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Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

Costruire per la poesia una casa abitata.

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Riprendo questo post di Pietro Pisano apparso ieri su FB:

“Quella poesia (parlo di certa poesia che non vuole più essere poesia) che tenta di utilizzare, algidamente, la lingua della comunicazione quotidiana e dei consumi di massa, con tutti i suoi banali stereotipi e luoghi comuni, per denudarla e rivelarne, in una esibita e mera ripetizione, l’inautenticità, a me sembra, il più delle volte come una operazione poco utile e in buona parte fallita. Se infatti ci soffermiamo a pensare sulla marginalità che ha la letteratura e ancor di più la poesia nella nostra società, allora mi chiedo, com’è possibile lo smaschermento, se non vi è un vero e proprio pubblico che possa leggere tutto questo? E inoltre, non rischia questa poesia, in un certo senso, di esibire una verità fin troppo evidente e palese, presentandosi paradossalmente come il prodotto perfetto di quella società dei consumi che vuole combattere? Molto più interessante ed efficace invece mi sembra il tentativo di creare un linguaggio ibrido, sempre però all’interno dello scarto del linguaggio poetico rispetto a quello della comunicazione.”

perché mi ha fatto parecchio riflettere su qualcosa che a mio avviso sta avvenendo e che probabilmente fa parte anche di una volontà di staccarsi da quello che a un certo punto sta diventando realtà dopo molti anni di battaglie. Il senso secondo me su cui si può riflettere è comprendere se nell’idea stessa di poesia si debba rinunciare alla necessità che questa sia abitata dalle persone, proprio come una cosa. Se fossimo architetti credo che la mia idea di casa potrebbe dirsi funzionale, tale da potere essere frequentata e abitata da quante più persone possibili, ma non un casermone di quelli che sorgono nelle periferie delle metropoli, piuttosto un enorme quartiere con molti alberi e servizi utili alla società, asili e tutto il resto. Magari qualche altro architetto potrebbe contestare che le case sono semplici, quasi geometriche, eppure per potere essere abitate in larga misura, per convincere le persone ad abitarle credo che si debba mirare all’essenza, o in buona conclusione alla sostanza. Dall’altra parte emerge un gruppo di architetti (e teorici dell’architettura) che è ben felice di dimostrare come questa materia portata anche all’eccesso ma consapevole delle proprie dinamiche produce vette avanguardistiche importanti, magari quasi impossibili da abitare se non da un piccolo gruppo in grado di apprezzare i design più estremi, parte di quel mondo, di un’intellighenzia che si bea di essere qualcosa di difficile approdo, di difficile captazione. Per come la vedo io le cose se la propria poesia non regge, non viene abitata, non sta su proprio come una casa dalle fondamenta sostanziali traballanti non ha molto senso spingere all’estremo la forma, lavorare solo su di essa, criticare il pubblico perché non riconosce un modo di intendere un’opera. Diverso il discorso di creare un’attenzione formale su delle precise basi sostanziali, e qui forse sta il nodo, la vera spinta per il futuro della poesia. Ma crearsi alibi questo no, bisogna tirarsi su le maniche e darsi da fare, creare fondamenta stabili e rendere ogni poesia abitabile.

Written by matteofantuzzi

3 agosto 2012 a 09:34

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5 Risposte

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  1. Bella ed efficace la tua metafora…..ma credo non ce ne sia bisogno.
    La poesia è già casa per chi la coglie, poi…come dici, ci sono case e case naturalmente, come per tutto…
    Ci sono case esclusive nelle quali fatico ad entrare perchè il padrone di quella casa è poco ospitale o i suoi modi sono così lontani da me da farmi sentire a disagio, succede anche che ci sono case in cui non entrerei ugualmente perchè hanno porte spalancate……insomma, ognuno entra nella casa in cui ci si ritrova o si trova meglio, se il padrone di quella casa glamour ed esclusiva si sentisse solo, dovrebbe lui fare lo sforzo di aprire un po il portone e offrire il the migliore……ma sappiamo bene che non sarà mai così, i poeti, quelli altolocati….diciamo così, sono anime egoiste e presuntuose……quindi…
    se vogliamo varcare queste soglie dobbiamo fare uno sforzo intellettuale notevole, altrimenti entriamo nelle case che ci accolgono e ci coccolano….
    La poesia è nutrimento dell’anima, se voglio mangiare sano e in modo consapevole, decido io……cosa mangiare….a discapito di alimenti che probabilmente mi farebbero benissimo, ma che “costano troppo”….
    Anna

    anna disanza

    3 agosto 2012 at 09:54

  2. Il dibattito è quanto mai interessante; da una parte si vorrebbe la poesia algida e intoccabile, nei suoi eburnei palazzi, con i suoi comportamenti definiti e che infondono sicurezza, dall’altra si vorrebbe una poesia glamour, vezzoso, di facile e non problematica comprensione.
    Ma la poesia non credo sia specchio dell’anima, semmai è specchio di vita e la vita è meravigliosamente sporca e contraddittoria, ride e piange, mesce il bello con l’orrido, si pasce di se stessa , talvolta.
    Non è algida la poesia, distante e pura; piange talvolta, scava, scava e per portare alla luce il suo brillante ha calli alle mani, puzza di sudore.
    Non è un gioco, la poesia, è miniera e il poeta è minatore e vive qui, ovunque, incontra semafori, rischia d’essere investito, insomma…. vive.
    Narda

    vdbd2 Narda Fattori

    3 agosto 2012 at 11:52

  3. Una poesia abitabile…Certo sarebbe un buon inizio per tornare a parlare di poesia e non più di operazioni intellettualistiche, che potrebbero anche avere un loro perché, ma che riguardano più la sociologia che la letteratura. Sono assolutamente a favore di uno sperimentalismo funzionale e contro invece ogni tipo di avanguardia, sempre fedele a se stessa, a un tipo di nichilismo che ha in gran parte perso la sua carica innovativa ed eversiva. Costruire una poesia che non guardi solo al presente e che non rimanga ancorata ad una mera critica del tempo attuale, ma che sia prioettata verso il futuro: questo mi sembra il compito della vera poesia, quella che permane nei secoli. Puoi anche costruire delle architetture meravigliosamente ardite e bizzarre, che vogliono esprimere e rispecchiare chissà quale condizione contemporanea, ma difficilmente queste rimarranno oltre il tempo presente. Questo se la poesia vuole essere ancora abitabile, se vuole essere letta, altrimenti è inutile anche scrivere, a mio avviso.

    Pietro Pisano

    3 agosto 2012 at 12:36

  4. E’ incredibile, perché una volta ricevetti un commento molto intelligente ad alcune mie poesie: commento che, elogiando la forma, si augurava che la poesia veicolata diventasse più “abitabile”. C’è da pensarci. In ogni caso – a parte che è chiaro a chi il commento e il post si riferiscono, e spero che il chiamato in causa intervenga direttamente – credo che sia importante non la facilità o difficoltà, la forma banale o quella complessa, ma la rispondenza (o la sua assenza esibita) tra sentire individuale, tematiche e idea dei propri lettori. Una trasparenza, insomma, che renda necessario quel tipo di forma, e quel tipo di forma sia anche comprensibile (non nella sostanza ma nel rapporto col contenuto).

    Davide Castiglione

    4 agosto 2012 at 19:48

  5. Si tratta anche di lasciare la convinzione che il corpo della poesia abiti nelle nostre parole, per pervenire alla rivelazione che sono le parole ad abitare il corpo poetico (e il nostro stesso corpo)? Ciao, G Turra Zan

    Giovanni Turra Zan

    19 settembre 2012 at 13:19


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