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Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

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[…] Ogni libro che si legge richiede, a volte in modo prepotente, una diversa modalità di lettura. La quale si tramuta in un diverso modo di affrontare criticamente il libro in questione, giungendo a far mutare di volta in volta l’architettura del commento, i procedimenti retorici, il vocabolario. Non stupisca dunque la differenza di accenti e modalità analitiche che si potrà registrare in queste pagine: una critica onesta, la quale deve giudicare ma anche agevolare la lettura, essere utile tanto al lettore quanto all’autore stesso, per sua natura deve essere mobile. Non servile ma certo disponibile, non di palato facile ma nemmeno integralista. Ogni metodo critico rigido fonda il suo successo su esclusioni (di quelle opere che “secondo la prospettiva critica adottata” non paiono utili al discorso: un trucco facile e fruttuoso per evitare confronti e messe in crisi del modello stesso nonché della conoscenza e sensibilità del critico) e va evitato, così come va evitata l’idea populista e disimpegnata della critica alla quale piace tutto, che deve parlare dei libri senza entrare troppo nel profondo, senza violare ciò che si definisce lo “spirito” del libro, la sua “poesia” (la quale, invece, se c’è non può essere scalfita da nessuna analisi, la quale invece se è buona la agevola, se è mal fatta non la sfiora).
Ciò che serve è piuttosto una critica che sappia accostarsi a libri di tutti i tipi segnalando con garbo le ingenuità e castigando con violenza i sotterfugi e le ruffianerie, che sappia leggere ogni testo sfruttando i metodi analitici di volta in volta più utili alla sua comprensione, e che sappia anche rendere non solo il giudizio ma anche la sensibilità e l’emozione del critico. Perché c’è un lato creativo nella critica, fondamentale e sottolineato da tutti i grandi di questa disciplina, oggi smarrito per due motivi: il primo è che mette in crisi gli affaristi della critica (non è affatto vero che carmina non dant panem: ne danno molto ad alcuni di quelli che la criticano), il secondo è che questa messa in gioco creativa ed emotiva è subito stata confusa con una visione estetica della critica, la quale è nel frattempo diventata prosa d’arte (bella o brutta) che ha un rapporto con l’opera di origine non dialettico ma parassitario.
[…] La critica che un critico “generoso” (generoso di letture abbondanti ed attente, non certo di penna) più frequentemente riceve è quella di essere di palato troppo spesso, di citare troppi autori invece di difenderne due o tre a vita, di dedicarsi al “sottobosco” degli pseudo-poeti (merita d’ufficio il prefisso “pseudo” chiunque non rientri nella propria ristretta famiglia di autori eccellenti, è ormai una regola); poi, sottovoce, al telefono, nell’angolo buio di una sala-convegni o nei bagni di una università, altre critiche si affastellano: il tale critico sarebbe un po’ fesso dal momento che rende conto delle sue omissioni, talvolta corregge suoi antichi giudizi, non è abbastanza perentorio e censorio. Tutto ciò si somma a una ben congegnata serie di misconcetti (il critico deve essere stitico, sussiegoso, scrivere poco ed in modo oracolare o almeno dogmatico…), a un’attoriale espressione di perpetua perplessità nei confronti del lavoro del prossimo e a una sistematica ignoranza dei presupposti del lavoro altrui. Ossia: non basta che un critico scriva un libro dicendo che è la prima parte di un lavoro: gli si criticherà la mancanza di esaustività; non basta che dica di aver scelto alcuni autori per rappresentare al meglio alcune tendenze: gli si farà presente la folla di assenze all’appello; non basta che si disperi a sottolineare come un lavoro critico debba essere in qualche modo “aperto” dal momento che in sé non vale poco senza la dinamicità del confronto: gli si criticherà la mollezza, la mancanza di polso; non basta dire persino ciò che è lampante, ossia che è inutile scrivere capitoletti su autori più che studiati (o vaste monografie spesso uguali tra loro) ed è necessario tentare di riequilibrare le cose non per rifondare il pianeta ma per dare la giusta luce ad autori a proprio parere più interessanti di quelli in voga o almeno interessati ed in ombra: si diventa uno Zorro della critica, ossia un fanatico; se enunci questioni di principio assolutamente basilari ci saranno orde di critici e autori, noti per averle infrante tutte, che le appellano “generiche e assodate da tempo”; scrivi che non vuoi assolutamente fissare un canone, e ti dicono “ma che razza di canone sarebbe quello che ci hai proposto?”. E non facciamo dell’ironia: esponiamo la realtà al ludibrio e alle lacrime che essa ci ispira, tale e quale si presenta a tutti noi. Esiste una corrente di pensiero secondo la quale un uomo che manchi di determinate virtù etiche non può essere un buon poeta; io non sono d’accordo, ma mi accorgo che questo vale invece, eccome, per i critici. E il tempo, mi dispiace cari amici, non fa giustizia, e non è affatto galantuomo: molte cose, dalle storie della letteratura alla storia dei popoli, lo dimostrano! L’importante è definire bene le proprie ipotesi di partenza, per il resto ci sarà sempre chi le ignora o accusa l’opera di attuarle: pazienza, non c’è peggior sordo di chi non capisce niente!
[…] Non si può discorrere o scrivere di poesia in modo ideologico o fideistico, occorre citare i poeti e i testi affidandosi alla pagina, tenendo sempre presente quali sono i fini e quali i mezzi, scassinando i versi, se necessario, fino a poter osservare il reale colore del loro sangue e valutarne finalmente la portata nutrizionale per la nostra sete di poesia e (ossia cioè) di verità, realtà, mondo. Al primo posto non ci sono mai le idee, i paradigmi o le norme: ci sono i poeti, i testi, la sincronia e la diacronia della lingua poetica. Noi tutti, critici ed amanti della letteratura, siamo posti di fronte a un’interrogazione continua e multidirezionale che indaga l’opera e chi la legge; ne deriva che ogni lettura è un esercizio della responsabilità critica che inizia con un atto di lettura e non con un’idea dogmatica di lettura. In caso contrario assomiglieremmo a chi compra uno specchio per vedere ancora una volta e da una nuova angolazione quanto, e su questo non ha dubbi, sia bello.
[…] Ciò che però possiamo sostenere con forza è il rifiuto di un’idea di critica come “collaborazione al testo”, ossia di critica esercitata da un critico che aderisce a un certo schieramento o orientamento e fa di tutto per promuoverlo, sviscerarlo, delucidare, collegare, sovente inventare strumentalizzando le opere. Questo modo di fare porta irrimediabilmente a boicottaggi, omissioni, falsificazioni allo scopo di far emergere la propria estetica. Il critico non deve avere una sua estetica, bensì un’idea di letteratura; un’estetica può essere esclusiva, elitaria, sorniona, imperialista, razzista, folle, ma un’idea di critica deve essere precisa, limpida ed elastica. Il critico vive nella poesia e per essa, ma non la fa (la nozione di critico-poeta non costituisce un’obiezione siccome il critico che è anche poeta quando fa il critico non deve fare il poeta, né l’esteta, anche se può arricchire la critica con alcune intuizioni che la sua sensibilità di autore può suggerirgli, purché questa procedura non diventi egocentrica e indirettamente autopromozionale). Il critico deve analizzare la poesia e veicolarla, non suscitarla con la lusinga di un’etichetta di voga. Ecco allora che la mia idea di “militanza” è quella di difesa di un’idea di letteratura e di scesa nell’agone pronto ad accogliere ciò che appare buono e ad infilzare le fiere, mentre rifiuta la nozione di militanza che alcuni (ssull’orma dei critici d’arte) identificano come creazione (spesso dal nulla).
E’ mia intenzione dimostrare – e questo è la chiave di tutto – che esiste un numero davvero notevole di poeti almeno (ma spesso non solo) equivalenti per valore, impatto emozionale e resa stilistica a quelli che escono presso i grandi editori o che addirittura già da anni sono considerati maestri e quasi mummificati faraoni (potentissimi ma pressoché immobili, e ogni cosa che fanno è sacra anche se non fanno niente). Più si approfondisce la poesia contemporanea più si percepisce uno spostamento grave, un grave errore di parallasse, un grave difetto elettronico in mirini altrimenti in sé acuti e penetranti. Non credo alla lotta di classe in letteratura: non sono gli editori a fare il valore (gli editori, più o meno illuminati, dopo tutto non da oggi per mestiere stampano e cercano di vendere, tutto qui) e dunque non bisogna lottare contro di essi per lottare contro la misinterpretazione della poesia: sta altrove il nocciolo della questione nella scuola, nei media… La questione è che chi esce presso un grande editore ha una visibilità infinitamente superiore ad altri poeti meritevoli e relegati presso seminascoste e talvolta pure onestissime sedi ed occorre lottare contro l’oblìo, proporre e cercare di imporre gli autori che si apprezzano. Questo non in alternativa alla grande editoria, ma in opposizione a quella che si ritiene una poesia falsa e per quanto possibile in una caparbia lotta contro le multiformi strategie di ostracismo. […]

Sandro Montalto

Written by matteofantuzzi

6 giugno 2008 a 12:39

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14 Risposte

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  1. questo è un estratto dell’introduzione a Tradizione e ricerca nella poesia contemporanea – Forme concrete della poesia contemporanea, voluminoso doppio libro che Montalto ha appena pubblicato. Buona lettura !

    matteofantuzzi

    6 giugno 2008 at 12:54

  2. Per quello che mi riguarda: questa sera sarò sulla belga “radio alma” dalle ore 20.

    Domani pomeriggio in mia assenza verrà fatto a Sasso Marconi (Bo) un ricordo di Paola Febbraro, appena scomparsa. Altrettanto ne approfitto per ricordare un amico, prematuramente scomparso in settimana l’attore (e omonimo del poeta bolognese) Roberto Roversi che per tanti anni è stato la “voce” del Premio Spallicci. Se ne è andato improvvisamente anche lui, a soli 52 anni.

    Per concludere domenica 8 sarò a Cremona sotto i Portici di P.zza del Duomo nel pomeriggio per CremonaInPoesia. Siete tutti invitati, con me ci saranno parecchi amici e spero davvero in una bella lettura.

    matteofantuzzi

    6 giugno 2008 at 12:55

  3. Tutti noi consumiamo prodotti, in parte per quello che sono e in parte per quello che significano. Un formaggino è novanta calorie di grassi animali, acqua e sali minerali. Un’automobile è un veicolo che permette di spostarsi a piacere e senza fatica. Un profumo è un cocktail di essenze volatili sciolte in alcool.
    (Annamaria Testa – La parola immaginata)

    Tutti noi consumiamo prodotti, in parte per quello che sono e in parte per quello che significano. Un formaggino è novanta calorie di grassi animali, acqua e sali minerali. Un’automobile è un veicolo che permette di spostarsi a piacere e senza fatica. Un profumo è un cocktail di essenze volatili sciolte in alcool.
    Ma ai concetti economici di valore d’uso (novanta calorie, spostarsi a piacere e due ore di odor di bergamotto) e di valore di scambio (espresso nei tre casi in centinaia, milioni e migliaia di lire) può essere opportuno, parlando di pubblicità, aggiungere un concetto estraneo all’economia: quello di valore percepito.
    (Annamaria Testa – la parola immaginata)

    Cio’ che viene percepito va ben oltre il mero senso del prodotto. E’ una “sensazione”, una cosa impalpabile che pero’ ci guida diritti all’acquisto del prodotto tizio o caio.
    Indi acquisteremo tal formaggino da 90 calorie perchè l’iimagine riflessa è una sottile golosità unita a benessere, tonicità.
    Una vettura è non solo spostamento, ma stato sociale, lo specchio dell’essere che vogliamo gli altri percepiscano (oltre ad una serie di vantaggi SECONDARI

    anonimo

    9 giugno 2008 at 21:58

  4. (oltre ad una serie di vantaggi SECONDARI riferiti a confort o utilità pratica)
    Un profumo è l’attestazione del nostro carattere, spesso in SIMBIOSI col carattere della società (useremo un profumo X perchè l’immegine di vendita data è quella di una società in cui siamo vitale, frizzante e vogliamo riconoscerci. Oppure un’essenza che rimanda a un estatico oriente, simbolo di meditata profondità).

    Ma per la poesia?

    Perchè la poesia ha una critica che non porta praticamente da nessuna parte?

    anonimo

    9 giugno 2008 at 22:03

  5. La pubblicità, intesa come comunicazione della disponibilità di una merce ad un pubblico di potenziali consumatori, è un fenomeno vecchissimo: graffiti e avvisi murali segnalavano la presenza dei punti-vendita di duemila annifa in modo non troppo differente da quello di oggi.

    (Annamria Testa – la parola immaginata)

    In poesia credo avvenga una comunicazione fumosa cosi come lo è il prodotto in origine.
    Non si sa di cosa si deve parlare con esattezza, ma bisogna farlo.
    Si riprende allora lo stesso fumo della pubblicazione ampliandolo: ecco la recensione inefficace.

    La parola (…) va adoperata bene, perché non si rovini e non si logori. Va adoperata con rispetto per voi e per gli altri, perché in qualche modo vi rappresenta, e perché può offendere. Va adoperata con convinzione, perché altrimenti suonerà vuota.
    (Annamria Testa – la parola immaginata)

    Appunto…
    (Fabiano Alborghetti – gli interventi sopra sono miei.)

    anonimo

    9 giugno 2008 at 22:09

  6. Nella forzata ricerca di ricondurre si perde di vista la contemporaneità, preservare dall’oblio vuol dire cercare di liberarsi, giudiziosamente si intende,dall’ossessione del paradigma.
    un caro saluto

    alessandro62

    11 giugno 2008 at 06:17

  7. quando la critica si guarda l’ombelico non fa critica. fa ego-mania. ma non è “solo” colpa della critica: se la poesia è sterile, se si guarda e basta, allora anche la poesia non può essere da meno. ma se la poesia va a muso duro, diretta, senza pippe, allora anche la critica è in grado di dire (perchè i buoni critici per fortuna ci sono), di chiamare “pane” il pane e “padre” il padre.

    matteofantuzzi

    11 giugno 2008 at 19:09

  8. sono stati cancellati oltre 20 interventi per problematiche di “effervescenza”. spero di non dovere ripetere la cosa. avviso fin da ora che sarò via per lavoro domani e martedì quindi abbiate compassione nei miei confronti ed evitate che ci siano altre problematiche.

    rinnovo l’invito a chi era intervenuto durante “l’effervescenza” a mandare a UP tramite la mia mail articoli riguardanti la poesia italiana contemporanea, massimamente se già stati presenti su riviste cartacee che troppo spesso laureandi e dottorandi non riescono economicamente a leggere per i noti motivi e le note logistiche.

    grazie (per cortesia, fate i bravi)

    matteofantuzzi

    15 giugno 2008 at 21:09

  9. [[ Per cortesia, spiegate a Sandro Montalto, a Giuseppe Cornacchia, e a me che dalla distribuzione nelle librerie del mio libro PARADIGMA nella primavera del 2006 fino alla primavera del 2007 ne furono acquistate sole 40 copie. Alla notizia considerai il libro un grande successo di vendita, di recensioni (per la verità rare se penso alla dozzina per libri sui quali dire mediocre è un superlativo) e di saggi, soprattutto quando mi ricordai di essere il solito illustre sconosciuto. Ma va bene, può darsi che dalla primavera del 2007 alla primavera del 2008 ne siano state acquistate altre 40 copie. Ho fiducia.
    Allora, cari Fantuzzi e Morello, come si fa a farsi valere e comprare? Siamo centinaia
    o migliaia di incapaci in attesa. Grazie.
    Alfredo de Palchi ]]

    questa parte però l’ho salvata perché il discorso è interessante, non parlavo di editori “grandi”, ma per me ad esempio casagrande o pequod che pubblicano pochissima e ottima poesia sono grandissimi editori, per citarne due.

    comunque credo che l’unico modo per fare sì che la poesia vada dai lettori sia (ma questo è il mio metodo, qualcuno avrà certamente altre soluzioni valide): fare poca poesia e la migliore possibile (insomma, 1 editing che faccia sì che magari si pubblichi un libro a lustro, se non ogni 10 anni), fare sapere alla gente che il libro è uscito (dalla rete, alle letture, ai festival, alle riviste cartacee, insomma fare sì che se un libro vale parta il passaparola), fare sì che sia facilmente accessibile al suo acquisto (creando canali semplici, ad esempio ancora una volta la rete, se dobbiamo aspettare che vada nei canali ufficiali, con le librerie che scaffalano sempre meno e sempre in maniera economicamente rilevante, e se aspettiamo che la gente prenda il libro solo perchè lo vedono a scaffale… stiamo freschi).

    ma queste ribadisco sono solo poche cose personali, spero nel contributo di tanti a questo quesito.

    matteofantuzzi

    15 giugno 2008 at 21:15

  10. Che un blog sia spesso un’arena di liti personali sgradevoli o di intemperanze critiche, è vero. Ma che lo stesso blog censuri degli interventi sul campo, sia “effervescenti” che non “effervescenti”, è sconcertante e non serio.
    Marco Ercolani

    anonimo

    15 giugno 2008 at 22:03

  11. dura lex, sed lex.

    basta riscriverli lasciando da parte le opinioni personali su chichessia (persona fisiche) ma focalizzandosi sulle teorie e sulla critica.

    è una lezione che si deve alle tante persone, soprattutto alle giovanissime, che seguono questo luogo. se non facciamo loro capire fin da subito che 1 altro mondo è possibile il mondo della poesia italiana sarà sempre quello che a noi è parso impresentabile.

    matteofantuzzi

    15 giugno 2008 at 22:23

  12. ribadisco (e chiaramente per questo mai e poi mai cancellerei l’attuale commento #10, ad esempio). ben vengano le intemperanze critiche, ma segherò tutte le liti personali sgradevoli, che questo lo si reputi serio o meno, e con tutto quello che significa: mi ricordo ad esempio uno scazzo un annetto fa con martino baldi che era intervenuto anche in questi giorni, e in questo senso almeno rimanga la reciproca stima nei confronti di sinicco & nacci per i lavori di mappatura.

    il tempo è galantuomo.

    matteofantuzzi

    15 giugno 2008 at 22:31

  13. (segato altro commento): giuseppe, se mi vuoi fare un piacere riprendi tutti i commenti che hai salvato omettendo tutti i pareri personali, compresi i tuoi e quelli su di te. perchè anche questo per gli stessi motivi è stato tolto. abbiate tutti pazienza ma se andiamo avanti così non ne usciamo e io sono via 48h da tra poco (e questo lo dico anche per le questioni di testata). quindi fate i bravi !

    matteofantuzzi

    15 giugno 2008 at 22:51

  14. Sono d’accordo con Ercolani. No, non è serio, ma c’era da aspettarselo, visto le cose serie ci si aspettano da persone serie. Non c’è stata nessuna intemperanza personale. E’ stata cancellata una discussione normalissima, solo appena frizzante.

    Un annetto fa non ci fu “uno scazzo” con me ma una vera calunnia violenta ed offensiva continuata – cose da denuncia – nei miei confronti da parte di un terzo e ricordo che non solo rimase tutto online per diverso tempo ma addirittura fui redarguito, perfino in privato.

    Sono stato mesi senza postare qui. D’ora passeranno anni. Rinnovo – ci mancherebbe! – la stima per Sinicco e Nacci (ma non vedo cosa c’entrino) e la disistima per il gestore.

    Adieu. Martino

    anonimo

    19 giugno 2008 at 23:23


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