UniversoPoesia

Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

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Cartoline dalla Svezia. 1 di 2.

Dopo avere girato le catene di librerie "ufficiali" con diversi scaffali dedicati alla poesia contemporanea ma senza mai lo straccio di un autore italiano tra i numerosi stranieri (e non solo anglofoni: francesi, spagnoli, portoghesi, ecc.) complice un pomeriggio più piovoso del solito mi incaponisco: esiste infatti in pieno centro a Stoccolma una sorta di casa della cultura con teatri, sale per giocare a scacchi (passatempo diffusissimo), giornali di tutto il mondo e anche una grande biblioteca. La caccia è però forse ancora più deludente, in dieci scaffali nella solita sfilza di francesi, spagnoli, anglofoni ecc. ecc. spuntano solo Dante, Attilio Bertolucci (in una bella e curata edizione) e uno striminzito librino su Montale, e pure in inglese. Non mi do per vinto, Stoccolma è piena di librerie antiquarie grandi più dei supermercati. Qui gli scaffali di poesia diventano 20, 30 e finalmente oltre a una spiritosissima antologia (…) della poesia italiana che va da Jacopone da Todi a Luzi, ecco comparire libri di Ungaretti, Betocchi, Quasimodo, Pasolini, Zanzotto, ancora Luzi. Ma dopo questi nulla. Libri comunque degli anni ’70 (e non solo perché mi trovo in librerie antiquarie, queste trattano anche edizioni recentissime , si trovano parecchi libri datati per esempio 2002 o 2003), più in là non si va me lo confermano in parecchi. Negli anni ’70 si conosceva all’estero il lavoro degli allora 40-50enni italiani. Oggi no. Che accade ? Una volta era meglio ? Non ci sono più talenti ? Riscorrete i nomi sopra: erano tutti in grado di oscurare i loro coetanei di oggi ? E’ davvero l’attuale una generazione (o più generazioni) in ombra ? O c’è dell’altro, o forse questo è solo l’effetto di molti eventi accaduti negli ultimi decenni, di molto (come ho già scritto) brusio di fondo ? O questa non è solo insomma la punta dell’iceberg di tutto quel che è stato combinato, di guerre senza la minima esclusione di colpi ? Nessun tour operator consiglierebbe di visitare uno splendido paese in piena guerra fratricida e devastato dalle macerie. Non fa una grinza. State bene.

Written by matteofantuzzi

24 agosto 2005 a 14:24

Pubblicato su Uncategorized

107 Risposte

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  1. il businness ha forse definitivamente assassinato la poesia?

    anonimo

    24 agosto 2005 at 15:24

  2. converrai però stefano che non sono cifre da business: qualche centinaio di copie se va bene: roba da ditta di frigoriferi al polo sud.

    matteofantuzzi

    24 agosto 2005 at 23:05

  3. certo che convengo

    anonimo

    25 agosto 2005 at 09:06

  4. Sì Matteo, si tratta di guerre fratricide e non solo il businness (anche il businness) ha ucciso la poesia. Come lasci correttamente intendere, un panorama se non in conflitto almeno in perenne mancanza di spinta verso l’alto, ma dotato di sola propulsione orizzontale (e) collidente (e casuale) non genererà nomi, titoli e non renderà agevolmente manifesto il talento. Figuriamoci in Svezia.

    M.

    Massimo73

    25 agosto 2005 at 15:52

  5. Caro Matteo,
    cari tutti gli altri,
    edificante la cartolina dalla Avezia ma non sorprendente, no? tenendo conto che già nelle patrie librerie la poesia langue, che in Milano 8dico…Milano!) le librerie che si possano fregiare di una sezione poesia degna del nome (sezione + poesia)sono 4 (quattro !!!) non allibisco al leggere che all’estero siamo praticamente invisibili. Los iamo anche a casa. E non parlo della pletora emergente, ma delle penne che ci hanno fondato (ad ognuno la propria, secondo apprezzamento) . Autocitandomi (per non far torti a nessuno) “… agli scomparsi corpi / non pesa il luogo vacante come a chi scava…” Eh. si, Il poeta è seppellito persino in patria. Cosa voglia aspettarci dall’estero? Che si ingegnino loro a venirci a cercare?
    Cogitando…FABIANO

    anonimo

    25 agosto 2005 at 17:40

  6. il fatto che l’economia abbia ucciso la poesia, qualcuno me lo può dimostrare scientificamente? Pare il contrario invece. Forse sarebbe meglio affidare tutto alla rete, comprese le traduzioni. Dobbiamo aspettare le grandi case editrici?

    csinicco

    25 agosto 2005 at 22:34

  7. Caro Christian, io credo che morta una certa editoria di progetto, quella sì, uccisa dallo strapotere distributivo e dagli uffici marketing, anche la poesia abbia accusato il suo colpo apoplettico. Una botta assestata per spingerla ben in fondo al cul del sac della sua nicchia (da qui l’oggettiva difficoltà di trovare in qualsiasi libreria che non sia una cartoleria, dei testi poetici che vanno oltre l’ottocento o il primo novecento). In effetti la poesia non è stata uccisa (mi devo contraddire) e bene fai notare la rete e lo spazio che offre, ma forse non è tanto questione di “rete”, quanto di persone che tra blog, riviste e festival sta costruendo una rete (non solo nella “rete”) per cercare di dare quella spinta verso l’alto e andare oltre le guerre intestine del businness.

    M.

    anonimo

    26 agosto 2005 at 07:21

  8. allora: il business in poesia non esiste, business lo fanno solo quelle case editrici finte che raccontano alla povera gente che venderanno decine di migliaia di copie per le loro cose tenute nel cassetto per decenni, arrivano a fottere a ‘sti qua anche 20.000 euro e poi dopo averle stampate le copie le mandano dritte al macero. e questo in un paese civile sarebbe qualcosa di cui si dovrebbe occupare la finanza !

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 08:00

  9. secondo: spostiamoci ad un paragone calcistico, è come se volessimo fare giocare in serie A in mezzo ai fuoriclasse gente al massimo (ma al massimo) da c/2, serve una classe di selezionatori validi, e in poesia questi si chiamano critici. e non gente inventata, non esiste che la critica sia lasciata in mano a poeti o semplici lettori, non esiste che qualcuno fa un nome o ha un blog e magicamente salga nell’Olimpo.

    Serve gente che abbia compiuto un percorso, Pasolini 1a di diventare Pasolini s’è fatto un mazzo tanto, e comunque costantemente è stato criticato e spronato da altri critici altrettanto preparati.
    Quella che c’è ora è colossale isteria. Sebastiano Aglieco un giorno enunciò nel suo blog una lista paurosa di poeti apparsi sulle antologie degli anni ’70, in qualche caso c’era materiale da denuncia penale, nemmeno civile dal gran che faceva schifo, e abbiamo pagato quell’isteria con 20 anni di buio. Vogliamo rifare gli stessi errori ?

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 08:08

  10. infine, w internet ma con motori di ricerca validi e che sappiano essere critici.

    se no è come quando cerchi informazioni su qualche cura, c’è chi in internet per togliere il mal di testa di consiglia un analgesico (come logico) ma anche chi ti dice di metterti in testa un uovo sodo e di accendere una candela aromatica al rosmarino (e qui sull’efficacia avrei dubbi…)

    dobbiamo mettere nella poesia la stessa cura e la stessa legislazione che si ha nelle costruzioni edili: se un finto ingegnere con 2 nozioni arrabattate costruisce un ponte che alla prima folata di vento cade e fa una strage finsice in carcere e buttano la chiave.

    una cattiva poesia non fa meno danni, e allo stesso modo andrebbe punito il colpevole.

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 08:12

  11. Sì Matteo, hai ragione, però concorderai che se, come dici, negli anni ’70 si conosceva all’estero il lavoro degli allora 40-50enni italiani e oggi no è anche per una mancata funzione “pedagogica” (prendiamola larga) dell’editoria, che presa a correre dietro ai volumi di vendita e agli umori e al potere d’acquisto del lettore, ha ridotto ancora lo spazio per la poesia. Poi è assolutamente vero, la critica qualificata, possibilmente che s’è fatta il mazzo (anzi, che dovrebbe a forza esserselo fatto) è fondamentale per la rinascita della poesia ed io intendevo proprio questo: tutta una serie di giovani che vedo e a pezzetti conosco, che si sta muovendo per riportare la critica in posizione centrale, di regia, per quanto concerne il fatto poetico (non intendevo in nessun modo dire che chi apre un blog di poesia è sull’Olimpo).
    Quanto alle pene per la diffusione di cattiva poesia, temo siano cadute in prescrizione, come del resto quelle per certi ingegneri…

    M.

    Massimo73

    26 agosto 2005 at 08:39

  12. Operatività: editoria di progetto: unire le forze a partire dal territorio, anche dal punto di vista degli autori, riscoprendone molti; pubblicazioni di autori del secondo Novecento dunque, e di contemporanei – 1+1 ogni anno da ogni regione; meglio libri-cd multimediali. In effetti ci vogliono soldi. Per quanto riguarda la tecnologia, Fucine Snc (www.fucine.it) può dare il suo contributo, giustamente pagato, inoltre può farsi anche editore. Il problema rimangono i soldi, all’incirca 100.000 euro per il primo anno (o 50.000 + 50.000 diluendo in due anni, ma compreso già tutto l’apparato editoriale multimediale, soprattutto interattivo, e la possibilità, ad esempio a Trieste, di trovare in loco la collaborazione di studi di registrazione per i propri lavori). Ma prima di questo il fatto si devono individuare gli attori di questo cambiamento (persone che abbiano la follia di crederci e di impiegare anche qualche anno per farlo), e questo porta via tempo alle rispettive attività. + dalle riviste telematiche passare ad un’organizzazione anche di eventi (ma questo molti di noi già lo fanno) per pubblicizzare il prodotto. E abbiamo il circuito di distribuzione, tutto gestito a partire dal territorio. Da dove partire?

    anonimo

    26 agosto 2005 at 09:01

  13. Ancora: sicuramente non dal prodotto, ma dal processo che si desidera innescare in modo tale da arrivare al prodotto e alla possibilità di una sua promozione ottimale. Prima di tutto: una regia; quindi un comitato scientifico per gli autori del secondo Novecento, quindi i poeti un minimo dovrebbero farsi perfomatori, le riviste farsi organizzatrici.
    Ce la faranno i poeti, o continueranno ancora anni a piangere la loro esclusione dal mondo dei grandi?
    🙂

    csinicco

    26 agosto 2005 at 09:14

  14. altra considerazione: serve davvere un mercato vato alla poesia?

    oltrenauta

    26 agosto 2005 at 10:11

  15. riformulo la domanda, che, per motivi di tastiera francese, è venuta monca…

    Serve davvero un mercato vasto alla poesia?
    Oppure ai poeti in fondo va bene lo zoccolo duro, che, a mio modesto parere, si sta pure allargando come bacino di lettori…anche grazie alla rete…

    ed ancora: la poesia meglio si occupi del dire, non delle polemiche sul vendere…

    idealismo?
    direi di sì, ma è poi così un male?

    oltrenauta

    26 agosto 2005 at 10:15

  16. Matteo, dà fastidio sentir parlare dell’accoppiata mercato-poesia: per me, sarebbe l’ultimo sposalizio da celebrare, ma sembra che oggi, in senso pro. e contro., sia per molti affascinante.
    Brutti tempi, allora.
    Ciao dal Gianfri

    nestore22

    26 agosto 2005 at 10:31

  17. come cantava Silvestri…Banalità, banalità…

    oltrenauta

    26 agosto 2005 at 10:34

  18. gianfranco sei sempre garbatamente in grado di centrare il punto.

    leggendo gli ultimi commenti capisco che l’argomento è virato verso lidi di cui non mi curo. non ho mai ritenuto un problema la questione economica, anche se aborro l’idea delle truffe. questo sì.
    il nodo è la poesia, che non esista la poesia italiana all’estero che meriterebbe d’essere conosciuta, questo mi dispiace. non che non sia venduta.
    non ho mai ritenuto un problema che la mia poesia sia o meno letta, io vada o meno qui o là, sia pubblicato lì o là.
    il mio problema è fare poesia, e avere anche i migliori strumenti per farla: potere leggere bei libri di poesia, potere istruirmi con una critica cosciente: questo aiuta la propria poesia, non l’isteria che stiamo vivendo.

    gianfranco centra il punto. alla poesia solo poesia, il resto è contorno (e pure insipido).

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 10:40

  19. massimo, non pensavo a te quando pensavo ai blog, ma altrove, fatevi un giro, troverete roba in qualche blog assurda (ma non nei post, nei commenti: i soliti maledetti commentatori anonimi e beceri) e con la quale non voglio per principio avere a che fare. anche da questo ci dobbiamo scrollare.

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 10:44

  20. infine christian, il poeta deve fare poesia (sulla carta), al resto ci penseranno altri, non dico che la promozione non debba esistere, ma che servono persone atte a. non è questione del poeta.

    ma che la cosa con la poesia non c’azzecca assolutissimamentissimamente nulla: quanti poeti in vita adorati sono poi finiti giustamente nel dimenticatoio, quanti sommersi sono emersi dopo secoli e giustamente. il tempo, lo dico sempre, è galantuomo.

    partiamo da ottiche differenti. il poeta scriva: niente lo turbi, niente lo spaventi, questo solo gli basti.

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 10:48

  21. ma allora, cari signori, se alla “poesia solo poesia” (e concordo su questo punto), perchè creare la base per la discussione? uscendone poi con “alla poesia solo poesia” , che è una cosa ovvia…altrimenti verrebbe meno il concetto stesso del poetare…mi spiego: se l’argomento, come dici tu Matteo, sterza , perchè uscire da questa sterzata ritraendosi nello slogan “alla poesia solo poesia”, che condivido, ma forse oggi la poesia dovrebbe anche osare e non ritirarsi nel suo tranquillo zoccolo duro…no?

    oltrenauta

    26 agosto 2005 at 10:48

  22. Grazie della precisazione, ma era dovuta anche la mia, data la corretta considerazione che fai a proposito dell’assurdo… Alla poesia e solo alla poesia, per la Poesia, concordo. Ma penso che per la diffusione una moderata sterzata nell’editoria potrebbe dare una mano. Sterzata, ahimé, forse non più possibile, però…

    Massimo73

    26 agosto 2005 at 10:52

  23. guardate tutto si può fare, ma non lo deve fare il poeta. se cominciamo a pensare “scrivo questo perchè mi conviene, o perchè va di moda” ecc. siamo fritti, questi sono calcoli che la poesia non deve fare, che il poeta non deve fare.

    se poi qualcuno vuole proporla e diffonderla questa poesia “senza se e senza ma” lo può fare, ma il poeta secondo me deve somigliare ad uno di quei cavalli da tiro con il paraocchi, diritto e concentrato per la propria strada, senza altro scopo.

    se però sulla strada trova un mucchio di tori impazziti addio che ci arriva in Svezia (questo era il senso del post)

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 10:59

  24. cioè per meglio interdermi: associazioni, istituzioni ecc. facciano quanto sensato per la promozione della poesia, ma mi auguro zanzotto non mi citofoni mai a casa per farmi sentire quanto è bravo !

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 11:01

  25. capisco il senso del post, ma il poeta i paraocchi li deve levare, no mettere, tirar dritto serve ai cavalli da tiro, appunto, non a che deve dire di qualcosa attorno, a meno che la faccenda non sia esclusivamente ombelicale…

    oltrenauta

    26 agosto 2005 at 11:02

  26. massì che un poco di ombelico c’è, ma l’immagine devo dire mi piace.

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 11:05

  27. autoreferenziali. ma nel giusto, comunque. duri e puri, bisogna restare.
    ma non muti.

    E cmq fatevi un sorriso, ora…da Pancetta, Paolo Nori.

    La consapevolezza di mettersi nel gruppo di giusta appartenza mi pare ci sia no?

    ” Una volta ero piccolo ho vinto la medaglia d’argento a un concorso di poesia.
    Un concorso dell’associazione Ignazio Silone di Parma.
    Che gli avevo mandato
    quattro poesie che io quando ero piccolo scrivevo anche delle poesie. Che come diceva De André
    Fino ai diciotto anni scrivono tutti poesie, dopo i diciotto anni
    solo i poeti e i cretini, diceva Benedetto Croce, diceva De André.”

    sleepwalking

    26 agosto 2005 at 11:16

  28. la poesia nelle strade e nelle piazze
    ma non mischiata all’elezione di miss ombelico, tanto per restare in argomento.
    a proposito, se siete interessati a parteciparvi in qualità di spettatori.. il suddetto contest (Marina di Ravenna, Ravenna, Italia)
    bah.

    sleepwalking

    26 agosto 2005 at 11:19

  29. Son felice di aver scatenato delle sensibilità, tuttavia non mi sembra che chi abbia ragionato diversamente (vedi Ferlinghetti) abbia fatto male alla poesia. Per conto mio, nel momento in cui ci si fa vedere, e già negotium, ma per me basterebbe il web e il reading, anche se, me ne rendo conto, un bel libro-cd multimediale curato bene è una bella cosa.

    csinicco

    26 agosto 2005 at 12:04

  30. poesia è: reading.
    serio.
    niente pseudo eventi mondani
    niente degustazioni
    niente commistioni.

    poi se il poeta è pure un indie rocker saprà far coesistere le sue schizofrenie, opererà in contesti multipli.

    non intendo una campana di vetro.
    intendo un pudore.
    la poesia non va urlata, non è urlando che ci si fa sentire.

    ma è il mio pensiero.

    sleepwalking

    26 agosto 2005 at 12:15

  31. Quello che voglio dire è che il moloch dei libri di poesia, della selezione e promozione, o lo si risolve, o ci si riorganizza in qualche altro modo. Se pensate che siano le istituzioni a muoversi o le grandi e affascinanti case editrici, state freschi. Quello che però mi pare di capire, è che tutto sia collegato, tutti i comportamenti facciano parte del fare; ma l’importante è il come, non chi lo fa il commercio sia esso poeta o no.

    csinicco

    26 agosto 2005 at 12:17

  32. poesia è reading? solo? la poesia non va urlata? se ve ne sono i motivi perché no? Perché invece di mettere paletti non si pensa a integrare i linguaggi, i veicoli, le riflessioni? Non credo che facciamo altro, ogni giorno, se pensiamo al nostro fare.

    csinicco

    26 agosto 2005 at 12:25

  33. ti ho detto, è il mio pensiero. perchè le volte che ho assistito a certe commistioni ho pensato fosse assolutamente patetico.
    tentativi infelici,mal riusciti e soprattutto privi di risultati, o se possibile addirittura inibenti (pubblico attonito o, peggio, giustamente ironizzante).
    gli slam poetry filoamericani mi lasciano perplessa.
    sarò convenzionale nella scelta dei modi, ma credo sia durissima creare il pubblico per la poesia adottando le tue ipotizzate “integrazioni”
    sarò fatalista, ma chi la ama, la poesia, la cerca e la insegue.
    il poeta questo deve dare.
    meglio allora, una diffusione radiofonica
    all’atteggiamento da imbonitore che assumono certuni, durante letture “integrate”.
    il poeta piacione, non so se s’è capito, schifo assai mi fa.
    basta che divento logorroica

    buona giornata a tutti

    sleepwalking

    26 agosto 2005 at 12:30

  34. Io penso che in tutto questo discorso, le ragioni siano multiple. Vero il discorso della poesia alla poesia, vero il discorso della critica come fondamento e giusto il confronto (per lo meno il confronto !) tra editoria, poesia e mercato, che in qualche modo dovrà essere risolto, se è vero che per veicolare anche un centinaio di copie di qualsivoglia titolo in Svezia, è necessario passare per l’editoria e un certo mercato (essendo questa distribuzione, e qui si rende conto del perchè per lo meno nei ’70 gli autori 40-50enni fossero più noti: perchè distribuiti, blandamente quanto si vuole). A questo punto, però, quando parlavo di sterzata, intendevo una speranza che ho e che riguarda il riposizionamento della critica all’interno dell’editoria (o per lo meno, il ritorno delle redazioni vere al posto degli uffici marketing), cosa di cui in tanti vanno parlando e vagheggiano, per permettere nuovamente la distribuzione di autori che siano validi. E che a mio parere non mancano nel panorama italiano, a cominciare dall’owner di questo blog.

    Massimo73

    26 agosto 2005 at 13:01

  35. la poesia é arte assai complessa, soprattutto ha bisogno di particolarissimi e fragilissimi equilibrismi, in fondo si tratta di parlare/scrivere di sensazioni, che esistono senza le parole, quindi la poesia ha bisogno di rispetto, responsabilità, silenzio, e sedimentazione.
    Le sensazioni sfuggono alle parole, il poeta le insegue, questo credo sia il suo compito, difficile, difficilissimo….e soprattutto intimo, non ombelicale, si badi bene, intimo.
    Urlare, declamare, parlare sommessamente…sono tutte azioni successive.
    Prima viene il vero dire.

    Stefano Lorefice

    anonimo

    26 agosto 2005 at 13:02

  36. monicuzza benvenuta nel club dei dubbiosi sullo slam poetry (christian non me ne vorrà, sa che la mia è un’analisi che perpetuo ormai da un poco…) !
    sleepwalking è una voluta citazione al libro di racconti di laura pugno uscito da sironi -o significa solo sonnambulismo, come in medicina appunto- ? ma soprattutto dove si tiene questo contest dove i poeti fanno vedere il loro ombelico ??? (ah ah ah: no, presumo si tenga solo miss ombelico e anche incontri di poesia, luciano benini sforza mi pare sia di marina di ravenna, sto andando a memoria, è uscito da poco un suo libro di poesie con prefazione di matteo veronesi e poi benini sforza è anche autore assieme a nevio spadoni di un’antologia -se ne producono più dei funghi, eh ?- sulla poesia dialettale romagnola che va da nomi noti come baldini ecc. fino alla giovanissima annalisa teodorani, cito sempre a memoria e potrei facilmente sbagliare)

    la poesia va soprattutto letta, dal fruitore, non abbiamo a che fare coi salmi (peraltro bellissima prova di poesia), la poesia ha accessoria la dimensione orale, necessaria la dimensione scritta. nessun poeta performativo prescinde dalla dimensione scritta, sarebbe mero suicidio. (o almeno non dovrebbe).

    ferlinghetti non ha fatto male alla poesia americana (eh eh eh), vabbé christian concedimelo, si scherza.

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 13:13

  37. ritengo, inoltre, che il panorama poetico italiano, sia vivo e vegeto: ci sono ottimi poeti. E, ripeto, ho notato un interesse in aumento, e questo mi fa piacere, come credo a tutti quelli che sono “invischiati” nella faccenda.

    St. Lorefice

    anonimo

    26 agosto 2005 at 13:14

  38. acc. mi si è cancellato il commento (lo riscrivo): dicevo bello il commento di stefano (il #35), molto ficcante.
    massimo, il proprietario di UniversoPoesia è Splinder, poeta certo migliore di me.
    l’importante non è che vengano venduti i libri di poesia in Svezia, ma che si conosca la nostra migliore poesia (e qui mi soffermerò nella prossima cartolina che vi manderò nelle prossime settimane)

    un punto fondamentale è quello delle redazioni, gli editori devono pubblicare poco e bene, credendo negli autori, in autori che devono avere lavorato come capre e con molto sudore e sangue prima di arrivare al libro. 1000 libri pubblicati all’anno sono 1 esagerazione (fonte Tirature) e una strage d’alberi.

    ribadisco e ribadisco ancora, si vuole fare i poeti ? allora si scriva poesia. questo è, nient’altro.

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 13:26

  39. e 1 ultima cosa per monicuzza che ormai ha tutta la mia simpatia:
    non solo conoscevo la frase di de andrè, ma va integrata a quella detta ai funerali di pasolini, cioè che di poeti veri a secolo ne nascono 4 o 5 al massimo.

    l’unione delle due frasi dà una chiara idea della situazione della poesia in italia. eh eh eh.

    matteofantuzzi

    26 agosto 2005 at 13:28

  40. Concordo sull’esagerazione delle 1000 pubblicazioni l’anno. Dopo aver contribuito allo svuotamento dell’archivio di Atelier, ne ho avuta una chiara percezione dal pavimento del solaio.

    M.

    Massimo73

    26 agosto 2005 at 14:07

  41. sleepwalking: citazione di un libro, ça va sans dire, ma non di quello della Pugno.
    Meg Wolitzer. LIbro assolutamente imperdibile per questa accolita di poeti qui.
    Epperò, duole dirlo,;-P,fuori catalogo.
    a meno di non leggerselo in lingua eh eh eh..
    traduzione di aldo busi, fu un oscar mondadori, no dico!
    tema: le poetesse morte (sì, sempre quelle: La Plath, La Sexton e questa fantomatica Lucy)
    ambientazione: campus americano,letture notturne,il suicidio,insomma bell’atmosfera morbosa.
    un libro che mi ha segnata…

    ferlinghetti: a me ha commosso tanto, vederlo seduto nel sotterraneo della city lights…

    sulla poesia dialettale non commento.

    come dire, mi sento molto “slegata” dal territorio..

    l’ombelico: lo mostrano le signorine, magari potreste chiedere se vi accettano come giudici, voi poeti, ma il prossimo anno, per questa volta temo sia andata!

    la poesia,infine, come ogni forma d’arte, deve colpire basso. Allo stomaco.
    e fare male.
    sentire è contiguo al soffrire.
    se ti scivola addosso o ti strappa un sorriso non è poesia.
    è filastrocca, è calembour.

    ma io sono radicale. e anche in prosa non sono molto accomodante, nelle mie letture. Onnivora ma ipercritica.

    UN LIBRO DEVE FRUGARE NELLE FERITE,
    ANZI, DEVE PROVOCARNE DI NUOVE, UN LIBRO DEVE ESSERE
    P E R I C O L O S O

    🙂
    vado, che voglio un posto in prima fila al contest ombelicale.

    buona serata a tutti.

    sleepwalking

    26 agosto 2005 at 15:20

  42. sottolineo i post 31 e 38 e ne prendo nota quasi a monito. Riconosco, leggendo i vari post, che leggo più serietà e poesia in questi interventi che non nelle decine di riviste bandiera. Riconosco però che ogni strillone è convinto di essere IL poeta (il famoso solaio svuotato conferma quanto scrivo). Detto questo, riconosco sopratutto quei qualcuno che prima di dare alle stampe il qualcosa, lavorano, scartano, aspettano, fanno quasi passare i tempi ma quando arrivano alle stampe -ecco – allora quello che si leggerà è Poesia (vero Matteo?). Pare che nessuno abbia più pazienza – a me sembra – con quella fretta da Merdidiano che ci celebri già a 30’anni….Che peccato. E riprendendo un post letto prima, quanta carta sprecata, appunto. Con la mole di libri che viene emessa annualmente, con le centinaia di migliaia di testi inediti che affollano le scrivanie delle case editrici, ma come fanno a dinendersi gli editori e come fanno a discernere?
    Suppongo tocchi alla critica 8come già detto sopra) e visto che manca, offriamola noi con quanto possiamo, con il passaparola. Utopico? FABIANO

    anonimo

    26 agosto 2005 at 17:43

  43. direi che essere radical non è male, ma che ne pensate del

    csinicco

    26 agosto 2005 at 18:52

  44. …poetare chic di un Premio Nobel targato 1975, il poetare chic che lo stesso E. M. avrebbe poi autodefinito “inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà.” Perché dunque poetare, cari lettori dell’inutile? Perché la poesia e tutta la sua nobiltà è in questo essere nocivo, in questo non facile essere mortale dell’uomo, questo temporaneo prodotto di chissà chi o cosa, di chissà quale mercato delle stelle, di chissà quale merce poesia o suprema finzione del malessere, utilissima. Niente piagnistei all’Accademia di Svezia, signori scienziati e scrittori, che a dicembre la notte scandinava è fredda! Avanzino, avanzino i cuochi e le scottature! Ossi di seppia sì o no dunque? Qualcuno, in questi miei tempi immaginati della letteratura, si ostina ad offrirmi gli spaghetti al nero di seppia: il piatto è soddisfacente, lo si consiglia a grandi e piccini accompagnato da vino d’annata, bianco. Ma tra noi e il succulento piatto E. M. targato 1920-1927 c’è un secolo di uomini vergini ingannati da politici santi, di guerre sante in nome di valori; c’è mezzo secolo di crescita dell’industria militare sulle piantagioni di armi atomiche (e secondo il poeta americano Gregory Corso non c’è arma più pura e purificatrice della Bomb creata da Fermi, più pura e purificatrice di questa imbecillità umana, altro che “frutto più maturo dell’eterno albero del male” come dice E. M. nel discorso svedese), c’è da inghiottire l’osso di tanto di quel marciume che non oso dimenticare. Ma si ostinano a portarmi lo stesso piatto senza alcuna variazione – pomodorino, ossi di seppia, bomba a grappolo – e non ne posso più! Quindi un consiglio ai poeti neolaureati che si ritrovano sotto l’albero geneticamente modificato di limoni E. M. tra il 1920 e il 1927, non abbiate timori a divorare il frutto, ma poi sputate l’osso e nutritevi d’altro.

    questo testo te lo dedico Monica. E’ un po’ sarcastico ma ha qualcosa del taglio delle tue parole sulla pericolosità. Cmq sullo slam, ho dei rilievi, come ben sa Matteo. Scriverò qualcosa a proposito.
    Comunque secondo me c’è una netta distinzione tra operatività (quella che cerco) e produttività (la noia che imputo al “sistema” che gravita attorno alla poesia, poco organizzato): di certo mancando l’operatività, o una riflessione su questa(mi è piaciuto il post34 di Massimo), si hanno meno punti di riferimento e quello a cui assistiamo e il generarsi virale delle pubblicazioni. Tra cui anche autori certamente interessanti (sarebbe improbabile non c’azzeccasse nemmeno uno:-)

    csinicco

    26 agosto 2005 at 19:04

  45. ringrazio monicuzza dell’offerta ma già ho uno splendido ombelico a casa che mi aspetta. fai malissimo però a non leggere i dialettali (come io faccio male a leggere poco ad esempio di teatro o narrativa nella mia ingordigia di lettore di poesia) troveresti lingue straordinarie, soluzioni sorprendenti.

    sì fabiano bisogna tendere alla P maiuscola, e non sono così certo che la poesia “scada” quando perde l’immediatezza con l’utilizzo dell’indefesso lavoro, certo si modifica: ma se riesce arriva dritta al punto, appunto: ti fa male.

    le seppie le ho mangiate ieri sera coi piselli (e questo non ha aiutato la mia insonnia): l’importante proprio come fai tu christian è definire bene l’argine tra operatività e produttività, evitando che il poeta si trasformi nel promoter piacione, sempre pronto a chinarsi: al potere ma pure al poterino (perchè una volta che ti chini il peso della poesia ti schiaccia, ed è difficile rialzarti)

    matteofantuzzi

    27 agosto 2005 at 07:13

  46. le seppie sono tante, milioni di milioni;
    la luce dei lampioni, è quella delle barche;
    ed io le pesco e poi le mangio,
    ma i piselli son scaduti!
    Il fatto è che, magari uno quando diventa vecchio un po’ scantina di cervello, ma Montale quando è andato a prendersi il Nobel, poteva almeno stare zitto. Oggi avremo anche la poesia italiana tra gli scaffali di Goteborg:-)

    csinicco

    27 agosto 2005 at 08:31

  47. perchè tu sei davanti al mare, io al massimo ho i laghetti e trovo i pesce-gatti…

    sai cosa mi preocupa ? ieri è venuta una professoressa di liceo classico perchè:

    1. le consigliassi un poco di contemporanei per la sua classe.

    2. nella sua classe un giorno andassi a far lezione perchè confutassi la convinzione dei suoi alunni che siano defunti tutti gli autori delle poesie che si leggono sui libri. che in vita non ve ne siano. manco uno.

    (interessante)

    matteofantuzzi

    27 agosto 2005 at 09:03

  48. non si può leggere tutto, caro Matteo.
    bisogna per forza selezionare, ovviamente lasciamo fuori le cose che ci toccano meno. La poesia dialettale romagnola che ho letto non incontra il mio gusto, tutto qui. Poi se di mestiere facessi la lettrice (ovvero se mi pagassero per LEGGERE spingerei la mia curiosità un po’ oltre, potrei SFORZARMI di indagare più a fondo e sicuramente troverei qualcosa capace di farmi ricredere). E’ proprio questione di tempo e gusti, non preclusioni assolute e dogmatiche, alla fine.Il teatro letto pure non riesco tanto a “sentirlo”, è privo della sua vera dimensione, il testo teatrale come scritto mi sembra sempre “nudo” rispetto al testo rappresentato.

    anche sull’andare a far lezione in classe come poeta in carne ed ossa, per smentire la convinzione adolescenziale di una poesia zombesca ho delle riserve.
    sul “far lezione” intendo..

    sleepwalking

    27 agosto 2005 at 10:06

  49. siamo rimasti a casa a scrivere,
    a consolidare i nostri io distesi.

    S.Plath

    sleepwalking

    27 agosto 2005 at 10:07

  50. E perchè no ? Giuliano Ladolfi (incontrandolo per caso) mi ha detto che ha avuto un sacco di successo il far vedere (con reading però, non con lezioni) che il poeta non è solo “vecchio e ingobbito” ma più spesso un bel/bella giovane. Figuriamoci poi far vedere che non è morto ! (Tutto riportato, Monicuzza, non ho tutta questa esperienza…).

    M.

    Massimo73

    27 agosto 2005 at 11:09

  51. a Trieste questi incontri li abbiamo fatti in diverse superiori, e credo servano molto, soprattutto se informali e aperti al dibattito. Sul fatto della bellezza o meno…preferirei dell’efficacia o meno di un autore.

    “erano giovani e forti,
    e sono morti”

    csinicco

    27 agosto 2005 at 12:44

  52. sì, credo che andare a fare un bel reading in un qualche istituto superiore non sia una cosa negativa, anzi.

    oltrenauta

    27 agosto 2005 at 12:49

  53. organizziamolo dunque.

    oltrenauta

    27 agosto 2005 at 12:51

  54. a torino ci penso io, ad organizzarvelo in un liceo scientifico.
    belli vivi e pimpanti e poco professorali, vi vorrei però!

    sleepwalking

    27 agosto 2005 at 15:29

  55. non so se Lorefice sta ancora a Morbegno, ma lì in zona credo ci siano Dome Bulfaro, Gianmario Lucini, Francesco Osti (anche se non so se vi amate)… Perché non vi mettete in contatto e lo fate per davvero questo incontro.

    csinicco

    27 agosto 2005 at 15:32

  56. x csinicco:

    Conosco personalmente Dome e con Francesco s’è fatto il liceo insieme…e , almeno da parte mia, c’è stima per i due Signori di cui sopra.
    E’ una buona idea.
    Che sarebbe sta storia “non so se vi amate”????

    oltrenauta

    27 agosto 2005 at 15:39

  57. A Morbegno, comunque, non ci sto più…vivo in provincia di Torino ora…praticamente in Francia.
    In valtellina ci torno spesso, ma non ci vivo stabilmente da almeno 6 anni.

    oltrenauta

    27 agosto 2005 at 15:41

  58. sullo slam poetry, e la poesia performativa…solo questo, ma confido nella vostra serietà e accortezza…

    Don’t take any wooden nickels
    when you sell your soul

    🙂

    sleepwalking

    27 agosto 2005 at 15:49

  59. Caro Matteo non è che qui in Italia, negli scaffali, si trovi molto della poesia contemporanea svedese, come neppure di quella tedesca o francese o spagnola o statunitense etc. (e vi sfido, per chi non traduttore, a fare più di dieci nomi – senza ricorrere ad internet – di poeti stranieri under 60 che conoscete), a parte una qualche antologia accumulativa einaudiana o un qualche speciale di Poesia crocettiano, ben poco gira… quindi non stiamo a piangere perché a Stoccolma non conoscono Cucchi o Rondoni (che poi poco cambia… e interessa), diciamo, piuttosto, che ormai la poesia è trattata, nella stessa maniera, in tutta Europa (a parte, quel tanto, in Gran Bretagna e Irlanda, là dove, ancora, il ‘poeta’ esiste e vince i Nobel). Del resto se Fo è il nostro ultimo Premio Nobel… si spiega alquanto bene il perché si venga snobbati (e giustamente) in campo internazionale. Lo stesso vale quel tanto anche per le arti visive, così come per la narrativa o per il cinema. Nel mondo non siamo conosciuti. Perché? Perché è da parecchio che non sforniamo un qualcosa di interessante e ‘alto’ (…gli ultimi? Pasolini, Calvino e pochissimi altri) – questo è il motivo, così come, un altro, è il perché gl’Istituti Italiani di Cultura funzionano malissimo (di solito area di parcheggio di funzionari loffi o mangiapane a tradimento oppure immanicati pronti, unicamente, a ‘invitare’ l’amico dell’amico), poi il mondo è cambiato, ci si ingozza un po’ ovunque di spazzatura e ‘gossip’ artistico-letterario: vedete, ad esempio, il nuovo magazine XL partorito da Repubblica, poi ve ne farete un’idea di quel che ‘va’ e di come la ‘va’). Nel mio piccolo anche robe mie sono state tradotte qua e là… ma poi? A parte l’Argentina, dove metà della popolazione è di origine italiana, ho incontrato pochissima attenzione quando sono andato… Francia compresa, all’infuori che uno non si chiami Eco. Quel tanto in Germania sì, ma perché ci bazzico da anni… altrimenti ciao anche a Berlino. Un caro saluto a tutti.

    GianRuggeroManzoni

    27 agosto 2005 at 16:45

  60. “lezione” è una parola orribile, mi scuso: m’è venuta fuori perchè quando vai a trovare una classe devi sempre vendere alla scuola la cosa come una lezione, se no non te la fanno fare (e visitare una galleria d’arte è una visita didattica, mi raccomando). in realtà si va a incontrare ragazzi ben ben più intelligenti di quanto vorrebero fare credere i mass media, curiosi, che vogliono comunicare e parlare e capire se esistono modi di comunicare. e alla fine c’è solo da ringraziare, la lezione te la fanno loro garantisco. insomma: fatene a quintali, fate a conoscere a più gente possibile che la poesia non è solo marcio e muffa !

    matteofantuzzi

    27 agosto 2005 at 18:36

  61. insomma: niente lezione né fare i professori, mi raccomando…

    matteofantuzzi

    27 agosto 2005 at 18:38

  62. gian ruggero, ho capito che gli istituti italiani di cultura non funzionano quando quello di lubiana ha invitato me…
    il problema non è secondo me la Svezia, ma l’Italia e gli italiani che dovrebbero fare un bel bagno di umiltà, evitare guerre e abbattere steccati. solo questo.

    matteofantuzzi

    27 agosto 2005 at 18:40

  63. …però come dicevo qualche settimana fa, simon armitage (specchio mondadori, 45 anni ca.) non vale de angelis (specchio mondadori appena qualche anno di più), ma proprio per nulla e non credo sia solo questione di anglofonia.

    e poi: raccontiamo che siamo i migliori e nel mondo si leggono siriani, greci, sloveni ecc. ecc. e non noi ? dove sta l’errore ? chi si sbaglia ? spariamo cazzate e non c’è materia prima o siamo un teatrino di una tristezza infinita (ma poeticamente di enorme livello) ?

    matteofantuzzi

    27 agosto 2005 at 19:28

  64. Matteo, io non ho di sicuro i titoli per dare una risposta alle tue domande, ma essendoci un punto interrogativo, di nuovo, più di uno, nel tuo ultimo commento, questo mi fa tornare la voglia di dirne una 🙂 E forse mi ripeto anche. I canali attraverso i quali la poesia di un paese (prendendo insieme i giovani autori) si estende ad altri paesi sono diversi e forse non li conosco tutti: gli istituti di cultura, l’accademia, l’editoria, le riviste letterarie, internet, forse… Però a mio modo di vedere, l’editoria libraria la fa ancora da padrona al giorno d’oggi sulla diffusione dell’opera con l’influenza che opera sulle riviste, sull’accademia e sugli istituti. Per quello dico che a mio parere, si tratta anche di un problema di connubio (negli utlimi anni latitante) tra editoria (e redazioni) e critica preparata che _si confronti con quella di altri paesi_. Di materiale ce n’è qua in Italia e non penso sia un teatrino di tristezza infinita tutto quello che leggo e mi convince (e convince lettori più autorevoli di me). Se magari una certa (brutto dirlo) industria del libro fosse attraversata da un lavoro di selezione più deciso, produttivo, chiamalo militante, entusiastico (!) e creativo (perchè forse ci vuole della creatività anche per leggere una poesia) allora le chance di farsi conoscere della poesia italiana sarebbero per me maggiori. E torno a sottolineare, non per vendere, ma per diffondere. Forse quello che le major del libro stanno facendo non è abbastanza per diffondere la poesia delle generazioni dei nati dal 1950 ad oggi (alla faccia delle mille e una antologie che escono). Teoria, questa mia, sia chiaro…

    Massimo73

    28 agosto 2005 at 10:14

  65. Per Stefano: quel non so se vi amate era un non so se avete collaborato insieme, produttivamente, vi siete trovati bene a far questo. Conosco bene Bulfaro, gli voglio bene e lo stimo tantissimo, di Osti ho letto qualche poesia (meglio le sue prose): quest’ultimo ha appena pubblicato un libricino con lietocolle con disegni proprio di Dome. La Valtellina, oltre che prodotti tipici estremamente interessanti, una montagna meravigliosa, ha anche buoni autori. credo sia dovuto all’aria buona, o forse dall’inquinamento che arriva da Milano:-)

    csinicco

    28 agosto 2005 at 10:58

  66. pizzoccheri e poeti.
    🙂
    accattatevilli-

    contattiamo la pro-loco? l’apt?

    sleepwalking

    28 agosto 2005 at 11:09

  67. l’anno appena passato sono stato a Busto Arsizio (liceo classico) per una lettura accompagnato da Giampiero Neri e Stefania Crema (occorreva un bel nome per richiamare ente, più due giovin poeti proprio per far vedere che il poeta non è defunto o incanutito..) e l’esperienza non è che sia stata un fuoco d’artificio. Ai ragazzi eran stati dati i nostri libri, avrebbero dovuto procedere ad una lettura (non impanata e dotta, una semplice lettura) e ne è venuto fuori un gelo da “cosa dico, cosa chiedo?”. Bisognerebbe, nell’eventuale organizzazione di reading, parlare chiaro anche con i Prof. prima che svacchino l’intento dell’iniziativa e ne facciano un esposizione di corpi da camera mortuaria pur con autori sulla trentina… Non è che ai ragazzi manchi la curiosità, è che non viene sollecitata adeguatamente. Cosi una buona idea affonda nel “sistema” scolastico e diviene semplicemente un altro obbligo, un ennesimo obbligo che fa si che la poesia si trasformi fino a diventare una materia a voto.
    P.S. (esulando dal tema) Dome è veramente bravo.
    FABIANO

    anonimo

    28 agosto 2005 at 11:48

  68. sì, sarà l’aria…oppure quella particolare brezza di lago che tutte le sere ci arriva, visto che sia io che Francesco siamo della “bassa” valle…praticamente dell’alto lago…poi, vebbè, io ci ho mischiato quella francese…ed altre…così il mix s’è complicato…Quanto al valore dei valligiani poeti…direi che non solo loro dicono cose interessanti (io non mi ci metto, per incapacità di autovalutazione).
    Mi vengono in mente Bevilacqua, Bonelli, Monti ed altri…

    oltrenauta

    28 agosto 2005 at 15:05

  69. massimo sostanzialmente concordo con quello che hai scritto, ogni nazione poi ha le proprie dinamiche: in francia le riviste non vengono considerate, in svezia molto. ma è un esempio.

    matteofantuzzi

    28 agosto 2005 at 15:28

  70. a tutti: la mia esperienze con le classi più o meno è questa.

    caso 1, il professore mi conosce e sa cosa gli aspetta.

    caso 2, il professore non mi conosce, si aspetta che vada a parlare di distici elegiaci ecc. ecc. o peggio ancora vada a spiegare a dei poveri disgraziati alle 8 di mattina perchè un verso l’ho spezzato così e non colà.
    a quel punto dico al professore che la cosa è inutile, e che ai ragazzi non gliene frega un cazzo. il prof ha un colpo e sviene. i ragazzi invece confermano, a quel punto parlo del mio amore per la poesia, cito qualche contemporaneo qua e là che amo leggere, invito i ragazzi a non farsi convincere delle baggianate che gli adulti credono nei loro riguardi, a esprimersi, e a lavorare sodo se si vuole scrivere. e che la poesia se la si vuole fare non è uno scherzo. e che ci sono tante cose belle da conoscere in ambito culturale contemporaneo, e che magari serviranno per l’espressione loro in altre forme artistiche. e se han piacere (ma solo se me lo chiedono loro) leggo qualche mia poesia alla fine. il tempo lo passo ad ascoltare loro, ribadisco, più che altro: la loro necessità di esprimersi in una società che odia il diverso a priori (scusate l’immagine, molto banale ma ahimé realistica) e che vi assicuro li castra, ho paura ben più di solo qualche anno fa.
    di solito dopo che li vado a trovare so che parecchi iniziano a leggere zanzotto (non è che ne parli più di altri autori, ma forse quando lo faccio capita che inconsciamente vi sia maggiore partecipazione)

    matteofantuzzi

    28 agosto 2005 at 15:38

  71. All’Oberdan, liceo, a Trieste, i ragazzi c’avevano una compagnia di teatro, e tre di loro hanno lavorato e letto i testi agli altri ragazzi, e a noi. C’eravamo io, Nacci, Matteo danieli, Azzurra D’Agostino, Gabriella Stanchina, Brandolini. Nessun autore noto. Finite le letture abbiamo preso la parola e abbiamo chiesto cosa ne pensassero, cosa gli era accaduto, e da lì è partito il dibattito. Non servono incanutiti e famosi (Famosi?) ma gente che abbia voglia di tirare fuori qualcosa dal contesto, che sappia comunicare e che faccia vedere che non è lì in vacanza, come loro:-) Questi due fattori lì entusiasmarono. Tutto si può organizzare, e gli istituti hanno anche fondi per queste attività – bisogna girare e chiedere ai Presidi (a prop. meglio di tutto le quarte superiori, o le quinte). Non servono tanti soldi, ma rimborsi spese di viaggio, vitto e alloggio (anche familiare). La sera, dopo l’incontro la mattina con gli studenti, si può organizzare in loco anche un reading.
    Così almeno i poeti un po’ lavorano:-) e così almeno ci son poeti che sanno anche leggere quello che scrivono

    csinicco

    28 agosto 2005 at 16:20

  72. ecco, l’alloggio anche familiare rende l’idea della necessità di “andare, fare” e non di “pretendere”.
    Il reading serale in certe realtà è di facile organizzazione, anche in città piccole come la mia.
    Quello che non funziona è la struttura organizzativa. Nel senso che le case editrici non sono “attive” ma se gli scrittori, o i poeti, sollecitano in questo senso secondo me si attivano.
    l’approccio di matteo durante le sue “lezioni” è sicuramente vincente. Che i giòvani non ne possono più di stare seduti ad “ascoltare” ed il bello di avere un autore in classe sta proprio nell’interazione (al di là di ogni timidezza congenita). Chi dei miei amici scrittori ha affrontato questa esperienza ne è stato estremamente soddisfatto.
    E poi, vedere al salone di torino le classi dei licei dove erano stati nei mesi precedenti seguirli quasi fossero rock star eh eh..son teneri,questi ragazzetti,che non è mica vero che sono così aridi…

    sleepwalking

    28 agosto 2005 at 16:44

  73. Infatti non è vero che sono acidi, ed io direi di bombardarli più di poesia che di altre cose. Il danno, al limite, è una fervida immaginazione.
    Buona notte sleepwalking, au revoir

    csinicco

    28 agosto 2005 at 23:21

  74. bonjour à tous

    sleepwalking

    29 agosto 2005 at 08:15

  75. segnatevi il nome di azzurra d’agostino (soprattutto se si convince a scrivere solo in vernacolo).

    monicuzza, se vuoi organizzare (un reading, mica uno slam !) nella tua città io ci sono (sei di ravenna ?), in effetti farei anche poca fatica per il viaggio…

    mandami 1 mail, l’indirizzo è scritto anche sopra: matteofantuzzi@yahoo.it

    le letture ribadisco servono a chi scrive, come già dissi a nacci, per capire nei propri testi cosa è migliorabile e cosa invece fila bene. insomma farne è solo un bene.

    matteofantuzzi

    29 agosto 2005 at 08:41

  76. (e poi ‘sta poesia va promossa…)

    in questi anni dalle case editrici ho sentito i progetti più diversi: librerie di poesia legati a più case editrici (ed erano case editrici di poesia “grosse”, di quelle che ha citato marco merlin nel blog di atelier, mica disperate alle 1e armi), bar che avessero spazi per la vendita di poesia e che quasi ogni giorno promuovessero reading (questo a bologna è stato davvero a un passo dall’essere realizzato in zona universitaria, ahimé): tutti progetti gioiosamente naufragati.

    io dagli editori mi aspetto una buona selezione nelle collane, poi se esisteranno figure capaci nella promozione e anche nella realizzazione di eventi (senza spettacolarizzare), ben venga. anche terzi, ribadisco, non m’aspettavo vanni scheiwiller agli angoli delle strade a fare il p.r. non me lo aspetto da chi c’è oggi (in generale, mica solo da loro).

    quello che mi aspetto è che scheiwiller renda onore editorialmente al nome fattosi in decenni di indefesso lavoro (oh, scheiwiller per dirne uno…)

    matteofantuzzi

    29 agosto 2005 at 08:48

  77. un reading ci si può provare, con la ripresa autunnale, magari collettivo, o in una serata di presentazioni di narrativa 🙂 per vedere come va.

    sleepwalking

    29 agosto 2005 at 10:12

  78. e anche questa cosa di Marco Drago, mi sembra condivisibile..

    E se le poesie davvero ci insegnassero
    tutto?

    Ci ho pensato, io che non sono poeta,
    che ho letto i poeti, mio malgrado,
    senza amarli chissà quanto…

    Marco Drago-Zolle- Feltrinelli Editore

    sleepwalking

    29 agosto 2005 at 11:38

  79. io, distanza permettendo, ci sono.

    oltrenauta

    29 agosto 2005 at 17:06

  80. arghh ! no… la narrativa no !!!

    matteofantuzzi

    30 agosto 2005 at 07:15

  81. matteo:
    mi hai scritto:
    fai malissimo però a non leggere i dialettali (come io faccio male a leggere poco ad esempio di teatro o narrativa nella mia ingordigia di lettore di poesia) troveresti lingue straordinarie, soluzioni sorprendenti.

    e poi dici pure:
    segnatevi il nome di azzurra d’agostino (soprattutto se si convince a scrivere solo in vernacolo).

    E ANCORA:
    arghh ! no… la narrativa no !!!

    sembra quasi davvero una graduatoria di valore…la poesia dialettale va letta (e scritta) da chi ha radici vere nel territorio, non mi si dica che la poesia è universale, io credo infatti che la p.dialettale come la poesia straniera se letta in lingua originale privi di una conoscenza profondissima della lingua E DEL CONTESTO TERRITORIALE non possa essere davvero recepita.
    non addentriamoci dunque nelle sottigliezze delle variazioni terminologiche che il dialetto romagnolo, emiliano, toscoromagnolo etc porta in sè.

    inoltre,ma è un mio pregiudizio, non credo che autori GIOVANI, e mi pare che azzurra d’agostino lo sia, abbiano dietro questo “mondo dialettale” che, è inutile, resta legato ad arcaismi e vite “terragne”

    ma dato che non conosco a fondo questo mondo, se avete un esempio di poesia dialettale e METROPOLITANA, e contemporanea nel senso più puro del termine,mi ricrederò prontamente.

    il solo esempio di dialetto divenuto linguaggio universale e reso contemporaneo e vivo- ma parliamo di teatro- io l’ho visto negli spettacolil di Davide Enia. e non fatemene fare l’ apologia…mi fermo qui.

    Matteo cosa ti rode circa la narrativa?
    🙂

    sleepwalking

    30 agosto 2005 at 11:58

  82. mi autocito (dal sito http://xoomer.virgilio.it/histria/storiaecultura/recensioniebibliografia/newyork.htm)

    passaggio di un angel
    di Franco Loi in un jazz club di Trieste

    Ghe xe un jazz kleb
    che sona musiche inzenociade
    su quel schizo de passion de ogni omo
    che come un fià
    vien fora del cosmo.
    Qualchedun disi che no ghe piasi,
    un altro se ciama fora,
    un altro ‘ncora discuti del’ora;
    chi xe zito, e no pensa.
    “Sta zito, bevite sta bira!”
    me disi l’angel che xe sentà con un mezin
    de vin sula tola,
    gambe incrosade, peto squarcià
    nela camisa. “A mi te me disi,
    che devo parlar, dir la mia
    come tuti”.”Zito!” l’angel
    tira fora una pergamena, lustra.
    E no xe scrito gnente ghe digo.
    “Mona” me disi lu’ “xe de far”.

    Ziti ziti se metemo a masinar
    e mi ghe scrivo dela rede che no ga materia
    e lu’ me conta che xe in questo e in quel paese
    sconta in un buso…”Buso,
    ‘lora te me ciapi pe’l cul
    vecio rincoionì de un angel!
    Se xe in questo e in quel
    no po’l esser in un,
    ma in tanti!” “Ma tanti cossa!
    Xe fora per fora, oltre per oltre!”
    Ghe domando scusa: ‘l xe un angel,
    gnanca ‘l Cristo devi saver le robe che sa lu’,
    gnanca ‘l Dio, la Madona,
    co’ sto peto squarcià che no sanguina
    che te ghe po’l meter la man drento
    e rigirarla, disbratar, farghe mal
    ma no’l senti, no’l senti.

    Semo qua
    de tre giorni
    fermi
    co’ sta pergamena che sona
    un jazz de vento, la bora.
    Riva la muleta, la porta
    ‘l vin rubado
    a quel che disi che no ghe piasi,
    a quel’altro che se ciama fora,
    a chi discuti del’ora;
    a chi xe zito, e no pensa.

    E’ un jazz club
    che suona musiche inginocchiate
    su quel flutto di passione di ogni uomo
    che come un fiato
    viene fuori dal cosmo.
    Qualcuno dice che non gli piace,
    a un altro non interessa,
    un altro ancora discute dell’ora;
    chi zitto, non pensa.
    “Stai zitto, bevi la birra!”
    mi dice l’angelo seduto a tavola
    con mezzo litro di vino,
    gambe incrociate, il petto squarciato
    nella camicia. “Dici a me
    che devo parlare, dire la mia
    come tutti”.”Zitto!” l’angelo
    tira fuori una pergamena, lucida.
    E non c’è scritto niente gli dico.
    “Scemo” mi dice lui “è da fare”.

    Zitti zitti lo mettiamo in moto l’ingranaggio
    ed io gli scrivo della rete senza materia
    e lui racconta che è in questo e in quel paese
    nascosta in un buco… “Buco,
    allora vuoi uccellarmi
    vecchio rincoglionito di un angelo!
    Se è in questo e in quello
    non può essere in uno,
    ma in tanti! “”Ma tanti cosa!
    E’ forata, passata oltre!”
    Gli domando scusa: è un angelo,
    nemmeno il Cristo sa ciò che lui sa,
    nemmeno Dio, la Madonna,
    con quel petto squarciato che non sanguina
    che gli si può mettere dentro la mano
    e rigirarla, governare, fargli male
    tanto non sente, non sente.

    Siam qui
    da tre giorni
    fermi
    con una pergamena che suona
    un jazz di vento, la bora.
    Arriva la ragazzina, porta
    il vino rubato
    a quello che dice che non gli piace,
    a quell’altro a cui non interessa,
    a chi discute dell’ora;
    a chi zitto, non pensa.

    csinicco

    30 agosto 2005 at 13:53

  83. quando scrivo devo regredire perché per me il livello superiore è non avere una opinione..

    napo maestro inconscio di spoken poetry

    Mi spiace ma st’esempio (l’avevo già letta :-)), è anni luce lontano dalla mia idea di poesia “contemporanea” e comunque non vedo il senso dell’uso del dialetto
    sono conscia che è certo un mio limite.

    sleepwalking

    30 agosto 2005 at 15:39

  84. sì in effetti non centra una fava col discorso “come lo intendi tu” contemporaneo:-) voglio consigliare però il libro di Mattiuzza, l’inutile necessita (t) che secondo me utilizza il dialetto in modo più nuovo, di quanto possano farlo altri (me compreso; chissà se qualche friulano si arrabbia ora che ho detto dialetto a posto di lingua?)

    csinicco

    30 agosto 2005 at 18:07

  85. ma no monicuzza, nulla contro la narrativa, faccio l’asino, qua appunto lo sanno che sono un iper-lettore di poesia e quindi passo poco tempo con la narrativa: per questo scherzo.

    io però vedo nella nuova poesia dialettale friulana (flavio santi, pierluigi cappello…) quello che tu cerchi, o meglio: un approccio a quello che tu cerchi, ma anche raffaello baldini lavorava sul contemporaneo, l’innovazione di giovanni nadiani o quella di giuseppe bellosi. e ancora la stessa azzurra d’agostino e annalisa teodorani che fra i ca. 30enni dell’em.rom. secondo me è la più efficace (anche se più lontana da quello che ricerchi). in realtà esiste un’evoluzione nella poesia dialettale medesima a quella della poesia italiana. la questione è sempre quella (da autore) dell’altra lingua, dell’altra soluzione, dell’altra possibilità che un dialetto ti fornisce per una questione di vicinanza territoriale (se no non potrei nemmeno leggere sinicco, friulano che scrive in italiano, perchè non conosco esattamente la realtà friulana). e in generale leggere in lingua originale (se la si conosce) significa potere capire le soluzioni, le sfumature. se no bisogna sperare in un grande traduttore.

    forse non ho proprio risposto completamente ma spero di averti dato un’idea del mio pensiero.

    christian io so di qualcuno pronto a ucciderti perchè hai osato chiamare il friulano “dialetto”: spero la descrizione di santi e cappello (ma anche villalta) sia condivisibile, è una mia opinione.

    esempio che non ha a che fare: in “biometrie” di italo testa a mio modestissimo parere la maniera più efficace con la quale descrive la città e il contemporaneo non sono i lunghi pezzi sperimentali, ma la sezione di haiku.

    matteofantuzzi

    31 agosto 2005 at 07:20

  86. Sleepwalking (o monicuzza?): ‘”mondo dialettale” che, è inutile, resta legato ad arcaismi e vite “terragne”‘ non è cosa scontata. Quel mondo finisce spesso nelle poesie del poeta dialettale nel senso più triviale, ma il poeta “in dialetto” può scrivere d’altro. Può scrivere, per esempio, della fine di quel mondo, come Ida Vallerugo (che in provincia è morto da poco, è ancora caldo). Oppure può usare il dialetto (o lingua minore, per evitare litigi) come materiale che diventa nuovo in contesti in cui l’italiano non lo sarebbe (Cappello qualche anno fa ha scritto una serie di poesie d’amore in friulano che sono nuove perché in friulano l’amore quasi non esiste -a parte quello totalmente carnale di Eusebio Stella ;-).
    Però mi pare che, cercando poesia metropolitana, tu presuma una maggiore contemporaneità dell’ambiente metropolitano, e anche questa non è cosa scontata. Dico questo da lettore “a fatica” del friulano (e dei dialetti).
    Matteo: chi ucciderebbe Christian perché ha chiamato dialetto il friulano, ucciderebbe anche te che hai dato del friulano ad un triestino…

    anonimo

    31 agosto 2005 at 08:19

  87. ehm… giuliano quindi ??? sì ? no ? friulani abbiate pietà ! sto già scalando il santuario san luca coi ceci nelle scarpe flagellandomi. chiedo venia dell’ignoranza (in generale, e specifica).

    il ragionamento di vincenzo è da sottoscrivere.

    matteofantuzzi

    31 agosto 2005 at 08:36

  88. oddio, un blog di cadaveri.. 🙂

    cappello mi piace, ma ho letto solo cose in italiano

    sleepwalking

    31 agosto 2005 at 08:37

  89. a parte il mio campanilismo: Villalta è molto preciso (promosso, ma vedremo come evolve), Cappello è meglio quando scrive in friulano (l’italiano lo utilizza, è una mia impressione, in un qualcosa di già sentito – rimandato in una classe, promosso in un’altra), Tolusso ha scritto discreti libri (purtroppo ha ucciso la sua immaginazione andando sarcasticamente sul quotidiano, nell’ultimo libro: peccato, vedremo cosa farà – promossa se si iscrive ad un corso di teatro, così si rende conto quando arriva/emoziona con le parole e quando no), Della Mea l’ho sentito leggere in una maniera orribile, aspetto che sopravanza ogni possibilità di comunicazione (bocciato:-), Obit ha fatto una selezione molto interessante (un bel libro – rimandato anche lui per la lettura:-), Mattiuzza promosso perché scrive in friulano (e in dialetto veneto, ma sulla lettura deve migliorare), Fierro rimandato (in scrittura); sui triestini: Deiuri ha scritto cose molte emozionanti (imparerà a performare? rimandata), Nacci promosso (bravo mulo, xe anca atacante e ‘l ne segna gol a le partidine de futbol), gli altri rimandati o bocciati (Danieli, Pillan, Palme, Afri, Mangani, Longo) giusto per far capire che non sono un partigiano.

    csinicco

    1 settembre 2005 at 08:24

  90. christian faresti invidia ai cor(ro)sivi di gianfranco fabbri su ciminiera: in realtà vincenzo è a mio parere un poeta davvero interessante, con una struttura solida e riconoscibile nella propria poesia (benedizione nell’attuale omologazione).
    perchè fierro rimandato ? deiuri non mi pare d’avere mai letto nulla (beata ignoranza)

    matteofantuzzi

    1 settembre 2005 at 15:08

  91. Matteo, è un bene poter parlare liberamente.
    Christian: penso proprio che abbiamo idee di lettura diverse. Io ho sentito Nacci leggere (peraltro cose non sue) una sola volta, per cui non so se fosse rappresentativo del suo modo, ma non mi è piaciuto neanche un po’, mentre tu lo promuovi (parlo di Nacci solo per il confronto possibile).
    In ogni caso, e forse qui comincia la differenza, per me la poesia è il testo, ed è primariamente destinato alla lettura individuale. Il resto è promozione della poesia (o utile contaminazione, e questo lo dico avendo in mente quanto da te scritto su absolutepoetry), che non disprezzo (tutt’altro), ma è cosa diversa (non intendo polemizzare, a questo proposito: ognuno è libero di pensarla come vuole). Per intenderci, se Deiuri ha scritto belle cose (anch’io non conosco), per me è più che sufficiente, le legga pure come vuole.
    Chi guarda da fuori avrà l’idea (tutto sommato corretta) che viviamo in due regioni diverse: a parte Fierro e Obit gli altri nominati non li ho mai sentiti leggere (qualcuno nemmeno nominare), e dovendo fare dei nomi “locali” ne farei altri. Ho però l’impressione che, non badando troppo alla questione anagrafica per principio, finirei fuori dal seminato. Solo un nome di outsider: Antonio Di Biasio, che scrive in tre-quattro lingue pure lui, già da un bel po’.

    anonimo

    1 settembre 2005 at 15:48

  92. Ah, il commento #91 è mio (Vincenzo, Della Mea appunto)

    anonimo

    1 settembre 2005 at 15:51

  93. ma infatti: rispetto la posizione e le valutazioni di christian e proprio perchè rispetto tutto questo mi permetto laddove disaccordo di porre il mio parere.
    questo si chiama “dialogo” e dovrebbe essere la norma, non 1 eccezione come troppo spesso accade in poesia.

    poi ovviamente come già ho scritto concordo con la visione di poesia prettamente orale dove l’effettuazione e la contaminazione “utile” (termine giustissimo) sono un impreziosimento: come il gioiello che va ad impreziosire la bella ragazza, mentre un altro (magari esagerato, quasi da farsa, tanto da sembrare finto) ne può svilire la grazia.

    matteofantuzzi

    1 settembre 2005 at 15:56

  94. la distinzione testo scritto e letture di Vincenzo mi sembra condivisibile.

    oltrenauta

    1 settembre 2005 at 15:58

  95. Leggere ha una sua valenza (importante)di promozione, di scambio, di contatto; ma il testo scritto, lì sul foglio bianco, è nel senso pieno del verbo essere.

    oltrenauta

    1 settembre 2005 at 16:01

  96. giusto caro stefano: sopra ogni cosa il foglio bianco.

    matteofantuzzi

    1 settembre 2005 at 16:03

  97. Rispondo a Vincenzo: è chiaro che quel post partiva dall’oralità, aspetto che non sottovaluterei anche perché informa, ovvero diviene processo di scrittura (c’è anche da dire che il linguaggio non l’abbiamo imparato attraverso la sua scrittura, ma affinato semmai). A me non è piaciuto come hai letto a Trieste, ma per questo discorso non parto da me, ma da un mio caro amico che sentì Obit (invitai Michele a Trieste a presentare al Miela con me, il suo libro)leggere: la cosa interessante che mi disse, ma non solo lui (lui è più diretto), è che era uno scandalo che uno che non sa leggere si presenti ad un pubblico. Io non nego la scrittura, ma ritengo sia utile assumersi le responsabilità del fare (e fare significa tutto il tuo fare, anche quando vai a leggere), e se tu sei un autore interessante per la scrittura (per quanto riguarda il contesto/metacontesto/ideologia su cui hai creato l’ultimo libro, ti inserisci dal punto di vista della formazione di un’opera nel contemporaneo) relaziona a quello la tua attività (come tra l’altro mi scrivi) e fai eseguire ad altri – il discorso sull’esecuzione l’ha fatto Pareyson in Estetica, teoria della formatività, Bompiani, discorso interessante e non privo di implicazioni). io credo che le nozioni, come oralità/performance e altro vengano sottovalutate perché qualcuno (nell’ambiente) pensa facciano parte dell’ “esternità“, ma è evidente che parte di questi processi intervengono anche dal punto di vista dell’efficacia referenziale sul ricreazione del lettore, quando integra il testo. E’ un discorso interessante, che io ho capito dopo 4 anni di tentativi di performance (cose buone, cose brutte), e quindi non a caso. Una cosa di cui sono convinto è comunque la necessità di sforzarsi dal punto di vista dell’esecuzione dei propri “brani”, e cercare di capirci qualcosa o delegare (che trovo responsabile come scelta, come trovo un’assunzione di responsabilità attivarsi anche nel tentativo). Per cui portare tutto il discorso sulla scrittura, è un po’ un ripiegamento, e poco un dispiegamento e una spiegazione. A Matteo ho scritto diverse e-mail su questo aspetto, ma credo che scriverò qualcosa, anche perché da questo discorso emergono dei dati critici, ed estetici. Anche antonio Porta, in un libro che ho letto tempo fa, l’arte della pubblicità, penso se ne sia accorto – ovvero c’è una sottovaluzione degli strumenti, non vengono capiti tra le possibilità che forniscono.
    A parte l’intento provocatorio (ma critico) nei tuoi confronti, del post precedente, ti dico che una certa semiotica del messaggio sarebbe da sviluppare, come discorso, o perlomeno, nella sua pratica, comprendere.
    Riguardo a Nacci: sì, in effetti non lesse benissimo le poesie di Pierri, infatti dissi a Pierri che poteva leggerle tutte lui perché Luigi sì sa interpretare, ma ci vuole più lavoro.

    csinicco

    4 settembre 2005 at 09:41

  98. ognuno dovrebbe leggere le proprie poesie, le letture fatte da altri, per quanto professionali, quelle fatte da attori, mi lasciano fredda. è come se mancasse una totale fiducia in sè da parte dell’autore, un non voler mettere la proèria faccia, la propria voce a servizio delle proprie parole. mi sbaglio?

    sleepwalking

    4 settembre 2005 at 10:19

  99. non ti sbagli, ma io su questa faccenda della lettura, o esecuzione, o performance, credo si fondi anche una certa qualità. Ungaretti docet.

    csinicco

    4 settembre 2005 at 13:26

  100. Christian: ecco, immaginavo che ti riferissi a quella serata, e questo mi conferma che abbiamo idee diverse di lettura, perché, secondo me, ho letto bene.
    Sul delegare, sono parzialmente d’accordo; idealmente, ad ognuno il suo lavoro (mi pare un po’ presuntuoso pensare di primeggiare in più campi). In pratica, se non viene pagato il poeta, figurarsi l’attore. Però la lettura del poeta non è la stessa cosa.
    Mi ricollego a sleepwalking, commento 98: a me le letture degli attori piacciono, ma le prendo come spettacolo di tipo diverso.
    L’autore che “delega” all’attore non ha sfiducia in sè come attore, ma come dicitore di poesia.
    Ci sono autori che, leggendo, non rendono un buon servizio alle proprie poesie (dal punto di vista “promozionale”); però conoscendo già i testi, la lettura del poeta assume comunque una valenza non trascurabile.
    Un poeta per me molto bravo ma che legge “male” è Mario Benedetti. Eppure, a conoscerli già, certi suoi testi sono molto emozionanti proprio quando letti dalla sua voce franta, ferita.

    anonimo

    5 settembre 2005 at 10:53

  101. Il commento 100 è scritto di corsa, manca di firma (Vincenzo) e dove scrivo “primeggiare” l’espressione più corretta potrebbe essere “agire in modo tecnicamente adeguato”, o cosa simile.
    Buona giornata.

    Vincenzo

    anonimo

    5 settembre 2005 at 10:55

  102. Non è una questione di idee di lettura, ma di lavoro a partire dal testo per una buona esecuzione. Io non l’ho avvertito, e quindi tutto risultava piatto (parlo della mia impressione) ma senza una motivazione, se vuoi, ideologica. Poi ognuno può sentire diversamente, non mi metto qui a fare statistiche. Però la tua troppa sicurezza su questo punto è un qualcosa di strano, il leggere (per quanto mi riguarda) ha sempre qualcosa da migliorare, da osservare, da cogliere.

    csinicco

    5 settembre 2005 at 11:23

  103. Dai christian, “troppa sicurezza” la leggi tu… c’è sicuramente sempre qualcosa da migliorare, figurarsi, ma tu stesso delle tue performance dici “cose buone, cose brutte”: ecco, quell’unica sera in cui mi hai sentito, secondo me ho letto “bene” (entro i limiti che mi sono dati).
    E il senso di buona esecuzione deriva anche da un’idea della lettura. Aspetto di sentirti, così mi faccio un’idea di cosa ti attendi da una lettura poetica (tanto tra un po’ succederà).

    anonimo

    5 settembre 2005 at 16:45

  104. un testo è leggibilità, quindi chi legge ne dovrebbe dar prova, della leggibilità, ricrearla: quindi muoversi verso l’altro da sé che, ascoltando, arriva ad essere in presenza dell’opera. Il teatro mi ha insegnato che questa ricreazione sta in mezzo al pubblico, come nel cinema la gente che segue aderisce alla finzione.

    csinicco

    5 settembre 2005 at 22:39

  105. A proposito di Nacci e la lettura a Residenze Estive sui testi di Pierri (e con Ugo Pierri), il filmato realizzato da Gianmario Lucini è in rete:

    http://www.poiein.it/filmati/pierri/pierr.htm

    csinicco

    6 settembre 2005 at 09:31

  106. Vincenzo, mi sembra un pre-giudizio il tuo (sei liberissimo di averlo) quando affermi che hai sentito Nacci leggere poesie non sue e non ti è piaciuto per niente. Visto che non ho letto cose mie (le poesie in questione erano di Ugo Pierri) non capisco come tu possa dare gratuitamente questi giudizi. Io ti ho sentito leggere testi tuoi e posso dirti che non mi sei piaciuto molto, ma non per come eri vestito o come ti ponevi o per il timbro della tua voce. Semplicemente il tuo stile e la tua poetica sono lontani dal mio modo di sentire, inoltre credo che tu non sappia leggere a voce alta i tuoi testi. Quando anche tu mi sentirai dal vivo leggere o interpretare quello che scrivo accetterò di buon grado un tuo commento. E penso che avremo la possibilità di farlo a Monfalcone, tra un mese. Lì il festival è incentrato sull’oralità della poesia, sulle possibilità performative, per cui sarò ben curioso di vedere il lavoro che hai preparato. Così come sarò curioso di vedere come si sono preparati gli altri. Ma so che mi risponderai dicendo che la poesia è sulla carta e noi non siamo attori, etc., per cui non potrà nascerne un dialogo proficuo. Io credo invece che la poesia sia canto, che sia nata come canto, che il testo sia una partitura e che se le parole suonano sulla carta suoneranno anche a voce alta. Su questo punto sono vicino al lavoro dell’amica Rosaria (Lo Russo). Ma ognuno ha, si sa, i propri modi e i propri tempi. Solo il tempo dirà chi stava sulla sponde giusta del fiume.

    Luigi Nacci.

    anonimo

    6 settembre 2005 at 13:00

  107. Luigi, inutile cercare polemiche ad ogni costo, visto che il discorso qua si è mantenuto pacato; magari leggi più attentamente quel che ho scritto, e troverai che riconosco il limite del mio giudizio. Visto che christian si riferiva agli aspetti orali, l’unico punto di confronto per me possibile nel suo elenco eri tu (non ho sentito gli altri triestini citati), ed ho espresso un giudizio su come hai letto (letto, non scritto) in quell’occasione (non in altre), quando leggevi le poesie di Pierri. E’ chiaro che se leggi cose d’altri non leggi le tue, ma immagino che tu abbia una tua voce. Poi magari potrai esprimerti in modo completamente diverso alla prossima occasione; vedremo. Non sarò invece con te a cercare di capire qual è la sponda giusta del fiume; preferisco godermi tutto il paesaggio (o almeno le sue parti interessanti, di qua o di là).

    anonimo

    6 settembre 2005 at 22:09


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