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Da Matteo Fantuzzi quanto di buono offre la poesia italiana contemporanea. Forse.

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«e finalmente ottobre» di Franca Mancinelli.

L’impressione preminente che lascia La felicità improvvisa (Jaca book, Milano, 2001), l’ultimo libro di poesia di Andrea Gibellini, è di una non permanenza; l’hic et nunc, un’estate tra le colline, la pianura emiliana e la sua città, è un non luogo e un non tempo, un altrove in cui si svolgono il tema e la metafora del viaggio. «Sono solo uno che viaggia / da un luogo ad altro luogo» conclude Gibellini nella poesia In treno; anche nei titoli è rintracciabile il tema del viaggio (Una strada, percorso suburbano, Per via Sebenico, Quando la macchina): è un nostos alla ricerca di sé e delle proprie radici costantemente contrastato e annullato da tendenze opposte, non definitivo; a volte è movimento reale, in auto o in treno, dai quali osserva sfilare le cose; altre volte non comporta alcun spostamento («e mi giro rigirandomi su me stesso»), nel segno di un malessere esistenziale o di una ricerca in apparenza inconcludente, di un vizio o di un modo proprio dell’esistenza. La realtà, colta in transito attraverso la memoria e uno sguardo veloce, diventa sogno, possibilità di un altro mondo che il più delle volte si identifica con l’immaginario infantile (Mucche, Sopra un campo da tennis, Quando la tua città è lontana). Ne risulta una percezione straniata, «sfocata» della vita («Sfocata in viaggio da lenti colli asolani»), un indebolimento dell’io che aderisce intimamente al paesaggio, ma filtrato, investito dal suo mondo interiore, dalla sua investigazione, sino ad invertire l’origine stessa della poesia: da un avvertimento-sentimento delle cose al loro tradurre in immagini e dare consistenza ad un materiale memoriale e psichico. Il sentimento di estraneità investe il poeta stesso e si vela di una leggera ironia («Ma io non sono nessuno e nulla di tutto ciò. / A volte non sono neanche me stesso», In treno); che può ricordare il Pessoa di Tabaccheria: «Non sono niente. / Non sarò mai niente. / Non posso volere d’essere niente. / A parte questo ho in me tutti i sogni del mondo». L’affioramento di una immaginazione e di una sensibilità infantile ha una funzione di fuga e di distacco omologa alla ricorrente presenza di animali, in un bestiario non troppo dissimile da quello montaliano (lo scoiattolo, il finto topo, gli uccelli…). Le presenze umane sono scarse e compaiono come semplici elementi del paesaggio («Il ragazzino di profilo che pesca»), sempre colte da una distanza («le vostre figure intraviste da lontano»), oppure acquistano una valenza esistenziale («due ragazze che cantano sorridenti»). In effetti, la relazione si risolve di preferenza con un altro se stesso sul quale il poeta riversa il proprio bisogno di affetto e di cure (Inespresso); oppure nel rivolgersi direttamente alle cose caricandole di significati simbolici, in una sorta di preghiera laica montaliana («Angosciosa estate […] lasciami andare»; «strada nera non portarmi»), ma è, anche, una evocazione-presenza femminile sempre affettuosa e fedele: stilizzata come in una scena di interno fiammingo (Caccia), unita alla speranza rassicurante della casa (Quando la macchina), intima interlocutrice (Exit fanciullo) e compagna di viaggio (Untitled). Nel rischio della dispersione dell’io, del tempo e delle cose intorno, ma non compiaciuta, in una sottesa indagine di pacificata identità, la contestualizzazione spazio temporale, i frequenti deittici divengono una necessità esistenziale, sono i punti fermi, pur nella loro non staticità, che consentono il viaggio e la ricerca di sé. La geografia di Gibellini oscilla tra la disabitata periferia cittadina, con le case in costruzione, e le colline lavorate: una campagna antiidillica e una città industriale, dove «l’azzurro del cielo come il mare è solo in sogno», miniaturizzata negli spazi di verde della città, anch’essi abbandonati e spogli e derivanti dalla riduzione della realtà al campo visivo del fanciullo («giardino-asilo desolato», «in questa sperduta […] aiuola», «asilo spesso disabitato»). Lo stato di solitudine e desolazione, che in alcune immagini fa pensare alla Waste Land di Eliot, è il corrispettivo della condizione esistenziale del poeta, esemplificata in modo emblematico nel rapporto contraddittorio con la propria città. La felicità improvvisa è una ricerca di un soddisfacente rapporto con le cose e con il mondo, che ha esiti o di rifiuto quasi adolescenziale («Non voglio e non vorrei essere la mia città»), o di forte impulso al rispecchiamento-identificazione, attraverso il sogno e la regressione («La mia città non è una città // vive tra il fiume e la campagna/ è sospesa […] e se lì scavi», La mia città) e un ungarettiano abbandono alle «acque del fiume limaccioso» (Piccola elegia per Roma lontana). La sua percezione della realtà, quasi esclusivamente visiva, ma non nitida, dai contorni confusi e spesso negata (si veda R. Galaverni, Ai margini del paese visibile: La felicità improvvisa di Andra Gibellini, «Graphie», anno IV, n 1, marzo 2002), è predisposta a cogliere la natura nel trascolorare del tempo, del giorno e dell’anno («Era mattino, subito giunse / nel freddo la sera»; «l’estate diventa autunno»), e della meteorologia, sottesa di inquiete pulsioni, attraversata dal vento, dominata dalla melma, dall’acqua. La preferenza per il divenire è anche nell’attenzione infantile per i rivolgimenti e le metamorfosi della materia, per il trambusto delle scavatrici di sabbia, dei camion, del «lungo tubo rosso»; funzione analoga di predominio e azione violenta sulla natura hanno il «tagliaerbe», il «giardiniere» e la «falciatrice elettrica», ma nella direzione opposta, dell’ordine e della pulizia (percorso suburbano, Guarda come allora le viti). Il periodo dell’anno che prevale e che succede all’inverno della precedente raccolta (Le ossa di Bering), non è la primavera ma l’estate: anche l’aria che si respira è da vacanza (il viaggio, l’osservazione degli altri che lavorano, la città deserta); una stagione connotata come «angosciosa» e «allucinata», vissuta con lo sguardo costantemente rivolto indietro alla propria infanzia o nell’attesa di ottobre e di una nuova stagione dell’esistenza. In questo stato di desolazione, psichica e fisica, di estraneità, di ambivalenza affettiva ai propri luoghi, Gibellini è continuamente sospeso ad avvertire probabili segni improvvisi e labili di felicità, ma con la coscienza che «ogni bene è lontano», che la felicità, anche se legata a piccole cose quotidiane («Questo posto non è tra i più belli / ma da qualche parte esiste una gioia nascosta»), non può essere mai vissuta con pienezza («La speranza è sempre stato il mio male»): come in Montale è «barlume che vacilla», da «non toccare» e, dopo averla intravista, immediatamente Gibellini torna l’osservatore straniero, prende razionalmente le distanze, («ma vorrei // scacciare quelle consolanti immagini di gabbie di ferro»), si convince di non vedere («i fiori che non vedo e vedrò più tardi»). È una possibilità che traspare in esili momenti epifanici, senza connotati metafisici: sono liriche visitazioni esistenziali legate a immagini e ricordi infantili, ma in presenza di una costante antitesi, come se il poeta fosse attratto da un impulso alla non permanenza che gli vieta la sosta e lo sospinge a riprendere il viaggio. I momenti a cui il poeta si concede con abbandono e che sembrano anticipare l’approdo desiderato, non sono di felicità improvvisa ma immagini di rifugio e tepore quasi famigliare, ipotizzate («Se guardi scendere la neve»), sperate (Quando la macchina sale), esortate a realizzarsi volgendo al futuro i predicati verbali (Caccia), o con ravvicinati e iterati esortativi (Situazione). Gli «abbagli» di felicità improvvisa sono della prima parte del libro (sezioni I-V, che possono complessivamente, anche in quanto solo numerate, leggersi sotto il titolo della raccolta); la seconda, molto più breve, intitolata, Ottobre, segna un superamento dell’atteggiamento psicologico del poeta e del suo approccio alle cose. Il tema è ancora il viaggio verso i luoghi dell’infanzia e le radici, ma il coraggio e la determinazione sono nuovi (anche nelle affermazioni perentorie: «Ho preso con me il mio cane», «ho voluto annullare / il ricordo di me»): c’è una ferma inquisitoria e volontà di conoscenza («Vedendo ciò che vedo mi soffermo»), senza i tentennamenti sul filo edonistico delle felicità improvvise («senza più abbandoni»). Il processo messo in atto in Ottobre (anch’esso contrastato se nell’ultima poesia afferma: «mi piacerebbe ora come allora») va dalla ferma decisione e dall’attesa, ancora legata al clima della prima parte, che si compia il prodigio dello svelamento (l’irrompere di un animale), all’intrapresa del viaggio, accompagnato dal suo istinto (il cane) e all’esortazione finale ad assumersi le proprie responsabilità (nel tono accorato e insistente di un padre verso il sé stesso rimasto «oltretempo accovacciato»). Nella quinta sequenza di Ottobre, in cui può condensarsi tutto il percorso de La Felicità improvvisa, il nostos approda al luogo d’elezione, alla sua origine spazio-temporale («Quando e dove nel buio del solaio») per compiere «un’altra / nascita perfetta e diseguale» al mondo delle relazioni e delle responsabilità. L’esclamazione «e finalmente ottobre» richiama «[E finalmente dopo gli spari]» di Caccia e la prospettiva di felicità matura. L’antitesi-processo, «felicità improvvisa» vs «e finalmente ottobre», sintetizza questo libro: da una non permanenza, da un viaggio tra fuga e ritorno, da una contrastata identificazione, all’approdo alla maturità, almeno come ferma consapevolezza e proposito. A chiusura della raccolta, l’unica poesia isolata, È solo il vento, conclude il percorso esistenziale verso l’accettazione del proprio tempo («Non so perché / fuggi via rubando la giovinezza»), e il suo recupero dalla plaquette del ’96, conferma la volontà ordinatrice di contro all’impulso alla non permanenza.

da Pelagos.

Written by matteofantuzzi

16 agosto 2006 a 08:51

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4 Risposte

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  1. grazie a franca per l’articolo e buona lettura.

    matteofantuzzi

    16 agosto 2006 at 08:54

  2. giovedì 24 agosto – Aspettando ELEBAB Poesia e immigrazione. con Fabiano Alborghetti (L’opposta Riva- LietoColle 2006)
    Tahar Lamri e Maurizio Asero (percussioni)
    Ravenna, Via Galla Placidia ore 21

    *
    P o e t i a M i l a n o: Tre incontri dedicati alla poesia a cura di Maria Pia Quintavalla

    Sede storica di manifestazioni europee di poesia,dalla storica Milanopoesia a Donneinpoesia Milano recupera un ruolo guida nell’ambito letterario, che le era proprio, offrendo spazi sempre più articolati alla domanda di ascolto, ritorno all’oralità e alla dizione del testo letterario classico, e contemporaneo.
    Lo spazio speciale dell’Umanitaria diventa il luogo ideale dove ascoltare, leggere, riscoprire, conoscere, amare: uno spazio coinvolgente per un Festival milanese con una particolare attenzione alle voci femminili, strutturato in tre appuntamenti con readings e letture pubbliche di poesia ad opera di autori e autrici contemporanei italiani.
    Una panoramica che sia riscoperta del piacere dell’oralità nella recitazione dei testi, e aggiornamento sulla recente produzione italiana letteraria.

    Lunedì 4 settembre 2006, ore 18.00:
    Donne in poesia / Incontri con le poetesse italiane
    Anna Maria Farabbi, Martha Canfield, Norma Stramucci, Silvana Colonna, Annalisa Mastretta, Mariella de Santis. Intermezzo musicale di Mino Fabiano – Giovanni Monteforte, Jazz Duett

    Lunedi 11 settembre, ore 18.00:
    Tradurre non è tradire
    Amedeo Anelli, Maria Luisa Vezzali, Fabio Scotto, Gabriella Galzio, Tomaso Kemeny.
    È prevista la partecipazione-esposizione di riviste che sostengano un rilancio della traduzione poetica. Intermezzo musicale di Mario Arcari (ance) e Roberto Del Piano (corde).

    Lunedì 18 settembre , ore 18:
    Poeti per Milano
    Marco Munaro, Mary Barbara Tolusso, Dario Capello, Paolo Rabissi, Stefano Raimondi, Flavio Santi, Mario Santagostini, Alberto Bertoni.

    Informazioni: tel. 02-5796831

    matteofantuzzi

    16 agosto 2006 at 08:59

  3. qui l’articolo di Umberto Eco apparso su L’Espresso e riguardante la poesia e internet continuando la discussione già apparsa su Liberazione, Corriere della Sera e Manifesto (ps. se ne trovate altre la segnalazione è gradita): Orengo su TL ha fatto un breve riassunto ma nulla di nuovo per un’eventuale analisi.

    matteofantuzzi

    18 agosto 2006 at 09:08

  4. Ciao, mi permetto di segnalare questa iniziativa, per chi è della zona…
    Scusate l’intrusione, Davide

    Mercoledì 23
    Gabicce Monte, Ex-Eden Rock
    Ore 21.30 – SCORIE CONTEMPORANEE – Reading dei poeti de “LA GRU”
    Daniele De Angelis, Loris Ferri, Emiliano Michelini, Davide Nota, Stefano Sanchini

    davidenota

    20 agosto 2006 at 13:23


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