica; infine per Italo Testa è un’istanza di giustizia.
Che bilancio trarre? C’è chi alla domanda posta in principio risponde positivamente (ed è la maggioranza) e chi risponde negativamente (negando cioè che la poesia abbia un ruolo o un compito conoscitivo). C’è chi compie analisi e distingue, c’è chi assume la domanda in blocco. Ci sono idee più convincenti, altre meno. E ci sono temi ulteriori che sbocciano o fluiscono da quello proposto. Non vogliamo assumerci la responsabilità di ponderare questa detonazione gnoseologica, anche perché il discorso non si chiude qui. I materiali raccolti e di qualità eccedevano le pagine qui disponibili: i contributi pubblicati ora non sono che una parte del dibattito innescato su poesia e conoscenza e nei prossimi numeri di «Atelier» daremo spazio a quei contributi che già scalpitano e ad altri che eventualmente verranno.
Mi si lasci concludere con una nota: se i poeti sanno molto, è bene abbeverarsi alle loro fonti; se sanno poco e niente, è meglio saperlo che illudersi.
 
Giovanni Tuzet, Editoriale Atelier n°50.

Written by matteofantuzzi

29 giugno 2008 a 22:23

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16 Risposte

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  1. Com’è andata Matteo a Castel San Pietro? Io casusa lavoro non sono riuscito a venire…
    Sarà per l’anno prossimo!

    Un caro saluto

    Luca Ariano

    anonimo

    30 giugno 2008 at 13:45

  2. Che ne sanno i poeti?

    Risposta in versi …

    Tra massimo gezzi
    e massimo orgiazzi,
    ‘sticazzi …

    ;-))))))))))

    andrea m.

    rondons

    30 giugno 2008 at 16:40

  3. tecnicamente è andato bene. la gente c’era come sempre, come sempre s’è pippata ore di poesia… certo che come sempre il limite dei festival (ne ho parlato anche in un articolo che uscirà nelle prossime settimane su la voce di romagna) è quello che rimane del festival, cioè se è un evento che “cade” su un territorio o porta a consapevolezza nei confronti della poesia. e in questo senso credo sarebbe importante ragionare sempre in termini di marco-territorio come ad esempio fanno per il festival di monza e brianza dove i luoghi si sommano, gli autori ruotano (una cosa simile la fa ennio cavalli in romagna, nella provincia di forlì e cesena): credo che per quello che riguarda DL sarebbe uno scatto importante, ma servono come sempre menti, economie e sviluppi. cosa non sempre attuabile.

    andrea, e la rima con fantuzzi no ? (ma fai anche tu i versi d’occasione con tanto di rima baciata come bondi ?)

    matteofantuzzi

    1 luglio 2008 at 16:46

  4. c’è gallerani che il 31 agosto organizza una cosa che potrebbe portare alla fusione dei festival, parlo del tuo, del mio, di spilamberto. se ne potrebbe parlare, anche perchè siamo tutti un po’ cotti.

    A

    anonimo

    1 luglio 2008 at 16:53

  5. Visto che hai citato il ministro Bondi, ti rispondo con una citazione del suo prefatore, il mio carissimo Davide …

    “Non credo che per il fatto di aver scritto qualche poesia e aver pubblicato un po’ di libri io abbia una consapevolezza di cosa è il mondo, di cosa “fa”, maggiore di quella che aveva mia nonna Bruna che per tutta la vita ha fatto da mangiare a mio nonno Enea detto Nino.

    Non credo che la poesia sia, in se stessa, una forma di conoscenza “altra” o più autorevole. La poesia, anzi, le buone poesie sono come quei tronchi cavi o quegli archi naturali di pietra che fanno suonare il vento, o le voci in modo insolito. E il vento e le voci sono la vita, le idee, le pene e le speranze di ognuno e di tutti. “Un grido unanime” diceva il vecchio grande Ungaretti, indicando come lui sapeva bene non una unanimità ideologica o stilistica, ma di “tensione”, di “grido”, appunto”.
    (Davide Rondoni)

    Ecco: con quella battuta volevo semplicemente sottoscrivere queste parole che Davide usa nella presentazione, nel suo sito, ma che mi ha ripetuto tante volte …

    ps Attenzione: quando cominci a frequentare personaggi potenti vengono sempre chieste poesie d’occasione … Per ora, non mi sono compromesso più di tanto ma mi è prontamente accaduto, con un certo mio fastidio …
    Comunque, nell’eventualità e con tutta la mia simpatia (sincera) per Bondi, preferisco ispirarmi – nell’occasionalità di versi occasionali – a Goethe ;-)))

    saluti

    andrea margiotta

    rondons

    1 luglio 2008 at 18:19

  6. dai va, io mi comprometto, se vedo rondoni dovrò a fatica trattenere un conato di vomito. uno che firma una prefazione a bondi ha già spiegato come è fatto, cosa fa e perchè.
    mica solo perché bondi è un pessimo politico, che vabbè, ognuno la pensa come vuole, ma anche e soprattutto per quello che scrive. rondoni in un batter d’occhio è riuscito a racchiudere il peggio prodotto da questo paese, servilismo e cecità. e ifnatti gli danno posti “auterovoli”, se ancora esistono posti autorevoli. bleah

    A

    anonimo

    1 luglio 2008 at 18:36

  7. di sb ho già parlato diverse volte, con tanto di post specifico proprio quando è uscito il libro. ribadisco che in un paese libero ognuno è libero di fare quello che vuole, anche chiaramente di pubblicare le proprie cose. sarebbe stato molto grave se (già scritto) fosse uscito non per “meriti” ma per “nome” all’interno della collana di una major tipo mondadori o einaudi, essendo approdato in una piccola collana per 1000 motivi non vedo nulla di male e molto di lecito. dr si prende le sue responsabilità quale direttore di collana. se poi ultimamente è apparso in tv ecc. io dico BENE, splendido, meraviglioso. ma non solo dr deve andare su rai1, altri 5 ci devono andare, tutti bravi, tutti capaci, e deve fare bene lui perchè vengano dati spazi anche ad altri poeti. e questo anche se notoriamente la penso in maniera molto diversa (sul senso poetico delle cose, la politica a ‘sto giro non è in discussione) dai sopracitati.
    riguardo alla prassi delle poesie d’occasione, beh bisogna anche considerare che molti sono convinti che per pubblicare qui o là si debba “leccare” e spesso anche “ciucciare” il responsabile di turno. io credo che un altro mondo sia possibile e diversi all’interno delle ultime generazioni hanno dimostrato di sapere fare cose importanti senza svendere proprie parti in cambio di riguardo letterario. poi (come nella vita) ognuno decide il proprio grado di compromissione. alla fine è il nudo testo che fa rimanere o meno un lavoro. se non vale può essere anche da gallimard che non sposta le cose. intanto continuo ad attendere che sb dimostri nei fatti del proprio ruolo il prorpio amore per la poesia ed eviti magari la semplice stima per i singoli ma mi auspico per il “sistema poesia” che possa aiutare e favorire in toto il suo sviluppo.

    matteofantuzzi

    2 luglio 2008 at 06:06

  8. Non posso non vedere male la riduzione sul territorio dei festival: è vero che ogni festival, come le riviste, ha una sua vita, che non può andare oltre la sua cadenza naturale. Ma è anche vero che il turismo culturale in gran parte funziona ed è un mercato in crescita, come testimonia la proliferazione spesso incontrollata, come per le università, degli eventi legati al mondo della poesia. Arrivati alla prossimità di uno spegnimento bisogna ripensare l’evento stesso, e cercarne un’evoluzione. Se l’iniziativa del LIPS non ha raggiunto, pur in una lodevole ruscita secondo il mio parere, gli scopi che si erano prefissati e le forme di conduzione, dobbiamo rivederne i modi e gli obiettivi con una nuova forza creativa.
    Accorpare i festival non risponderebbe alle richieste di pubblico e specialisti del settore, cioè i poeti. Piuttosto si tratta di pensare ad un momento, come intendo fare il 31 agosto, d’incontro tra gli operatori del territorio nostrano per comunicare le strategie, verificare intenti e imparare ognuno dall’altro per arricchire in seno ciascuno dei nostri eventi. Non di certo per assorbirne.

    Poi condivido la stanchezza e la fatica gratuita, nonché la scarsità del denaro per queste iniziative che lo fondazioni soprattutto bancarie non elargiscono per spocchiosità politica e sonno pubblico, a scapito dei contribuenti.
    Oggi giorno la differenza tra un poeta e un banditore di versi sta nel suo amore per la poesia, che per chi ce l’ha porta il testo a muovere il suo impegno etico, risorsa imprescindibile, a farsi vedere sul territorio, e quindi ad organizzare situazioni ed a interagire per reciproca utilità con quelle degli altri. Chi viene, come è stato anche a DL, per farsi vedere ed alzarsi dalle prime file senza fermarsi ad ascoltare gli altri invitati, evidentemente è più portato per la televisione che per la poesia. Alla fine la serietà nel mondo degli eventi culturali è a sua volta un evento che ha la luce del lampante. Per la cronaca Santagostini è stato l’unico che non si è mai alzato dalla prima fila per tutta la durata delle letture…

    Guido Mattia Gallerani

    anonimo

    2 luglio 2008 at 14:21

  9. io credo che molti si sarebbero “accontentati” dei risultati di DL che anche quest’anno sono stati ineccepibili. però io sono portato a pensare male e a non essere mai soddisfatto, e le ragioni secondo me le inquadri bene tu guido, la situazione non è “effervescente” è rimasta troppa corsa all’antologizzazione, alla secolarizzazione, poca volontà di lavoro sporco. e spero che il 31.08 se ne faccia, in teoria anche il lips è lavoro sporco poi non so se alla fine sia un lavoro pulito sui panni sporchi della “ricerca”.

    per l’altro discorso: vedi quella persona ha beccato rimproveri da molti. è un peccato di grande gioventù, ne ho già visti tanti credersi dei semi dei per questo o quell’altro premio per poi a un certo punto fare i conti con la solitudine. si cresce anche in questo modo, prendendo murate e sbattendo i denti. va detto che santagostini, ma anche la biagini, ma sostanzialmente tutti tranne questa persona sono rimasti ad ascoltare, qualcuno in religioso silenzio, qualcuno andando qua e là perchè l’atmosfera come sempre a DL lo permette, ma in ascolto. chi crede di essere arrivato… è un peccato. ribadisco, in pochi anni, con tutta questa effervescenza già tanti si sono persi. ed è un peccato per la poesia, innanzitutto.

    matteo

    anonimo

    2 luglio 2008 at 18:59

  10. E’ un vero peccato… Premesso che sabato non ho potuto essere presente a DL (scusa Matteo!), credo di capire a che tipo di situazioni ci si riferisce. Fatico a capire invece con quale animo qualcuno si accosti o pratichi una cosa come la poesia, che, come tante cose del mondo, richiede passione e attaccamento e prima di tutto curiosità e amore per la lettura e l’ascolto, prima anche della propria produzione stessa, fatico a capire, dicevo, come poi si possa assumere questo tipo di atteggiamento. Il rispetto per gli altri è la prima cosa, fondamentale: rispetto di chi condivide con te la stessa passione, rispetto per il semplice ascoltatore/lettore, rispetto anche per chi non capisce e pone domande che consideriamo banali… Altrimenti, se fai poesia, il rispetto a tua volta te lo sogni.

    Marco Bini

    anonimo

    2 luglio 2008 at 20:27

  11. Spero di riuscire a venire il 31 agosto e spero se ne possa parlare, in tranquillità. ovviamente ognuno ha una usa visione del come e dove si possono svolgere eventi poetici. io onestamente dopo qualche anno mi sono fatto un’idea che non è quella che avevo in partenza, che è una zona grigia, ne bianca né nera, che mi dice che non sempre uno si merita di venir ascoltato a una lettura per 20 minuti, non sempre le letture sono diffusione culturale, a volte sono una noia mortale, non sempre fare 5 eventi in una regione è meglio che farne uno suddiviso in cinque posti, ma queste sono impressioni mie, me ne rendo conto bene.

    ansuini

    3 luglio 2008 at 15:13

  12. I problemi che avanzi sono più che condivisi, stai tranquillo…spero che il 31 tu ed il gruppo di Afa veniate e che tu stesso possa avanzare il problema di fronte alla gran parte di quelli che fanno festival in regione, in modo da discuterne e trovare una soluzione per la poesia…

    Guido Mattia Gallerani

    anonimo

    3 luglio 2008 at 15:35

  13. Ragazzi, succede che crescendo si segue infine la propria inclinazione temperamentale, impostata su una via culturale che maturiamo anche in base alle esperienze. Gli impegni per la diffusione al pubblico sono lodevoli, ma stringi stringi si tratta sempre di minima pubblicita’, narcisisimo o curiosita’ umana: acchiappare la bella tipa, conoscere l’assessore o il giornalista, allacciare rapporti “utili”. La poesia non e’ un bene primario, storicamente in Italia in nessuna epoca si e’ vissuta poesia a livello diffuso (il poeta e’ sempre stato di corte, o dottore nella torre d’avorio) e oggi e’ molto piu’ seguita -anche come lavoro- nei Paesi a Storia piu’ tormentata della nostra o culturalmente meno legati al concetto di relazione (quello che abbiamo noi: la famiglia, il gruppo, il clan, la claque, ecc.). Mi fermo, le mie istanze sono emerse in post precedenti anche su questo blog e ho preso impegno a non dare troppa noia al legale padrone di casa. Saluti. —GiusCo—

    anonimo

    3 luglio 2008 at 17:49

  14. Ops, preso dai commenti ho dimenticato la domanda: c’e’ qualche intervento che vi ha particolarmente colpito nel numero di Atelier? Con Tuzet e Guglielmin ci si era lasciati ad un intervento del Gugl che chiamava in ballo idee alle quali sono vicino e un mio contributo stesso e’ stato infine ritirato per altro e piu’ rapido utilizzo. Altri interventi che potrebbero interessarmi? Chiedo a voi, non avendo chance di vedere la rivista se non il mese prossimo, al ritorno in Italia. Insomma, ero venuto pienamente in topic… grazie. —GiusCo—

    anonimo

    3 luglio 2008 at 18:00

  15. ho molto apprezzato gli interventi di ponso e febbraro personalmente, comunque secondo me se chiedi a marco o a giovanni ti pdffano la rivista via mail intanto che sei all’estero. ma una cosa che mi chiedo da un poco: la poesia non se la fila nessuno. vendere 1000 copie di un libro sembra un miracolo, 1000 copie ! i poeti non se li fila nessuno, e spesso per inciso a ragione. ma che senso ha fare una poesia privatistica e onanista se nessuno ti si fila, se rimani comunque il pirlotto che scrive, visto con quella sorta di pietà di cui già a volte ho parlato ? è una cosa che non ha senso. meglio cantare ai karaoke se si cerca “l’affermazione”, è questo che mi sfugge. e mi sfugge anche il senso “privato” di troppe iniziative pubbliche e la “compromissione” che anche le nuove generazioni stanno mettendo in atto. alla fine non siamo migliori del sessantottini che contestavano i padri (con le tasche piene dei soldini dei suddetti) e ora si attaccano alle poltrone delle dirigenze senza guardare in faccia a nessuno. alla fine “valle giulia” vale ancora oggi. povero PPP…

    matteofantuzzi

    3 luglio 2008 at 19:00

  16. Trovo del tutto giusto e a puntino il commento di matteo sopra.Luoghi comuni a parte, il 68 si e il 2000
    no.

    Marcello Bellavia

    anonimo

    3 luglio 2008 at 20:54


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